1.1. Chiaravalle della Colomba (Alseno)
1.2. Travo (PC), Loc. S. Andrea
Provinica di Parma
Provincia di Reggio Emilia
1.4. Poviglio, Terramara S.Rosa a Fodico
1.5. S. Polo dEnza, loc. Pontenuovo
Provincia di Modena
1.6. Formigine, loc. Cantone di Magreta
1.7. Castelvetro, loc. S. Polo Canova
1.8. Casinalbo
1.9. Castelnuovo Rangone, loc. Montale
1.10. San Cesario sul Panaro, cava Marchi
Provincia di Bologna
1.11. Bologna - San Donato
1.12. SantAgata Bolognese, loc. Montirone
1.13. Anzola Emilia
1.14. Castel S. Pietro Terme, cava Orto Granara.
Provincia di Ravenna
1.1. Chiaravalle della Colomba (Alseno)
Il sito delletà del Bronzo di
Chiaravalle della Colomba (PC), rinvenuto nel 1995 durante gli
scavi per la posa di un metanodotto, è posto 15 km a nord del
Po, al limite fra i terrazzamenti pleistocenici dellalta
pianura e i depositi fini olocenici della bassa pianura, ed è
sepolto da spesse alluvioni limo-sabbiose dovute al torrente
Ongina (BRONZONI, FERRARI 1997).
Esso si trova a cavallo di un gradino morfologico naturale, che
fa sì che la sua profondità dal piano attuale sia variabile fra
circa 1,5 e 3 metri. Alla quota più elevata insistono tracce di
frequentazione antropica su un suolo sepolto, mentre alla base
della scarpata, su un suolo palustre, si trovano strutture
pertinenti ad una palafitta probabilmente di piccole dimensioni.
Tali strutture, messe in luce in condizioni molto difficoltose a
causa della quota della falda freatica e in parte intaccate dalla
trincea per il metanodotto, sono costituite da due chiazze
carboniose, nelle quali si sono riconosciute fibre lignee
carbonizzate, interpretabili come assi combuste. Si trattava
verosimilmente di strutture lignee bruciate distanti fra loro
circa 7 metri, di cui non si è però in grado di definire forme
e dimensioni. In corrispondenza di una di esse e nellarea
libera fra di esse sono venuti in luce 5 pali lignei.
Larea descritta è marginata da un canale naturale ampio
circa 7 metri e profondo 50 cm, in fase con le strutture, il cui
riempimento è costituito da sedimenti tipici di acque a
scorrimento lento, contenenti frammenti ceramici a diversi
livelli e abbondanti materiali vegetali. Entro il canale sono
stati rinvenuti altri 4 pali lignei.
La situazione stratigrafica e la giacitura dei materiali,
raccolti nelle aree carboniose e al tetto del suolo palustre
grigio azzurro sottostante le strutture, attestano la breve
durata del sito.
Fra i materiali rinvenuti, che rappresentano un significativo
complesso inquadrabile allinizio del Bronzo medio
(BRONZONI, FORNARI 1997), vanno citati:
- un pugnale in bronzo a base semplice ad arco
rialzato con 3 chiodi e lama triangolare lanceolata;
- due punte di freccia in corno di cervo a peduncolo poco
distinto;
- una punta di freccia in selce a base concava;
- alcune tazze con parete alta rientrante, orlo distinto, vasca
bassa e ansa canaliculata insellata sulla carena oppure
soprelevata ad ascia;
- tazze a parete svasata e vasca bassa decorate con fasci di
sottili solcature radiali o a zig-zag;
- due coperchietti con presa sommitale a due fori passanti ed
anse canaliculate verticali;
- diversi orci ed orcioli ovoidali con anse a nastro verticali e
fondo piatto.
Lo scavo, durato circa 5 mesi, è stato effettuato dalla Coop. Archeosistemi di Reggio Emilia e finanziato dalla SNAM.
Bibliografia
BRONZONI, FERRARI 1997
L. BRONZONI, P. FERRARI, Chiaravalle della Colomba (PC), in Le Terramare. La più antica civiltà padana, a cura di M.Bernabò Brea, A.Cardarelli, M.Cremaschi, Milano, 1997, pp. 215-216.
BRONZONI, FORNARI 1997
L. BRONZONI, C. FORNARI, Chiaravalle della Colomba (PC) in Le Terramare. La più antica civiltà padana, a cura di M.Bernabò Brea, A.Cardarelli, M.Cremaschi Catalogo della mostra, Milano, 1997, pp. 311-312.
Maria Bernabò Brea, Lorenza Bronzoni, Paolo Ferrari, Cecilia Fornari
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1.2. Travo (PC), Loc. S. Andrea
In località S.Andrea, su un terrazzo della sponda sinistra
del fiume Trebbia, ai margini del paese di Travo (PC), negli anni
1983 e 1988 era stata messa in luce una grande capanna
rettangolare pertinente al Neolitico superiore (BERNABO
BREA, CATTANI, FARELLO 1994). Nel 1995-96 è stato
possibile riprendere le indagini, in unarea ubicata ad una
cinquantina di metri dalla prima, ampia circa 600 mq. Il nuovo
scavo ha accertato lesistenza di altri due edifici analoghi
a quello già individuato, benchè leggermente più piccoli, ed
orientati in modo simile. Accanto alle capanne sono state
osservate altre strutture funzionali.
Ledificio che è stato per ora interamente messo in luce,
rettangolare ed ampio circa m 10 x 6, è delimitato su tre lati
da una canaletta continua, mentre il lato breve verso fiume è
costituito da quattro grosse buche di palo. A metà del lato
breve, a monte, si trova un tratto limitato di muratura in
ciottoli a secco.
Tale edificio sembra aver tagliato una precedente capanna
rettangolare, che è stata finora individuata solo parzialmente,
ma che presenta un orientamento lievemente disassato ed ha il
perimetro formato da una canaletta non continua e da una serie di
buche di palo.
In prossimità delle capanne descritte sono inoltre venute in
luce diverse strutture di combustione, fra cui si riconoscono due
piccoli focolari a fossa concava perimetrate da ciottoli
fluviali, e nove strutture di combustione in fossa
subrettangolare, parzialmente rubefatte e lastricate di ciottoli
talvolta fessurati dal calore, al di sotto dei quali si sono
notate fibre lignee carbonizzate.
Infine resta da interpretare un imponente allineamento di
ciottoli, lungo una quindicina di metri ed orientato come la
capanna più recente, che è venuto in luce nellangolo
sud-ovest dellarea di scavo, la cui esplorazione non è
ancora terminata.
I materiali raccolti confermano genericamente lattribuzione
del sito al Neolitico superiore di facies Chassey, benchè alcuni
oggetti, fra cui una pintadera allungata raffigurante un motivo a
scacchiera, richiamino anche contatti, peraltro già osservati,
(BERNABO BREA, CATTANI, FARELLO 1994) con la facies
"VBQ".
Gli scavi sono stati condotti dalla Soprintendenza Archeologica
dellEmilia Romagna con la collaborazione del Comune di
Travo, della Fondazione della Cassa di Risparmio di Piacenza e
dellAssociazione Culturale "La Minerva" di Travo.
Bibliografia
BERNABOBREA, CATTANI, FARELLO 1994
M.BERNABÒ BREA, M.CATTANI, P.FARELLO, Una struttura insediativa del Neolitico superiore a S.Andrea di Travo (PC), in Quaderni del Museo Archeologico Etnologico di Modena, I, 1994, pp. 55-87.
Maria Bernabò Brea, Daniela Castagna, Simone Occhi
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1.3. Fidenza, loc. Ponte Ghiara
Durante i lavori per la posa di un metanodotto,
nel 1995 è venuto in luce un sito neolitico in loc. Ponte
Ghiara, presso la statale Fidenza-Salsomaggiore. Gli scavihanno
attraversato il sito per una lunghezza di circa 70 m con una
trincea larga 4 m, che nellarea più significativa è stata
allargata fino a 12 m.
Il limite dellarea antropizzata verso nord coincide col
margine di una depressione corrispondente ad un paleoalveo
fluviale. Al suo interno è stato riconosciuto un suolo
rimaneggiato dallintervento antropico, sul quale si è
sedimentato uno strato colluviale nella zona più depressa,
mentre quelle più alte subivano erosione. La superficie così
formatasi appare incisa da una serie di strutture.
Lintensa attività pedogenetica in seguito ha omogeneizzato
la parte superiore della stratificazione, che appare formata da
terreno uniforme, scuro ed organico, in cui non si riconosce la
quota di impianto delle strutture nè la loro successione
stratigrafica. Lesistenza di più fasi duso,
tuttavia, è dimostrata dalla sovrapposizione di alcune
strutture. Fra queste ultime si distinguono:
- 10 pozzetti pluristratificati del diametro
fra 170 e 3 m e profondi da 60 a 120 cm, che costituiscono
probabilmente dei silos poi riutilizzati come fosse da rifiuti o,
in alcuni casi, per alloggiare delle sepolture;
- una quindicina di buche e fosse di minori dimensioni;
- una diecina di buche di palo distribuite senza ordine
riconoscibile;
- un tratto di acciottolato, osservato per circa 9 m, largo m
3,5-4
Infine nellarea di scavo sono venute in
luce undici sepolture prive di corredo, in parte riferibili alla
fase finale delloccupazione, che in più casi presentano
caratteri particolari.
Otto di esse sono ad inumazione con scheletri rannicchiati,
deposti in fosse apposite (4 tombe di cui una bisoma) o entro un
pozzetto riutilizzato (3 casi), non isorientati.
Nel riempimento di un pozzetto si sono inoltre riconosciuti resti
umani disarticolati e, al centro, un cranio isolato. Infine si
sono identificate due sepolture ad incinerazione deposte nel
terreno, una delle quali solo parzialmente combusta.
Il sito è databile ad una fase iniziale della cultura dei Vasi a
Bocca Quadrata, come attestano i vasi a bocca quadrilobata
decorati a graffito geometrico-lineare e la rarità dei foliati
nellindustria litica; fra i materiali significativi si
possono citare uno scalpello in pietra levigata, tre pintadere di
cui una a tratti subparalleli ed una a spirale, un frammento di
ceramica figulina dipinta, un frammento di ansa tipo Serra
dAlto, alcuni frammenti di ceramica di impasto bruno
dipinta in rosso.
Eccezionale è il rinvenimento, soprattutto nellunità
superiore, di almeno 30 frammenti di figurine fittili femminili,
pertinenti a diverse tipologie stilistiche, pur essendo prematura
la ricostruzione dei singoli tipi. Si riconoscono almeno un busto
a gruccia, una testa a cilindretto con naso, occhi e bocca, due
teste a calotta di cui una con sommaria rappresentazione del
viso, alcune gambe cilindriche. Le più numerose sono però
quelle, molto schematiche, raffigurate sedute e destinate ad una
visione sintetica di profilo.
La presenza di testimonianze di riti funerari diversi e talvolta
inusuali, accostata anche allesistenza del tratto di
acciottolato e soprattutto al rinvenimento di un numero. Gli
scavi sono stati finanziati dalla SNAM e diretti da Caterina
Ottomano e Nadia Colombi per la Coop. Archeosistemi, rilevante di
statuine fittili permette di ipotizzare una connotazione rituale
per larea oggetto di scavo, almeno durante una delle fasi
di occupazione del sito.
Maria Bernabò Brea, Paola Mazzieri, Caterina Ottomano
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1.4. Poviglio, Terramara S.Rosa a Fodico
Fra il 1994 e il 1996 sono proseguite le
campagne di scavo nella terramara S. Rosa a Fodico di Poviglio
(RE); le nuove indagini hanno ampliato larea di scavo
avviata a partire dal 1991 nel cosiddetto "villaggio
grande", che ha assunto la dimensione di oltre 2000 mq.
Di particolare interesse è risultata la lettura della
planimetria della fase insediativa su palafitta allasciutto
(BERNABOBREA, CREMASCHI 1997): al di sotto del terrapieno
sono comparsi vari grandi pozzi profondi oltre 2 metri e alcuni
tratti di canaletto con sezione a "V", affiancato da
una serie di buche di palo, alcune delle quali doppie. Benché il
significato di tali strutture, ancora in corso di scavo, non sia
certo, esse testimoniano un intenso utilizzo dell'area prima
dell'impianto del terrapieno.
All'interno dell'area insediata, delimitata da una fascia priva
di strutture, il suolo basale è punteggiato da file di buche di
palo allineate NO-SE e distanti una dall'altra m 0.70-1,20. Al
centro del settore indagato si riconoscono file molto regolari di
grossi pali, interrotte ogni 10-12 m da modeste discontinuità;
verso N, invece, le buche sono più piccole e disposte in modo
meno regolare, e ai limiti N-E si nota una striscia larga circa
sei metri priva di pali.
Al di sopra delle buche di palo allineate più regolarmente si
trovavano una trentina di cumuli di cenere di forma
tendenzialmente conica, ciascuno dei quali circondato da butti di
frammenti ceramici, di concotto e di scarsi resti di fauna. La
loro geometria dimostra che si tratta di scarichi gettati
dall'alto e il loro stato di conservazione attesta che sono
rimasti indisturbati, senza aver mai subito calpestio. E
dunque confermata lipotesi che i cumuli di cenere siano
formati da detriti domestici - soprattutto puliture periodiche
dei focolari - gettati da un piano soprelevato, costituito
probabilmente da un impalcato ligneo formato da piattaforme
affiancate, ampie 100-120 mq. ciascuna, sulle quali si trovavano
le case.
La zona dei pali meno regolari sembra documentare strutture
utilitarie più piccole e meno stabili; ad esempio alcuni granai
soprelevati sono indiziati nei punti in cui si notano quattro
pali doppi in un quadrato di circa m 4 x 4. Infine la striscia a
N-E priva di pali sembra un limite dell'area abitativa, forse
costituito da un percorso, il quale fra l'altro risulta essere
rimasto attivo anche durante le fasi successive dell'abitato.
Le analisi del suolo, la determinazione dei molluschi e
l'esistenza di alcuni grandi silos e di pozzi per acqua
confermano che la palafitta non era impiantata nell'acqua, ma su
terreno asciutto.
Le campagna di scavo sono state condotte dalla Soprintendenza
Archeologica dellEmilia Romagna in collaborazione con il
CNR- Dipartimento di Scienze della Terra dellUniversità di
Milano, con il contributo del Comune di Poviglio e di COOPSETTE
Bibliografia
BERNABOBREA, CREMASCHI 1997
BERNABÒ BREA, M. CREMASCHI, La terramara di S.Rosa di Poviglio: le strutture, in Le Terramare. La più antica civiltà padana, a cura di M.Bernabò Brea, A.Cardarelli, M.Cremaschi, Milano, 1997, pp.196-212.
Maria Bernabò Brea, Mauro Cremaschi
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1.5. S. Polo dEnza, loc. Pontenuovo
Nel corso del 1995 uno scavo sistematico in due
lotti di terreno di prossima edificazione in una lottizzazione
artigianale posta ai margini del paese hanno consentito di
rilevare la presenza di 119 buche di palo alla base di una
sequenza stratigrafica comprendente anche i resti di un
insediamento protostorico di V sec. a.C..
Le buche di palo, disposte solo apparentemente in maniera
caotica, per quanto di problematica interpretazione, vista
lassenza di elementi caratterizzanti, possono forse
ricondursi ad una palizzata eretta in zona in un periodo compreso
tra il Bronzo finale e la prima età del Ferro.
Allo scavo, diretto dalla scrivente, hanno partecipato Luana
Cenci e Silvia Pellegrini della Cooperativa AR/S Archeosistemi di
Reggio Emilia, ed è stato condotto con finanziamenti sia
ministeriali che privati
Manuela Catarsi DallAglio
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1.6. Formigine, loc. Cantone di Magreta
Dopo le indagini preliminari del 1987-88 e la
prima campagna di scavo del 1990 (Ferrari, Steffè 1994), le
ricerche della Soprintendenza Archeologica dellEmilia
Romagna nellinsediamento della Cultura dei vasi a bocca
quadrata di "stile geometrico-lineare", rinvenuto
nellalveo del fiume Secchia, sono proseguite nel 1994 e nel
1996.
Sono state messe in luce complessivamente ventisei strutture di
varia forma e dimensioni su una superficie totale di oltre 900 mq
(fig.1). Sono presenti pozzetti-silos a bocca circolare e sezione
cilindrica, pozzetti a profilo arrotondato, grandi buche
irregolari al fondo delle quali si aprono pozzetti a bocca
circolare. Sono inoltre documentate alcune fosse allungate
"sigariformi" che presentano al fondo delle due
estremità incavi per lalloggio di pali; sono interpretate
come fosse di tanninazione per la concia delle pelli (tan-pit;
Bagolini et al. 1993) (fig.2).
Per quanto riguarda le industrie, si segnala il rinvenimento,
nella litica, di elementi di tradizione primo-neolitica quali i
microbulini e i geometrici romboidali, che confermano, assieme
alle già note caratteristiche della ceramica,
lattribuzione ad un momento iniziale dello "stile
geometrico-lineare" della Cultura dei vasi a bocca quadrata.
Va ancora rimarcata la presenza allinterno delle strutture
indagate, seppure non così massiccia come per la struttura I del
1987, di numerose macine e macinelli in arenaria.
Controlli eseguiti al di sotto del piano duso neolitico,
nellarea finora indagata, non hanno portato in luce resti
di sepolture: le due inumazioni rinvenute nel 1988 restano
pertanto, al momento, una testimonianza isolata. Lo scavo è
stato effettuato con operatori della Ditta Archeosistemi di
Reggio Emilia e anche grazie allappoggio logistico e
tecnico dellAmministrazione comunale di Formigine e
dellImpresa Unicalcestruzzi.
Bibliografia
BAGOLINI et al. 1993: B.BAGOLINI, A.FERRARI, A.PESSINA, Strutture insediative nel Neolitico dellItalia settentrionale, in Strutture dabitato e ambiente nel neolitico italiano, Atti XIII Convegno Nazionale sulla Preistoria-Protostoria-Storia della Daunia, Foggia 1993 (S.Severo 1991), pp.33-58.
FERRARI, STEFFÈ 1994: A.FERRARI, G.STEFFÈ, Il sito neolitico di Cantone di Magreta (Formigine-Modena). Sondaggio 1° 1987, in Quaderni del Museo Archeologico Etnologico di Modena I, 1994, pp.9-35.
Alessandro Ferrari, Giuliana Steffè
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1.7. Castelvetro, loc. S. Polo Canova
Nellestate 95, a seguito di
sistemazioni agrarie, alla base di un terrazzo prospiciente
lalveo olocenico del torrente Guerro, sono state rinvenute
le tracce di un insediamento databile allEtà del Rame
(fig.1). Lintervento demergenza ha messo in luce
parte di unampia struttura infossata, tagliata a oriente da
una canalina di scolo e, verso occidente, progressivamente erosa
mano a mano che il terreno declina verso lattuale corso del
Guerro. Lateralmente, solo uno dei margini è stato individuato.
Il riempimento presentava un primo livello franco argilloso
bruno, ricco di carboni diffusi, sovrapposto a un deposito franco
giallastro con concrezioni calcaree frequenti, caratterizzato da
grandi carboni sciolti. Estremamente comuni risultavano ciottoli
e pietre a volte lavorate, mentre in minor misura comparivano
manufatti in pietra scheggiata, frammenti ceramici ed elementi
faunistici.
Nellindustria litica, realizzata in selce disponibile in
loco, si annoverano perforatori, cuspidi di freccia a peduncolo e
alette, ogive e nuclei su ciottolo a stacchi centripeti.
La ceramica è realizzata in impasto per lo più grossolano con
inclusi minerali e presenta generalmente forme aperte e profonde,
talora con prese plastiche e decorazioni a squame.
Il rinvenimento, databile allEneolitico, si inquadra nel
Gruppo di Spilamberto. Lo scavo è stato condotto dalla
Soprintendenza, con gli operatori della Ditta Archeosistemi di
Reggio Emilia,
Alessandro Ferrari, Giuliana Steffè
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Nel 1994, in occasione della rimozione di un
vigneto nella proprietà del sig. Enzo Bertelli la Soprintendenza
Archeologica dellEmilia Romagna e il Museo Archeologico
Etnologico di Modena avviarono un intervento di controllo
archeologico preventivo per accertare lo stato di conservazione
della necropoli dell'età del bronzo di Casinalbo nel Comune di
Formigine (Mo) già documentata da precedenti ricerche e da
interventi di scavo archeologico condotti da Arsenio Crespellani
nel 1880, da Fernando Malavolti nel 1949 e da Benedetto Benedetti
nel 1974. Il controllo preventivo è stato attuato su una
superficie di circa 250 m² asportando lo strato arativo fino
alla profondità circa di 60/70 cm. Nel corso degli scavi sono
state individuate 27 urne cinerarie relative alla necropoli
dell'età del Bronzo e diverse unità stratigrafiche pertinenti
ad episodi contemporanei e posteriori allimpianto della
necropoli. Nel 1995 uno scavo stratigrafico condotto su di una
superficie molto più ampia di circa 550 m², ha esteso
lindagine anche nellattiguo podere Maletti,
consentendo lindividuazione e lo scavo di altri 103
cinerari, di diverse strutture (buche di palo e fosse) e il
riconoscimento del limite occidentale della necropoli. Si è
inoltre accertato che una parte della necropoli è ancora ben
conservata, in quanto lo strato archeologico, coperto da un
deposito alluvionale, non è stato intaccato sia da interventi
posteriori alletà del Bronzo sia dai recenti lavori di
aratura. Ricognizioni sistematiche di superficie hanno inoltre
consentito di precisare la dimensione della necropoli, estesa su
una superficie di oltre un ettaro (Cardarelli 1997).
La tombe tutte ad incinerazione e disposte entro pozzetti poco
profondi erano a volte segnalate da cottoli collocati
verticalmente al di sopra delle sepolture. Allinterno della
necropoli sono documentati, oltre ad un più esteso
raggruppamento verosimilmente pertinente allarea centrale
del sepolcreto, anche alcuni gruppi periferici composti da pochi
sepolture e distanziati dal nucleo principale da spazi privi di
tombe. Sopra uno di questi raggruppamenti periferici è stato
inoltre individuato un focolare da riferire a dei rituali che
verosimilmente si svolgevano allinterno della necropoli.
Alla sfera rituale si deve ricondurre anche la presenza di
diversi oggetti in bronzo rinvenuti sulla superficie di
frequentazione della necropoli. Si tratta di frammenti di spade,
almeno uno dei quali presenta tracce di frammentazione
intenzionale, spilloni, fibule e numerosi ribattini che recano
segni di bruciature provocate dal rogo dellincinerazione.
Finora solo 21 cinerari sono stati sottoposti a un microscavo
condotto in laboratorio. Un quarto di essi, credibilmente da
riferire a sepolture femminili, ha restituito anche alcuni
oggetti riguardanti labbigliamento e lornamento
personale. Si tratta di reperti deformati dal rito
dellincinerazione fra cui armille in bronzo, una fibula in
bronzo frammentaria ad arco di violino, un fermatrecce in filo di
bronzo, una testa di spillone a rotella con si raggi in corno,
una perla in pasta vitrea e un dischetto in osso forato. Gli
altri cinerari hanno restituito soltanto i resti della
cremazione.
Sui resti scheletrici delle cremazioni di Casinalbo si stanno
conducendo analisi antropologiche che hanno già fornito alcuni
dati sia in relazione al sesso del defunto, sia per quanto
concerne letà dei cremati, sia, infine, in relazione alla
stima del numero minimo di individui presenti in ogni cinerario:
la presenza di due individui, un adulto ed un bambino, è stata
infatti riscontrata anche nella necropoli di Casinalbo
allinterno di un solo cinerario.
La datazione delle tombe scavate è attribuibile alla fase
avanzata del Bronzo medio ed al Bronzo recente. Le ricognizioni
di superficie sono state condotte con la collaborazione del
Gruppo Archeologico F. Malavolti di Formigine.
Bibliografia
A. Cardarelli, La necropoli di Casinalbo in Le Terramare. La più antica civiltà padana, catalogo della mostra (Modena 15 marzo - 22 giugno) a cura di M.Bernabò Brea, A.Cardarelli, M.Cremaschi, Milano 1997, pp. 689-696.
Andrea Cardarelli., Maurizio Cattani, Donato Labate, Giuliana Steffè
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1.9. Castelnuovo Rangone, loc. Montale
La terramara di Montale nota nella letteratura
archeologica per gli importanti dati strutturali e il ricco
materiale restituito dagli scavi ottocenteschi è stata oggetto
tra il 1993 ed il 1996 di nuove indagini con la realizzazione di
sondaggi geoarcheologici (trivellazioni), di due trincee, di un
microrilievo dellarea archeologica e di un saggio di scavo
(fig. 1). Queste ricerche hanno consentito di accertare la
presenza di un fossato perimetrale non identificato nei
precedenti scavi dell'800, di precisare ulteriormente la
dimensione della terramare e verificare lo stato di conservazione
del deposito archeologico nelle zone risparmiate dagli scavi del
secolo scorso (Cardarelli 1995; Cattani, Labate 1997).
La presenza del fossato è stato evidenziato da una serie di
carotaggi realizzati nel corso del biennio 1993 -94
nellambito di un più ampio progetto di verifica dello
stato di conservazione delle terramare del Modenese condotto dal
Museo Civico Archeologico Etnologico di Modena. Il fossato è
stato oggetto anche di indagini più approfondite, con la
realizzazione di due trincee che hanno consentito di accertare la
larghezza, di circa 40 m. e la profondità di circa 6,3 metri
dallattuale piano di campagna. Allestremità
orientale della "Trincea A" è stata identificata e
scavata una buca di palo di forma conica da riferire
probabilmente alla palizzata che sosteneva largine il quale
circondava linsediamento terramaricolo esteso per una
superficie di circa 12.000 m². Nella trincee è stata messa in
luce una stratigrafia che ha evidenziato la presenza sviluppo di
diversi fossati: uno delletà del bronzo; uno di probabile
età romana; uno di età medievale ed altri più recenti di
piccola dimensione. Allestremità occidentale del fossato
è stato individuato lantico piano di campagna
delletà del bronzo, posto ad una quota di circa tre metri
più bassa rispetto ai primi livelli di occupazione
dellabitato, che doveva pertanto essere collocato su un
dosso a lato di un probabile antico corso dacqua. Della
terramara ancora intatta nel 1868, si conserva oggi, dopo gli
interventi operati il secolo scorso, tutto il perimetro del
fossato e circa il 25 % dellarea dellabitato. Si è
inoltre accertato che nelle zone interessate dalle attività
estrattive del secolo scorso, sono ancora conservati buchi di
palo, alcune evidenze dell'argine e lembi di terreno
antropizzato.. Lo stato di conservazione e la possibilità
di rilevare una delle poche stratigrafie ancora integre di una
terramara hanno indotto la Soprintendenza Archeologica
dell'Emilia Romagna, il Museo Civico Archeologico Etnologico di
Modena ed il Comune di Castelnuovo Rangone di cui labitato
di Montale fa parte, ad avviare un progetto di ricerca e
valorizzazione del sito.
La prima fase di questo progetto è consistita in un intervento
di scavo per riportare alla luce la sezione stratigrafica del
fronte cava ottocentesco per oltre 20 m, indagando anche il piano
basale della cava per circa 74 m². In quest'area sono state
individuate 263 buche di palo di varia profondità e diametro,
molte delle quali conservano tracce di legno e ciottoli usati per
inzeppature.
Nel complesso la stratigrafia rilevata ha fornito una successione
assai articolata: sono state individuate 78 unità stratigrafiche
riconducibili a 4 grandi insiemi o fasi e a 9 unità
stratigrafiche principali (fig. 2). Giudicando la successione
stratigrafica nel suo insieme, lo strato basale (US 9) appare
dominato da processi di alterazione pedogenetica in ambiente
ricco di sostanza organica ma di insediamento diradato. Le unità
successive appaiono costituite da butti, ricchi di legno. La
presenza di abitazioni su impalcato ligneo è ipotizzabile per
questi livelli (USS 8-5). Gli strati superiori presentano
un'incidenza del legno assai minore di quelli sottostanti e
appaiono più fortemente rimaneggiati. Dalla sezione
stratigrafica di Montale proviene un numero abbastanza limitato
di reperti che tuttavia sembrano confermare la cronologia già
attribuita al sito.
Cronologicamente la successione stratigrafica appare compresa fra
l'inizio della media età del bronzo (non è tuttavia certa la
presenza del BM1) e il Bronzo Recente, confermando la cronologia
attribuita al sito attraverso i materiali provenienti dagli scavi
dell'Ottocento. Dalla sezione stratigrafica sono stati prelevati
sette campioni di carbone sui quali sono state effettuate
datazioni radiocarboniche che hanno fornito (ad eccezione delle
USS 5 e 8) datazioni che possono essere ritenute relativamente
congrue alle tipologie dei materiali archeologici riscontrati in
stratigrafia (Cardarelli et al. 1997).
US 9 (GX-22500) 3220 ± 60 BP.; cal. 1489-1408
a.C.
US 8 (GX-22499) 3520 ± 160 BP.; cal. 1875-1785 a.C.
US 7 (GX-22498) 3305 ± 200 BP.; cal. 1593-1528 a.C.
US 5 (GX-22497) 2770 ± 230 BP.; cal. 906 a.C. (1 s 1256 - 771)
US 3 (GX-22496) 3140 ± 60 BP.; cal. 1426-1408 a.C.
US 2b (GX-22495) 3050 ± 60 BP.; cal. 1366-1263 a.C.
US 2a (GX-22494) 3050 ± 60 BP.; cal. 1366-1263 a.C.
Di unampia porzione della stratigrafia messa in luce a Montale è stato realizzato un calco esposto nella mostra Le Terramare. La più antica civiltà Padana, che si è tenuta a Modena nel periodo marzo-giugno 1997. La sua collocazione definitiva sarà il parco archeologico che si ha intenzione di realizzare a Montale con la collaborazione dei diversi enti coinvolti nella ricerca: Comune di Castelnuovo Rangone, Soprintendenza Archeologica dellEmilia Romagna, Museo Civico Archeologico Etnologico di Modena.
Bibliografia
A. Cardarelli 1995, La terramare di Montale (Castelnuovo Rangone, Modena), in Emilia Romagna, Guide archeologiche. Preistoria e Protostoria in Italia, 3, Forlì, pp. 203-209.
A. Cardarelli, M. Cattani, M. Cremaschi, D. Labate, G. Steffè 1997, Nuove ricerche nella terramara di Montale (MO). Primi risultati, in Le Terramare. La più antica civiltà Padana, catalogo della mostra (Modena 15 marzo - 22 giugno) a cura di M.Bernabò Brea, A.Cardarelli, M.Cremaschi, , Milano 1997, pp. 224-228
M. Cattani, D. Labate 1997, La terramare di Montale (MO), in Le Terramare. La più antica civiltà Padana, catalogo della mostra (Modena 15 marzo - 22 giugno) a cura di M.Bernabò Brea, A.Cardarelli, M.Cremaschi, , Milano 1997, pp. 97-99.
Andrea Cardarelli., Mauro Cremaschi., Maurizio Cattani, Donato Labate, Giuliana Steffè
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1.10. San Cesario sul Panaro, cava Marchi
Lavori di coltivazione delle cave di ghiaia
nella fascia attigua allalveo del fiume Panaro in comune di
S.Cesario, stanno portando in luce al di sotto delle alluvioni
ghiaiose oloceniche, a circa sei metri di profondità, lembi di
paleosuoli di età preistorica, contenenti resti di insediamenti
databili fra linizio del pieno Neolitico e lEtà del
Rame, da mettersi probabilmente in relazione con i già numerosi
rinvenimenti effettuati in passato nel greto stesso del fiume
(Ferrari, Steffè 1993).
In particolare, al fondo della Cava Marchi nellinverno
1995-96 sono venute in luce, in unarea di circa quattromila
mq, tracce di ampie strutture riferibili allEneolitico, in
alcuni casi assai ricche di resti di cultura materiale (fig.1).
Poiché i lavori di cava avevano portato lo strato antropico in
gran parte allo scoperto rendendolo facilmente aggredibile dalle
variazioni atmosferiche, nellautunno 1996 la Soprintendenza
ha effettuato un primo intervento demergenza che ha
comportato una protezione delle zone maggiormente a rischio e lo
scavo di una decina di strutture.
Larea finora indagata è caratterizzata da buche poco
profonde, pozzetti, buche di palo, canalette, con riempimento
più o meno fortemente antropizzato, che hanno restituito
significative testimonianze di industria ceramica e litica,
nonché abbondanti resti faunistici e paleobotanici (fig.2).
Nella ceramica si segnalano, oltre alle consuete forme profonde
decorate a squame, scodelle e vasi a bocca ristretta con
decorazioni impresse a formare motivi a bande, finora ignote nel
patrimonio del Gruppo di Spilamberto; sono inoltre presenti
numerose fusaiole discoidali piatte o a sezione tronco-conica.
Lindustria litica comprende, accanto ai caratteristici tipi
a ritocco sommario, diverse cuspidi foliate che richiamano da
vicino gli esemplari dei corredi sepolcrali della necropoli di
Spilamberto. Si segnalano inoltre alcuni elementi dadorno,
in osso e in steatite.
E di estremo interesse notare che linsediamento di
Cava Marchi si colloca immediatamente alle spalle proprio
dellarea della necropoli eneolitica di Spilamberto (Archeologia
a Spilamberto 1984): la prosecuzione delle ricerche offrirà
loccasione, eccezionale per la conoscenza della piena Età
del Rame, di indagare su unampia superficie
lorganizzazione di un abitato eneolitico e i suoi rapporti
con i coevi aspetti sepolcrali. I lavori sono stati eseguiti
dalla Ditta La Fenice di Bologna, con la collaborazione di
numerosi volontari del Gruppo Naturalisti di Spilamberto.
Bibliografia
FERRARI, STEFFÈ 1993: A.FERRARI, G.STEFFÈ, Aggiornamenti sul Neolitico fra Reno e Secchia (BO-MO), in Studi e Documenti di Archeologia VIII, 1993 (1995), pp.9-21.
Archeologia a Spilamberto 1984: Archeologia a Spilamberto. Ricerche nel territorio (Spilamberto-S.Cesario), a cura di B.Bagolini, Bologna 1984.
Alessandro Ferrari, Giuliana Steffè
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Recenti controlli effettuati nella vasta area
compresa tra le vie S.Donato, S.Caterina di Quarto e Bassa dei
Sassi, interessata da numerosi lavori edili e di collegamento
viario, hanno accertato tracce di intensa frequentazione fin
dallantichità (fig.1).
A fasi cronologiche genericamente riferibili alla preistoria si
possono attribuire frammenti di ceramica dimpasto sia
grossolano che fine, dispersi in terreni debolmente antropizzati
o allinterno delle tracce residue di probabili strutture
interrate.
Il gruppo di reperti che riveste maggiore interesse non è
purtroppo riportabile ad un contesto stratigrafico certo, in
quanto è stato raccolto allinterno di lembi di terreno
nerastro, ricchi di carboni, contenuti nei terreni di risulta
derivanti da uno scasso di ampie dimensioni e con profondità che
in alcune parti superava i tre metri. I controlli effettuati
lungo le pareti dellarea escavata non hanno evidenziato
resti di strutture o di paleosuoli antropici ben caratterizzati,
sicché la concentrazione particolare dei reperti nella terra di
riporto va forse riferita alla distruzione dei resti di una
piccola sottostruttura.
La ceramica raccolta (qualche decina di frammenti) è realizzata
in impasto da medio-fine a medio-grossolano con inclusi minerali
e, meno frequente, chamotte. In particolare si segnalano (fig.2):
lorlo di una scodella a pareti rettilinee e quello a risega
interna riferibile a una scodellina; un frammento di tazzina con
profilo sinuoso e bugnetta sulla carena, le cui pareti conservano
tracce di lucidatura; un frammento di orciolo globulare con orlo
leggermente estroflesso; una bugnetta forata orizzontalmente
riferibile forse a un orciolo e un frammento di vaso a bocca
ristretta. Si ha infine un frammento di vaso a bocca quadrata con
bordo a tacche e sottostanti impressioni a trascinamento, il cui
impasto si differenzia dai precedenti sia per la maggiore
grossolanità (gli inclusi minerali sono di grandi dimensioni)
che per il colore rossiccio anziché grigio.
Lindustria litica è rappresentata da un piccolo frammento
di lamella triangolare in ossidiana; va segnalata infine
lestremità di un corno che fu forse usata come lisciatoio.
Linsieme dei reperti si inquadra nelle fasi recenti del
Neolitico padano, in ambito che si può genericamente definire
"Chassey-Lagozza". Qualche spunto di approfondimento
viene offerto dalla presenza della tazzina a profilo sinuoso con
bugnetta impervia sulla carena; si tratta infatti di un elemento
rinvenuto, per il momento, soltanto in Toscana, nella struttura á a Podere
Casanuova (5.000 +/- 70 B.P.: Aranguren, Ducci, Perazzi 1991), in
Romagna, in via Decio Raggi a Forlì (Morico, Prati 1996), e in
Emilia, al Pescale e in particolare a Spilamberto-sito VIII (4995
+/- 100 B.P.: Bagolini, Ferrari, Steffè c.s.). E
interessante lindicazione che viene da questultima
località, dato che, dei due diversi siti riferibili allo
"Chassey-Lagozza" qui individuati, luno (sito
III) mostra significativi contatti con la facies ligure-toscana
dello Chassey ligure e le sue emanazioni piemontesi, laltro
(sito VIII) documenta più aspetti distinti, anche se
cronologicamente non molto lontani, riportabili comunque alla
tradizione lagozziana: da un momento (tagli V-VI) immediatamente
successivo alla fase di tradizione Lagozza con varianti locali
individuabile al Pescale sino a un aspetto tardo-lagozziano cui
si associano elementi della tarda tradizione v.b.q. con affinità
nord-alpine (tagli I-II). La tazzina con bugnetta sulla carena
non compare nel sito III, mentre è ampiamente documentata in
tutti i livelli del sito VIII.
In questo quadro, in assenza di dati stratigrafici precisi, il
frammento di vaso a bocca quadrata raccolto a San Donato,
tipologicamente collocabile sia nella fase di "stile
meandro-spiralico" che nella successiva "a incisioni e
impressioni" della Cultura dei vasi a bocca quadrata,
potrebbe o essere la testimonianza di una frequentazione
precedente a quella di tradizione "lagozziana" indicata
dagli altri reperti, oppure, in associazione con questi,
documentare un momento avanzato dell'ultimo Neolitico di facies
padano-alpina.
Bibliografia
ARANGUREN, DUCCI, PERAZZI 1991: B.M. ARANGUREN, S.DUCCI, P.PERAZZI, Il villaggio neolitico di Podere Casanuova (Pontedera, Pisa), in RScPreist XLIII, 1-2, 1991, pp.155-215.
BAGOLINI, FERRARI, STEFFÈ c.s.: B.BAGOLINI, A.FERRARI, G.STEFFÈ, Il recente Neolitico di Spilamberto (Modena), in BPI c.s.
MORICO, PRATI 1996: G.MORICO, L.PRATI, Il sito di via Decio Raggi, Forlì, in Quando Forlì non cera. Origine del territorio e popolamento umano dal Paleolitico al IV sec.a.C., catalogo della mostra, a cura di G.Bermond Montanari, M.Massi Pasi, L.Prati, Forlì 1996.
Paolo Calligola, Giuliana Steffè
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1.12. SantAgata Bolognese, loc. Montirone
Le ricerche avviate nel 1993 sul complesso
archeologico di Montirone di S.Agata (Bottazzi, Ferrari, Steffè
1995; Idem 1997) hanno avuto una prosecuzione
nellautunno del 1994 con due diversi tipi di indagine.
Da un lato si è realizzato il completamento della raccolta
superficiale nella parte orientale del Sito II, che
allepoca del primo intervento era ricoperta da colture
erbacee, dallaltro si è effettuato un saggio di scavo
aprendo una lunga fascia trasversale dal Sito I sino alla parte
iniziale del Sito II.
La raccolta superficiale ha riguardato la parte del Sito II posta
ad ovest dello scolo Ingola, per unampiezza di 9600 mq ca.;
le caratteristiche cromatiche e tessiturali dei clusters rilevati
sono ben collegabili, nella zona a nord-ovest, a quelle già
individuate e in accordo con le evidenze riscontrate su foto
aerea (fig.1). Solo nella zona sud-ovest i dati risultano confusi
per interventi di risistemazione e spianamento che hanno portato
probabilmente ad affiorare il substrato sterile. Altra area di
perturbazione è da riferire allo spostamento dello scolo Ingola
e al successivo riempimento del vecchio tracciato, con esiti -
comunque - poco influenti sulla leggibilità e interpretazione
dei dati.
Il saggio di scavo ha interessato da ovest a est, per una
larghezza di 5 m e per lintera lunghezza (16 m), la parte
del Sito I non intaccata dalle cave ottocentesche, raggiungendo
il limite orientale del Sito II. Nel tratto che separa i due
Siti, si è proceduto con un approfondimento in trincea e con una
serie di trivellazioni allo scopo di comprendere i rapporti fra i
due abitati limitrofi e il "fossato" interposto,
nonché lesatta natura di questultimo.
La seriazione stratigrafica del Sito I, profondamente intaccata
dalle arature che raggiungono anche i 50 cm inglobando frammenti
ceramici, resti di pavimentazioni e di rivestimenti in concotto,
si conserva intatta per uno spessore medio di 25-30 cm,
permettendo lindividuazione di elementi strutturali
significativi (focolari e loro scarichi, livelli pavimentali,
riporti per livellamento).
La parte basale è costituita da livelli limo-argillosi di
riporto uniformemente stesi su tutta larea (US 135), su cui
poggiano alcuni cumuli di terreno interpretabili come scarichi di
focolare e caratterizzati da cenere, carbone e grumi di concotto.
La successiva fase individuata appare caratterizzata da livelli
argillosi per la risistemazione della superficie insediativa, in
funzione di bonifica o di sottofondo ai piani pavimentali (US 91
e 23); in un caso (US 113) è stato rinvenuto un vero e proprio
vespaio di frammenti ceramici preparato con funzione di drenaggio
e consolidamento di unarea probabilmente ad uso abitativo
(US 27). Questultima (fig.2) è contraddistinta dalla
presenza di battuti in argilla limosa concotta, a livello dei
quali sono state identificate alcune buche di palo. In fase con
questa probabile struttura è stata evidenziata unarea di
focolare con diversi momenti di utilizzo, al cui interno sono
distinguibili scarichi composti prevalentemente da cenere (US 120
e 262), aree di terreno rubefatto (US 28, 117 e 118) nonché
alcune assi lignee carbonizzate disposte ad angolo retto (US
116).
Immediatamente al di sotto dellarativo si individuano
scarsi resti degli strati superiori dellabitato, costituiti
da terreni fortemente antropizzati oggi pressoché totalmente
perduti (US 18 e 19).
La trincea eseguita tra i Siti I e II ha documentato, come già
supposto sulla base delle foto aeree, la presenza di un
paleoalveo il cui canale senescente in incisione fu utilizzato in
funzione di fossato. Il relitto del canale fluviale è segnalato
da opposte scarpate su cui si impostano livelli di scarico
riferibili ai due Siti delletà del Bronzo; in origine era
largo almeno 60 m, per poi ridursi - forse per intervento
antropico - a poco più di 40 m. Ai lati del "fossato"
sono state riconosciute due fasce di una ventina di metri di
larghezza pressoché libere da strutture e da frequentazione
antropica, interpretabili come possibili terrapieni in alzato
oggi completamente spianati fino al livello basale (fig.1).
Lanalisi dei reperti ceramici (Ferrari, Morico, Steffè
1997) permette di datare limpianto del Sito I alle fasi
iniziali del Bronzo Medio (BM1), mentre al BM2 vanno ascritti i
livelli duso abitativo. Dagli strati più superficiali,
accanto a reperti ancora riferibili al BM2, compaiono elementi
più recenti, mentre materiali ceramici inquadrabili tra la fine
del BM e linizio del BR sono documentati nelle raccolte di
superficie.
Allo stesso orizzonte cronologico o decisamente al BR è
attribuibile gran parte della ceramica raccolta sulla superficie
degli altri Siti che costituiscono il complesso del Montirone.
Solo la prosecuzione delle ricerche potrà accertare se i Siti
individuati siano stati insediati in epoca coeva oppure se vi sia
stata una progressiva espansione a partire da un nucleo primario.
Bibliografia
BOTTAZZI, FERRARI, Steffè 1995: G.BOTTAZZI, P.FERRARI, G.STEFFÈ, I siti delletà del Bronzo di Montirone di SantAgata Bolognese: ricerche topografiche e geoarcheologiche, in Studi e Documenti dArcheologia VIII (1993), ed.1995, pp.40-64.
BOTTAZZI, FERRARI, STEFFÈ 1997: G. BOTTAZZI, P. FERRARI, G. STEFFÈ, Montirone di S.Agata Bolognese, in Le Terramare. La più antica civiltà padana, a cura di M.Bernabò Brea, A.Cardarelli, M.Cremaschi, Milano 1997, pp.237-238.
FERRARI, MORICO, STEFFÈ 1997: P. FERRARI, G. MORICO, G. STEFFÈ, Montirone di SantAgata Bolognese, in Le Terramare. La più antica civiltà padana, a cura di M.Bernabò Brea, A.Cardarelli, M.Cremaschi, Milano 1997, pp.331-332.
Gianluca Bottazzi, Paolo Ferrari, Gabriella Morico, Giuliana Steffè
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Nellarea immediatamente a ovest di
Anzola, destinata alla realizzazione di un progetto urbanistico
ampio circa 36.000 mq (Comparto 4), sin dal 1992 si stanno
conducendo prospezioni volte alla conoscenza
dellestensione, della morfologia e della stratigrafia
generale di un sito archeologico rinvenuto fortuitamente in
occasione dellinizio dei lavori (Cardarelli et al.1991-92).
Dopo i primi controlli, lindagine è proseguita con
verifiche anche sulle zone circostanti, per una superficie
complessiva di circa 200.000 mq, e inoltre con lesecuzione
di alcune brevi trincee (con approfondimenti per
"plana"), per tarare i dati stratigrafici
precedentemente acquisiti con i carotaggi (fig.1).
Si è confermata la suddivisione della sequenza antropizzata in
tre livelli: al tetto quello rimaneggiato in età romana,
caratterizzato da frammenti laterizi e ceramici dispersi (questi
ultimi appartenenti sia alletà romana che alletà
del Bronzo); al di sotto, due livelli contenenti solo materiale
delletà del Bronzo. La superficie topografica rimase per
secoli la medesima e si può notare come il tetto del livello
romano ricalchi, addolcendole, le morfologie più antiche (fig.2,
sezione).
Nel 1993 è stato anche eseguito un intervento di scavo lungo la
parte dello Scolo Lavinello (circa 240 ml) posta allinterno
del comparto e destinata ad ampliamento ed approfondimento per
limmissione in uno scatolare. La sezione originaria (a
"V") del Lavinello aveva già comportato - nella sua
parte centrale - la distruzione dello strato archeologico; lo
scavo ha interessato pertanto esclusivamente due fasce di 80-110
cm circa, conservate lungo le sponde.
Si è potuto constatare come effettivamente la stratigrafia
generale fosse continua attraverso tutto il comparto e
caratterizzata da unintensa antropizzazione (piani di
dispersione di frammenti ceramici, fosse di scarico, centinaia di
buche di palo e fossati).
Unaltra area di scavo, di circa 200 mq., è stata aperta
nellestate del 1996 e ha verificato la continuità di due
ampi fossati e di una canaletta, intercettati lungo il Lavinello
(fig.2, linee B); a questultima era collegato un pozzo per
emungimento idrico.
Ad Anzola la copertura alluvionale e i livellamenti artificiali
recenti, per uno spessore variabile tra 80 e 230 cm, impediscono
la lettura in superficie di morfologie residue sia mediante
interpretazione aerofotogrammetrica che mediante microrilievo.
Non essendo percorribile la via dello scavo archeologico totale,
una buona lettura della morfologia sepolta del sito e una
discreta correlazione lito-sedimentologica sono comunque
ottenibili dallelaborazione delle colonne stratigrafiche
ricavate nel corso dei vari tipi di indagine. Si è potuta così
rilevare una notevole corrispondenza fra il grado di
antropizzazione e la presenza di un "alto morfologico"
orientato circa NO-SE, ai cui margini si nota una rarefazione
graduale nel contenuto organico e di artefatti dei livelli
antropici, una minore o assente suddivisione macro e
microstratigrafica e una diminuzione dello spessore (fig. 2,
fascia E). Ai limiti di questarea morfo-composizionale ben
definita sono state eseguite alcune trincee di controllo mirate,
rinvenendo tracce di depressioni interpretabili come fossati
artificiali (fig.2, linee C).
Lanalisi di alcune carote aveva già indicato, in più
punti allinterno dellarea indagata, la presenza di
depositi alluvionali ascrivibili allalveo di un corso
dacqua: la correlazione di queste evidenze con le carte
morfologiche elaborate ha consentito di tracciare il probabile
percorso di un paleoalveo (fig.2, linee A) quasi certamente
attivo nel corso delletà del Bronzo e poi colmato
artificialmente in età romana.
Alla luce di questi dati la morfologia complessiva del sito di
Anzola mostra una serie di analogie con le caratteristiche dei
villaggi terramaricoli padani: collocazione geo-morfologica su
conoide, anche se in fascia distale; rapporto stretto con un
corso dacqua naturale; presenza di fossati artificiali.
Tuttavia tali elementi, per quanto finora a noi noto, si
presentano con tratti difformi rispetto alla casistica
conosciuta, in particolare per quanto riguarda le ridotte
dimensioni del probabile fossato perimetrale (fig.2, C) e
lassenza di qualunque traccia di terrapieno. Ancora di
difficile lettura è il significato del corso dacqua
artificiale (fig.2, B) che, secando l"alto
morfologico", pare connettere due concavità del paleoalveo
naturale isolando un settore dinsediamento.
Qualche chiarimento, oltre che dal proseguimento delle indagini,
potrà forse venire dallanalisi sistematica dei reperti,
che accerterà eventuali differenze cronologiche nelle diverse
aree di abitato.
Sulla base di quanto finora esaminato (Finotelli et al. 1997) il
sito di Anzola si colloca cronologicamente tra la fine del Bronzo
medio e una fase non troppo avanzata del Bronzo recente,
mostrando, oltre che le caratteristiche tipiche dellambito
terramaricolo, anche significativi rapporti con gli insediamenti
subappenninici del bolognese e della Romagna. Da sottolineare il
rinvenimento di numerosi reperti in bronzo e di una forma di
fusione, che documentano la presenza ad Anzola di
unofficina metallurgica. I lavori sono eseguiti dalla Ditta
A & R Archeologia e Restauro di Bologna.
Bibliografia
CARDARELLI et al. 1991-92: A.CARDARELLI, S.CREMONINI, F.FINOTELLI, G.STEFFÈ, Anzola Emilia (BO), insediamento dellEtà del Bronzo, in Studi e documenti di Archeologia VII, 1991-92 (1993), pp.173-175.
FINOTELLI et al. 1997: F. FINOTELLI, G. MORICO, G. STEFFÈ, Anzola Emilia (BO), in Le Terramare. La più antica civiltà padana, a cura di M.Bernabò Brea, A.Cardarelli, M.Cremaschi, Milano 1997, pp.363-364.
Gabriella Morico, Fabrizio Finotelli, Giuliana Steffè
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1.14. Castel S. Pietro Terme, cava Orto Granara.
Lo sbancamento operato dai mezzi meccanici, per
portare alla luce il conoide ghiaioso, ha evidenziato, almeno
sulla parte del fronte nord della cava in oggetto, la sezione del
terreno di copertura delle ghiaie stesse, dello spessore medio di
m. 2,50.
La stratigrafia di copertura é composta, per quasi lintera
totalità, da orizzonti argillosi alluvionali depositati in tempi
diversi a parte langolo est dove é presente un banco di
argilla sabbiosa carbonatica, che dalle ghiaie sale fin sotto
larativo, per sparire con discreta pendenza in direzione
ovest dopo circa 25 metri.
A 2 metri al disotto il livello di campagna si sono rinvenuti
sporadici frr. di laterizi di epoca romana leggermente fluitati,
associati ad altri frr. ceramici apparentemente più antichi.
Stessa situazione si ripete nella zona posta fra i 40 e i 46
metri, ad iniziare dallangolo est, alla profondità di m.
3, e quindi più bassa di 50 cm. rispetto al top delle ghiaie.
Qui il terreno è costituito da argilla bruno giallastra
piuttosto plastica.
I rinvenimenti sono costituiti per la maggior parte da resti
ossei attribuibili a Bovidae sp. seguiti da quelli fittili
sia romani sia da altri, probabilmente più antichi.
Le argille e i materiali inglobati costituiscono il riempimento
di una depressione erosiva delle ghiaie, causata da un probabile
corso dacqua con andamento N.E. - S.O., della profondità
di circa 2 metri.
Tra i materiali romani si riconoscono frr. di ceramica a vernice
nera., acroma e grezza, altri di anfore e di dolii.
I materiali ritenuti più antichi sono costituiti da alcuni frr.
di orlo di dolio ad impasto molto grossolano e da diversi altri
non riconoscibili nelle forme ma sempre di impasto grossolano.
Infine una fusaiola biconica (diametro 28 mm.) con solcature
radiali (falsa cordicella?) alternate da stampigli non
comprensibili. Per questultima è possibile, come
collocazione cronologica, indicarla come appartenente
alletà del ferro.
In base ai rinvenimenti ritenuti più antichi si potrebbe
considerare linsieme degli stessi come appartenenti ai
resti di una tomba a dolio, probabilmente del Villanoviano IV.
Giorgio Bardella
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1.15. Lugo di Romagna, Fornace Gattelli
Con le campagne di scavo 1994, 1995 e 1996
lindagine archeologica nellabitato neolitico di Lugo
è proseguita su diversi fronti: lo scavo della capanna, quello
di una serie di strutture nellarea a questa adiacente e il
proseguimento dell'esplorazione del complesso perimetrale del
villaggio. Questo impegno nello scavo simultaneo di unarea
tanto vasta è legato allobiettivo a medio termine (due
anni circa) di esaurire completamente lindagine nei settori
aperti, chiudendo un primo ciclo (quindicennale) della ricerca e
giungendo a una prima presentazione analitica dei dati raccolti.
Per quanto riguarda la capanna, ultimato il laborioso smontaggio
dei crolli (concotto ed elementi lignei carbonizzati; fig.1)
dovuti allincendio che ne ha provocato la distruzione, è
stata messa in luce la pianta completa della struttura abitativa,
che presenta forma rettangolare (m 10x7 ca) orientata NNO-SSE ed
appare chiaramente suddivisa in due distinti ambienti di
dimensioni e caratteristiche funzionali diverse (fig.2).
Lambiente di maggiori dimensioni (ca.42 mq di superficie
utile) conservava il piano di un focolare circolare in posizione
centrale rilevata e, a ridosso della parete settentrionale, un
forno dotato di copertura a "botte". La quasi totale
assenza di manufatti riscontrata nel vano nord contrasta con la
grande quantità di reperti rinvenuti sotto i crolli del vano
sud, più piccolo e di forma rettangolare: si tratta di almeno
otto vasi ricostruibili, frammenti di macina in arenaria,
industria litica e un consistente accumulo di cariossidi di
cereali carbonizzati, che inducono a ipotizzare per questo
ambiente una funzione di stoccaggio delle derrate alimentari
oltre che di luogo deputato ad alcune attività di produzione e
trasformazione. Una tazza carenata monoansata è stata rinvenuta
integra e capovolta dentro la buca di palo centrale che separa i
due ambienti: sembra trattarsi di una deposizione intenzionale,
riconducibile alla sfera ideologica dei "riti di
fondazione" che trova immediato confronto a Lugo stessa nel
bicchiere rovesciato contenente una zampa anteriore di cane
rinvenuto proprio sul fondo della trincea di posa della palizzata
perimetrale.
Della capanna restano da indagare i piani pavimentali, costituiti
da stesure artificiali di sedimento limo-argilloso assai
compatto, nonché le evidenze negative delle strutture lignee
portanti; ciò consentirà di comprendere compiutamente le
caratteristiche architettoniche della struttura.
A est della capanna, in unarea già pesantemente decapitata
dal piano di coltivazione della cava Gattelli; è stata
individuata una grande buca di forma allungata; questa grande
fossa-rifiutaia ha conservato nei riempimenti basali, le tracce
di diverse fasi di utilizzo: dapprima fu probabilmente scavata
per estrarvi il sedimento limo-argilloso, poi deputata al
trattamento di depurazione per decantazione dellargilla
stessa (vi sono chiare tracce di prelievo del sedimento più fine
dal punto di vista granulometrico) ed infine riempita con
scarichi eterogenei di manufatti rotti o inservibili, resti di
pasto, pulizie di focolari.
Nelle campagne di scavo 1995-96 si è anche ripresa
lindagine nella parte già individuata delle strutture
perimetrali dellabitato. Nel fossato si sono asportati i
due riempimenti (quello superiore, di abbandono e quello
inferiore, relativo alle fasi di vita della struttura): si è
così meglio documentata la morfologia generale di questa unità
negativa che appare chiaramente costituita da una serie di buche
allungate in fitta successione, ognuna parzialmente intaccata
dallaltra, a tratti con vere e proprie interruzioni: si
potrebbe ipotizzare dunque per questa opera una funzione di
drenaggio superficiale ma non di deflusso delle acque.
Considerato tuttavia che sembra esservi corrispondenza tra il
volume del sedimento escavato dal fossato e quello conservatosi
nel modesto "argine" rilevato che lo affianca, il
fossato potrebbe essere considerato semplicemente come cava di
approvvigionamento di materiale inerte impiegato
nell"argine". Il proseguimento dello scavo di
questultimo ha permesso di meglio chiarire i rapporti
stratigrafici tra la serie di elementi lignei parzialmente
combusti alloggiati in buche poste a distanza regolare, i
travetti lignei paralleli allasse di sviluppo del rilevato
già individuati nel settore scavato in precedenza e il terreno
che con il suo accumulo costituisce l'"argine" stesso;
i nuovi dati consentono di avanzare lipotesi che il
rilevato oggi osservabile sia il risultato del collassamento di
unopera in terra e contenimento ligneo (una sorta di
"muretto"), forse complementare e in fase con la
palizzata e il fossato.
Per quanto concerne la palizzata, si è notato che, al fondo
della sua canaletta di posa, sono talora presenti dei legni
adagiati orizzontalmente a costituire una sorta di
"piede" o "trave rovescia" di fondazione per
gli elementi verticali. Sia questi legni che la parte inferiore
di quelli verticali risultano combusti: è probabile che si sia
trattato di un intervento intenzionale di tempratura col fuoco
per rendere il legno più resistente ai fattori di degrado.
Per finire, controlli eseguiti a seguito di lavori di estrazione
nel lato est della cava hanno permesso di verificare, con una
serie di carotaggi, la presenza di accumuli consistenti di
concotto, di elementi lignei combusti nonché del noto suolo
argilloso antropizzato: ciò conferma la continuità e
lestensione dellabitato neolitico, prefigurando
possibili nuove direzioni di sviluppo delle ricerche per gli anni
a venire. Le campagne di scavo sono state condotte dalla
Soprintendenza con gli operatori della ditta CO.R.A. di Trento e
lapporto di numerosi volontari.
Bibliografia
N. DEGASPERI, G. STEFFÈ. P. VON ELES, Lugo di Romagna (RA). Insediamento neolitico di Fornace Gattelli, in Studi e documenti di Archeologia VIII, 1993, pp.347-348, con bibliografia precedente.
N. DEGASPERI, A. FERRARI, G. STEFFÈ, Linsediamento neolitico di Fornace Gattelli a Lugo di Romagna, Comune di Lugo, 1996.
Nicola Degasperi, Giuliana Steffè, Patrizia von Eles