Archeologia dell'Emilia Romagna

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7. Mostre, Studi e Attività di Valorizzazione

7.1. La riapertura del Museo Archeologico Nazionale di Ferrara
7.2. La tomba Lippi 89 al Museo di Verucchio
7.3. Il progetto del Museo Archeologico di Castelfranco Emilia
7.4. Inaugurazione della Sezione Archeologica del Museo Civico di Carpi
7.5. Modena. Le Terramare. La più antica civiltà padana. (15 marzo - 22 giugno 1997)
7.6. L'insediamento neolitico di Fornace Gattelli a Lugo di Romagna
7.7. Forlì, mostra: Quando Forlì non c’era. Origine del territorio e popolamento umano dal Paleolitico al IV secolo a.C.
7.8. Forlì, mostra: Mosaici a Melodola, la villa Teodoriciana.
7.9. Forlì, mostra: Archeologia e didattica, Teodorico e il suo tempo.
7.10. Ravenna, mostra : I mosaici di via d’Azeglio a Ravenna.
7.11. Ravenna, mostra: La musica ritrovata, iconografia e cultura musicale a Ravenna e in Romagna dal I al VI secolo.
7.12. Russi, mostra: Mostra dei lavori di recupero della ex chiesa Santa Maria in Albis e dei documenti sulla storia dell’ospedale di Russi.
7.13. Castel S. Pietro (BO): Iniziative di ricerca e divulgazione.
7.14. Giornata di incontro sul tema: "Gli Ispettori Onorari per l'archeologia - Ruolo, presenza, operatività nell'Emilia Romagna"
7.15. Tutela archeologica e pianificazione territoriale: la carta archeologica informatizzata del territorio modenese.
7.16. Progetto di Ricerca Finalizzata C.N.R.: "La pietra levigata tra Neolitico e Bronzo nell’area alpino-padana - Produzione regionale e flussi di scambio con aree europee".
7.17. "La scuola adotta un monumento": progetto per la valorizzazione del complesso rustico romano in località Sarzana di Rimini
7.18. Ciclo di conferenze "Un anno di archeologia"

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7.1. La riapertura del Museo Archeologico Nazionale di Ferrara

Conclusa la prima, lunga e forse più complessa tranche di lavori, il Museo Archeologico Nazionale, riaprendosi il 25 di aprile alla presenza del Vice Presidente del Consiglio dei Ministri e Ministro per i Beni Culturali e Ambientali Onorevole Walter Veltroni, ha restituito alla Città uno dei suoi complessi monumentali più insigni e , in esso, una sezione, limitata in quanto ad estensione ma certamente suggestiva, della storia antica del territorio.
Le sei stanze del Palazzo Costabili ora aperte rappresentano innanzi tutto un ampliamento dello spazio espositivo; in precedenza infatti erano sede della direzione e degli uffici del Museo, trasferitisi nel corpo di fabbrica che chiude a Occidente il cortile d’onore.
Nelle linee progettuali, l’aggiunta di questo primo gruppo di stanze consentirà a tutto il piano nobile di predisporsi alla presentazione dei materiali restituiti dagli scavi nella necropoli e dell’abitato di Spina, mentre gli ambienti al piano terreno, prospicenti sui giardini di Levante e di Meridione, un tempo non accessibili al pubblico poiché adibiti a deposito, ad eccezione della sala in cui venne collocata la coppia di monossili di Valle Isola e della Sala del Tesoro, ospiteranno quanto potrà illustrare, attraverso i documenti della cultura materiale, le vicende umane e del territorio che fa capo a Ferrara sino al volgere del Medioevo.
Il Museo sin da ora appare rinnovato. Lo è in forma radicale nei percorsi di accesso e di uscita, lo è in forma meno esplicita, ma non per questo meno significativa, negli apparati tecnologici, lo è, seppur non ancora compiutamente, nelle sezioni destinate all’accesso degli studiosi e che costituiscono gli spazi di approccio, di contatto e di studio con i materiali in deposito.
La forma più appariscente del rinnovamento tocca le sale della esposizione. I disparati oggetti che costituiscono i "corredi" posti nelle sepolture di Spina accanto ai defunti sono presentati senza emendamenti; le vetrine sono per quanto possibile commisurate al contenuto, ovverosia create "su misura"; la sequenza cronologica dei contesti ha operato una scelta fortemente selettiva; il commento è graduato attraverso una serie di informazioni offerte grazie a supporti differenziati.
Nella I sala sono esposti i corredi di sei sepolture scelte tra le più antiche della necropoli, nelle quali appaiono di un certo interesse il rito della cremazione entro cinerario marmoreo, documentata nelle tombe 344 e 485 di Valle Trebba, e la presenza, nei due settori topograficamente distinti della necropoli che corrispondono a Valle Trebba e a Valle Pega, di una peculiare e rara forma vascolare attica, quale la peli ke a figure rosse, nel caso specifico decorata dal pittore di Berlino agli inizi del V sec. a.C. (tombe 867 e 41 del Dosso D di Valle Pega).
La II sala esibisce i corredi, precedentemente proposti soltanto attraverso alcuni dei vasi più singolari per forma o decorazione, che vantano due capolavori della produzione del Pittore di Pentesilea; capolavori tra i quali intercorre quel lasso di tempo che consente di apprezzare lo sviluppo del linguaggio compositivo ed espressivo dell’artefice, presente a Spina con altre opere (una terza kylix, uno skyphos, un kantharos ad anse ricurve), certamente di minore respiro ma non di minore interesse.
La III sala raccoglie, in una unica vetrina, il corredo della tomba 127 di Valle Trebba nella quale appare evidente il divario tra il suggestivo cratere a volute di Polion e la relativa povertà dei restanti materiali, rappresentati da manufatti assai modesti, e dati i crateri, differenti per cronologia, forma e decorazione, provenienti da "Sequestri", i quali costituiscono uno dei fondi di cui è dotato il museo, anch’essi doviziosi di materiali talora assai pregevoli.
Nella IV sala la nuova proposta espositiva che interessa il corredo della tomba 128 di Valle Trebba, una delle più fastose del sepolcreto, consente di meglio appezzarne gli elementi costitutivi; lo stesso dicasi per i superbi materiali che accompagnavano il defunto della tomba 11 del Dosso B di Valle Pega, posta nella sala seguente, di fronte alla quale sono stati collocati, in un’unica vetrina, tre più correnti e consueti corredi che già introducono all’orizzonte cronologico del IV secolo a.C. e alla problematica di tale periodo.
L’excursus cronologico della necropoli si conclude nella VI sala; alla tomba 136 del Dosso A di Valle Pega fanno riscontro i materiali delle tombe 4 e 58 del Dosso C, tutte e tre documentano i complessi e ampi rapporti commerciali di cui Spina tiene ancora saldamente le fila nell’avanzato IV secolo.
Ci si affaccia quindi al III secolo con quattro contesti (tombe 785, 83, 288 C e 1188) che introducono alla complessa problematica dei rapporti tra Spina e il mondo celtico padano ( tomba 83 ), alla fase di quella produzione locale che viene denominata "Alto-Adriatica" (tombe 785, 288 C), al rituale collegato alla sepoltura di adolescenti, quale risulta quello esemplificato della tomba 1188, in cui costituisce un unicum per Spina la maschera punica.
Secondo queste linee di rigorosa selezione si svilupperà il successivo e conclusivo discorso; in rapporto ad esso quei materiali oggi presentati nelle sei " nuove " sale andranno a collocarsi nelle rispettive nicchie in una sequenza cronologica più ampia ed esaustiva.

Fede Berti

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7.2. La tomba Lippi 89 al Museo di Verucchio

Il 21 Giugno 1997 è stata inaugurata a Verucchio la sala dedicata alla tomba 89 della Necropoli Lippi, la cosiddetta "tomba del Trono". La tomba Lippi 89 appartiene ad un personaggio di altissimo rango, vissuto nella prima metà del VII secolo a.C., nel periodo di massimo splendore di Verucchio e appartenente ai gruppi gentilizi dominanti. Il rito funebre e l’insieme di oggetti che compongono il corredo sottolineano una pluralità di relazioni e di suggestioni culturali: il mondo etrusco, l’ambiente piceno e medioadriatico, l’adriatico settentrionale e la Slovenia.
L’allestimento, fortemente scenografico, ma basato su precise scelte metodologiche, propone una ricostruzione della struttura esterna della tomba e della sua organizzazione interna. Nella grande sala al primo piano del Museo la vetrina centrale, delle dimensioni del "pozzo" scavato nella roccia, accoglie infatti il cassone ligneo che conteneva il corredo e sopra di esso il trono, nella posizione in cui è stato trovato. Un’unica vetrina posta in fondo alla sala, ospita l’intero corredo disposto, per quanto possibile, secondo l’ordine a suo tempo stabilito. Le pareti della sala riproducono scene e motivi decorativi tratti dallo schienale intagliato del trono.
L’apparato didattico, che con i pannelli ai pannelli illustrativi propone una interpretazione del significato di questa e altre tombe principesche nel quadro della comunità di Verucchio e più in generale della protostoria italica, fa ricorso anche ad uno strumento fortemente innovativo: una "animazione" che mostra una possibile ricostruzione dello svolgimento della cerimonia funebre per il "signore della tomba 89". E’ inoltre disponibile un sistema interattivo su computer, che illustra le linee principali della storia di Verucchio e, più in dettaglio, il percorso del Museo.
L’allestimento di questa sala, rappresenta il raggiungimento di una meta fortemente perseguita dalla Amministrazione di Verucchio o, sarebbe meglio dire, dalla cittadinanza di Verucchio. Fin dal 1993, quanto ha avuto avvio il "progetto Verucchio", l’obiettivo era quello di riportare a "casa" il trono che molti considerano il "simbolo" di Verucchio.
Un nuovo progetto di allestimento per il Museo, avviato affinché il rientro si innestasse su una realtà viva e dinamica, sta procedendo in parallelo con il lavoro di restauro e catalogazione delle migliaia di reperti provenienti dalle necropoli villanoviane.
Alla inaugurazione del 21 giugno, alla presenza di un pubblico numeroso, hanno partecipato i rappresentanti degli Enti che insieme hanno contribuito sotto il profilo finanziario, tecnico e organizzativo alla realizzazione del progetto: Soprintendenza, Regione, Provincia di Rimini, Comune, Pro Loco di Verucchio, Fachhochschule di Colonia che sta provvedendo al restauro dei preziosissimi tessuti; presenti anche gli sponsor privati, in primo luogo il dott. A. Aureli per il Gruppo SCM e il dott. L. Chicchi per la Cassa di Risparmio di Rimini. Significativa anche la presenza dell’Arch. S. Foschi direttore dei Civici Musei di Rimini, con cui il Comune di Verucchio ha firmato un protocollo di intesa per la migliore valorizzazione dei materiali della facies di villanoviana di Verucchio dal territorio. L’importanza e il significato scientifico e culturale dell’iniziativa è stata sottolineata dall’intervento del prof. Renato Peroni, Ordinario di Protostoria Europea all’Università di Roma La Sapienza.
L’Allestimento della Sala del trono è stato realizzato su progetto elaborato da chi scrive in collaborazione con A. Boiardi , dall’Arch. G. Giuccioli, con la ormai consueta capacità , sensibilità e generosità. I materiali della tomba 89 sono stati revisionati e catalogati da L Bentini, T. Moretto e A C. Saltini; i disegni sono stati realizzati da E. Ghizzoni, A.M. Monaco e D. Pelagatti; i restauri sono stati realizzati nel laboratorio di restauro della Soprintendenza da F. Andreani, G. Mengoni, R. Monaco, A. Musile, G: Parrucini, M. Ricci , V. Scarnecchia; le decorazioni parietali si devono a D. Pelagatti su disegni di Agnese Mignani; i pannelli informativi sono di L. Bentini A. Boiardi, P. von Eles, T. Moretto; il software interattivo è stato realizzato da Tiziano Ceconi su progetto scientifico e testi di P. von Eles; l’animazione è stata sviluppata da P. Mantelli su ideazione di P. von Eles , con la consulenza scientifica di A. Boiardi e la collaborazione di F. Merlini.
Per una presentazione del "Progetto Verucchio" si veda P. von Eles., Il centro villanoviano di Verucchio: studi, ricerche e valorizzazione, in Archeologia dell’Emilia Romagna , 1977, I,1, pp.21-22

Patrizia von Eles

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7.3. Il progetto del Museo Archeologico di Castelfranco Emilia

Palazzo Piella, edificio rinascimentale che si affaccia sulla via Emilia nel centro storico, è stato recentemente restaurato e deputato ad ospitare il costituendo Museo Archeologico. La collaborazione tra la Soprintendenza Archeologica dell’Emilia Romagna e l’Amministrazione Comunale offre l’opportunità di rendere fruibile un consistente patrimonio di importanza non solo locale.
All’ingresso della struttura museale inizia il percorso espositivo (fig.1) che, attraverso testi, fotografie e documenti, illustrerà la storia delle ricerche archeologiche nel territorio, della carta archeologica e delle citazioni di Forum Gallorum, Borgo Franco, Castelfranco nelle fonti storiche. Nella prima sala quattro vetrine con plastici affiancati da pannelli esplicativi illustrano lo sviluppo del centro urbano dalla fondazione ad opera dei Bolognesi, nei primi decenni del XIII secolo, alle fortificazioni rinascimentali, di cui sono conservate testimonianze tuttora visibili in Piazza A. Moro, in Corso Martiri e nell’area "ex Fiammiferi", fino all’impianto attuale.
La sala successiva, dedicata al periodo che va dalla protostoria all’età romana, propone un nuovo approccio museale in termini didattici. Nelle vetrine a parete un piano scorrevole, ad altezza di bambino, consente di "portare a sé" materiali alloggiati in un espositore aperto sotto il piano espositivo classico, solitamente inaccessibile. Tale logica di piena integrazione, già a livello progettuale, dei diversi gradi di fruizione del museo, porta su un piano di effettiva compenetrazione le esigenze dei diversi utenti, rispettando le specificità culturali e generazionali senza inutili sovrapposizioni e penalizzanti ghettizzazioni.
Il popolamento antico del territorio di Castelfranco Emilia investe un arco cronologico molto ampio, a partire dall’Età del Bronzo Medio fino all’epoca post Rinascimentale.
L’età del Bronzo (XVII-XII a.C.) viene illustrata da una serie di reperti che riconducono agli insediamenti terramaricoli, di cui è noto quello di podere Pradella che cronologicamente si inquadra fra la prima fase della media età del Bronzo e l’età del Bronzo recente.
La prima età del Ferro (IX-VIII a.C.), corrispondente al periodo villanoviano, è illustrata dai recenti scavi condotti in zona "Galoppatoio", di una necropoli e del rispettivo abitato ascrivibili all’VIII a.C.: si riscontra in questa fase una strutturazione abitativa per gruppi di capanne, costruite in materiale deperibile, con annessi spazi produttivi e con proprie aree sepolcrali limitrofe. La necropoli si distingue nel panorama generale della regione per il considerevole numero delle tombe scoperte, con i rispettivi ricchi corredi, e per l’alta cronologia.
Al periodo orientalizzante (VII a.C.) appartiene una sepoltura individuata nel secolo scorso ed oggi conservata al Museo Civico Archeologico di Bologna, con ricco corredo fra cui una situla con decorazione a sbalzo, morsi di cavallo a pelta e fibule in ambra e pasta vitrea.
Alla seconda età del Ferro si riferisce il ripostiglio di aes signatum (fig.2), databile fra VI e V a. C. Questo rinvenimento venne effettuato alla fine dell’800 nei pressi di Riolo: si tratta di lingotti, con un segno a rilievo tipo "ramo secco", in rame fuso entro matrice bivalve e del peso variabile fra 600 gr e 2 kg. Tale ripostiglio sia come peso degli esemplari attestati che come numero di lingotti è il più consistente finora rinvenuto in Italia.
Dall’area di Pra dei Monti provengono i bronzetti votivi ascrivibili ancora al VI-V a.C., testimonianza della presenza di una probabile stipe votiva ubicabile, grazie anche alla documentazione delle fonti, nell’area circoscritta fra Pra dei Monti e Pradella.
Le campagne di scavo condotte nei pressi del "Forte Urbano" dalla Soprintendenza Archeologica dell’Emilia Romagna e dall’Ecole Pratique de la Sorbonne di Parigi hanno messo in luce un impianto abitativo, cinto da argine e fossato, internamente articolato in canalizzazioni ortogonali, probabilmente con la presenza di capanne nelle aree intermedie. I materiali recuperati, ceramica attica, aes rude, ceramica di tipo etrusco e gallica, provano che Castelfranco fra V e IV a.C. era inserito in circuiti commerciali e culturali di ampio raggio.
Le monete greche in bronzo attribuibili al IV-III a.C. provenienti dalla località Pradella/Savoia, sono un altro rinvenimento di estremo interesse in quanto queste emissioni monetali non circolavano fuori dall’area di origine. In Italia settentrionale se ne contano pochi esemplari, la cui presenza viene posta in qualche modo in relazione alla presenza celtica e ai contesti votivi. A conferma della presunta presenza di una stipe votiva in podere Pradella/Pra dei Monti si segnala infine un gruppo di statuine fittili di devote ascrivibili al III-II a.C. provenienti dalla medesima area.
I rinvenimenti di età romana provengono dagli insediamenti rurali inseriti nel tessuto centuriale, conservato soprattutto a nord della via Emilia. La recente scoperta in via Noce di un miliario dedicato agli imperatori Valentiniano e Valente attesta la sistemazione dell’assetto viario nella seconda metà del IV secolo d.C. Sono inoltre documentate alcune epigrafi sepolcrali di diverso ambito cronologico che attestano la presenza di ricche sepolture dislocate sul territorio. Alla prima età imperiale, fra I e II d.C., è stata attribuita la necropoli romana di via Peschiera, scavata nel 1986.

Bibliografia

N. Giordani, (Modena) Castelfranco Emilia. Via Peschiera, in "Studi e Documenti di Archeologia", II, 1986, p.140.
N. Giordani-M. Librenti, Castelfranco Emilia (Mo), piazza Moro. Strutture abitative e difensive bassomedievali, in "Studi e Documenti di Archeologia", VIII, 1993, pp. 328-330.
V. Manfredi, Forum Gallorum nella topografia e nella storia, in "Aevum", XLIX, 1975, pp.100-126.
Manfredi, Un miliario da Forum Gallorum, in "Rendiconti dell’Istituto Lombardo", CXVII, 1983, pp.22-28.
V. Manfredi, La guerra di Modena (43 a.C.), in "Modena dalle origini all’anno Mille. Studi di Archeologia e Storia", catalogo della mostra, Modena 1989, pp. 338-342.
L. Malnati-D. Neri, Nuovi dati e problemi aperti sulle fasi villanoviana ed orientalizzante ad occidente di Felsina, "Quaderni del Museo Archeologico Etnologico di Modena", I, 1994, pp.153-170.
D. Neri, Due bronzetti a figura umana da Castelfranco Emilia (MO),"Studi e Documenti di Archeologia", VIII, 1993, pp.116-128.
Neri, Castelfranco Emilia: aes signatum e moneta greca. Aspetti premonetali e monetali nell’Emilia centrale, cds.

Fausto Ferri, Nicoletta Giordani, Diana Neri

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7.4. Inaugurazione della Sezione Archeologica del Museo Civico di Carpi

Il 25 maggio 1995 è stata inaugurata a Carpi, presso il Castello dei Pio, la Sezione Archeologica del Museo Civico "G. Ferrari". L’iniziativa, avviata nel novembre del 1993 e promossa dalla Soprintendenza Archeologica dell’Emilia Romagna e dal Comune di Carpi, ha richiesto il riordino e lo studio del numeroso materiale conservato presso il Museo. Infatti, ai reperti di proprietà civica, costituiti principalmente da alcuni manufatti provenienti dallo scavo del 1898 effettuato nel sito della Terramara denominata "Savana di Cibeno", ed esposti fin dal 1914 in due bacheche a muro, se ne sono aggiunti molti altri. Si tratta sia di reperti attribuibili a varie epoche, l’arco cronologico ricoperto dai rinvenimenti va dall’età del Bronzo fino al Rinascimento, raccolti nel corso degli ultimi venti anni dal Gruppo Archeologico Carpigiano, che di materiali provenienti da scavi di età romana condotti e diretti dalla Soprintendenza.
La creazione di una Sezione Archeologica era già stata auspicata nel 1984 in seguito al successo ottenuto della mostra "Prima di Astolfo. Ricerche archeologiche nel Carpigiano". L’allestimento è stato pensato e progettato per un pubblico costituito prevalentemente da studenti (dai 6 ai 18 anni) e da appassionati di storia locale. Pertanto, si è cercato di fornire ai visitatori le informazioni di base per la comprensione del dato archeologico, attraverso un inquadramento storico generale, confidando nell’importanza didattica ricoperta da queste esposizioni locali. La collocazione della Sezione in una sala del Castello dei Pio -edificio con peculiari caratteristiche strutturali- ha richiesto una particolare attenzione nella progettazione del percorso, il quale è stato suddiviso in cinque parti, o sottosezioni: "L’età del Bronzo", "L’età del Ferro", "L’età Romana", "L’età post-classica" e "L’indagine archeologica". Ogni sottosezione comprende uno o più pannelli, uno per ogni specifico argomento trattato. L’allestimento risulta caratterizzato dalla presenza di micro-percorsi, nei quali vengono approfonditi vari aspetti della cultura materiale. Per facilitare la fruizione dei dati ogni sottosezione risulta contraddistinta da specifici colori, oltre che da una numerazione progressiva dei pannelli e delle vetrine. E’ stata inoltre predisposta una mini-guida all’esposizione, sotto forma di depliant, distribuita gratuitamente ai visitatori.
In particolare, la sottosezione "L’indagine archeologica", dove vengono illustrate le principali tecniche di raccolta dei dati adottate nell’archeologia, sottolinea il carattere didattico dell’allestimento: i due pannelli riguardanti "Le ricognizioni di superficie" e "La fotografia aerea", sono stati collocati all’inizio del percorso come introduzione all’esposizione e come necessaria premessa per la realizzazione della Carta archeologica del territorio, mentre altri tre pannelli riguardanti "La stratigrafia", "Lo scavo stratigrafico" e la "Storia di un sito archeologico", concludono il percorso, sottolineando l’importanza della raccolta scientifica dei dati.
La progettazione, la realizzazione dell’allestimento e la guida sono stati eseguiti della scrivente con il coordinamento scientifico della Dott.ssa Nicoletta Giordani ed il coordinamento editoriale del Dott. Alfonso Garuti. Alla realizzazione dell’allestimento hanno contribuito Antenore Manicardi, Gianni Guerzoni, Lucia Armentano, Davide Ferretti e Alberto Giovanoli. La realizzazione delle strutture del percorso e l’impaginazione dei pannelli sono frutto della collaborazione con, rispettivamente, Gianni Truzzi e Emiliano Stentarelli. I restauri sono stati eseguiti da Renzo Lodi e Eloisa Gennaro.
Nell’autunno del 1996 il terremoto ha causato alcune lesioni al Castello, pertanto la Sezione Archeologica è momentaneamente chiusa, pur non avendo subito alcun danno materiale.

Carla Corti

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7.5. MODENA. Le Terramare. La più antica civiltà padana. (15 marzo - 22 giugno 1997)

Il Comune di Modena, la Soprintendenza Archeologica dell’Emilia Romagna, La Regione Emilia Romagna e la Provincia di Modena, assieme ad un nutrito gruppo di altri soggetti pubblici e privati, hanno dato vita ad una grande mostra su una delle realtà archeologiche più importanti dell’intera protostoria italiana ed europea: le terramare.
Alla felice stagione di ricerche e scavi ottocenteschi del secolo scorso sulle terramare, che di fatto inaugurò la grande tradizione della paletnologia italiana, fece seguito per oltre settanta anni un immeritato oblio che cominciò ad essere infranto solo venti anni fa. L’esposizione modenese si è proposta dunque in primo luogo di risarcire questa iniqua sottovalutazione e di riproporre, anche grazie alle nuove e numerose acquisizioni scientifiche di questi ultimi anni, un quadro, il più possibile esauriente, di una civiltà che per circa cinque secoli dominò la pianura padana.
La mostra, posta sotto l’alto patronato del Presidente della Repubblica Italiana e patrocinata dal Consiglio d’Europa nell’ambito della campagna L’età del Bronzo. Prima età d’oro d’Europa e dal Ministero dei Beni Culturali ed Ambientali si è articolata in 12 sezioni tematiche all’interno delle quali ha trovato spazio l’esposizione di circa 3000 reperti provenienti da 15 diversi musei. Pannelli esplicativi particolarmente curati dal punto di vista grafico ed una serie di tre documentari relativi alla ricostruzione della terramara di S.Rosa di Poviglio, alla fabbricazione di vasi e di oggetti in bronzo secondo le tecnologie usate dalle genti delle terramare, hanno permesso al grande pubblico di cogliere gli aspetti significativi di questa realtà archeologica proponendone una lettura assai articolata ma impostata secondo una chiara ed esauriente dimensione divulgativa. A questo scopo grande importanza ha rivestito anche la presenza di alcune ricostruzioni a grandezza reale come ad esempio i gabbioni lignei dell’argine della terramara di Castione dei Marchesi ed i calchi di piani e di stratigrafie provenienti da S.Rosa di Poviglio, da Montale e da Vicofertile.
Estremamente significativa è stata l’esperienza didattica rivolta alle scuole e ai ragazzi. E’ stata prevista infatti un’esposizione particolare, una sorta di mostra nella mostra, esplicitamente dedicata a questa fascia di utenza nella quale i giovani potevano manipolare veri reperti, riprodurre oggetti con l’argilla e lo stagno, giocare. Anche qui riproduzioni a grandezza naturale di una capanna, di un telaio, di un aratro e una accurata scenografia con la ricostruzione grafica di attività lavorative all’interno di un villaggio terramaricolo hanno estremamente giovato alla riuscita della proposta.
La mostra inaugurata il 14 marzo alla presenza delle autorità locali, del vicepresidente del Parlamento Europeo On. Renzo Imbeni e di centinaia di studiosi ha avuto una durata di oltre tre mesi. Il successo dell’iniziativa, la cui gestione era affidata ad Aicer Spa (Agenzia Iniziative Culturali della Regione Emilia Romagna), è stato decretato da 26.000 visitatori (300 visitatori giornalieri mediamente), il più alto numero registrato per una mostra a carattere culturale realizzata a Modena. A questo dato può aggiungersi il voluminoso dossier composto dagli articoli a stampa editi da molti quotidiani e riviste nazionali e locali.
Il voluminoso catalogo (edizioni Electa), composto da 800 pagine, è stato strutturato seguendo gli argomenti delle 12 sezioni della mostra e presenta un quadro estremamente aggiornato ed articolato del fenomeno terramare visto sotto diversi aspetti fornendo alcune novità di estremo rilievo che consentono di comprendere l’intenso grado di sviluppo economico e sociale raggiunto dalle comunità terramaricole. Lo scavo ultradecennale di S. Rosa di Poviglio ha permesso di comprendere la complessa organizzazione di una terramara e la sua evoluzione evidenziando tra l’altro la sostanziale correttezza delle ipotesi formulate già dagli studiosi ottocenteschi. Le numerose ricerche a scala territoriale hanno tra l’altro consentito di acquisire importanti dati sull’organizzazione del territorio e sulla struttura politica delle terramare, come appare evidente soprattutto dalle ricerche nelle Valli Grandi veronesi, nel basso corso dell’Enza e nel modenese ma anche da una rilettura dei dati delle vecchie ricerche ottocentesche. Nuovi scavi e l’individuazione di complessi stratificati confrontati con altri di breve durata hanno permesso di acquisire, anche grazie ad alcune nuove datazioni radiometriche, una migliore articolazione cronologica. Gli scavi in varie necropoli sia a Sud che a Nord del Po hanno inoltre consentito di evidenziare aspetti notevolmente importanti del rituale e dell’organizzazione sociale. Anche lo studio di alcune produzioni artigianali tra cui la metallurgia, la ceramica e il vetro ha avuto un impulso notevole mentre la scoperta dell’esistenza di un probabile sistema ponderale in uso nelle terramare ed in altre comunità coeve e vicine propone una nuova e più complessa lettura dell’organizzazione economica e dello scambio.
Dopo la mostra modenese le terramare si presentano ora con una più forte caratterizzazione archeologica e culturale all’interno di un quadro dell’età del bronzo europea e mediterranea di cui rappresentano certamente una delle realtà più significative. In questo senso si può ritenere risarcita la grave sottovalutazione operata dagli archeologi nei confronti delle terramare ma certamente non possono ritenersi concluse le ricerche e gli studi sulle terramare che si spera che da questo successo traggano ulteriore beneficio.
Oltre al catalogo scientifico è stata curata l’edizione di una piccola guida destinata al grande pubblico e la produzione di una videocassetta. Il successo della vendite di questi tre diversi prodotti e la grande affluenza del pubblico permette di comprendere che non sempre le mostre necessitano di opere d’arte di grande risonanza estetica . L’intelligenza del pubblico può anche premiare una esposizione meno eclatante sul piano estetico ma maggiormente curata sul piano scientifico, divulgativo e didattico.
Visto il grande successo ottenuto la mostra delle terramare non chiuderà del tutto i battenti: la mostra didattica e la parte dell’esposizione dedicata alla storia degli studi e alle strutture abitative verrà riproposta con alcuni aggiornamenti a partire dal prossimo ottobre per consentire al pubblico scolastico di tornare a visitarla.

Maria Bernabò Brea, Andrea Cardarelli, Mauro Cremaschi.

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7.6. L'insediamento neolitico di Fornace Gattelli a Lugo di Romagna

Lugo (RA), Pescherie della Rocca. 7 settembre - 1 dicembre 1996

Gli scavi sistematici dell'insediamento di Fornace Gattelli, iniziati nel 1984, sono tuttora in corso: le ricerche, estremamente complesse e necessariamente lunghe, stanno riguardando un'ampia area interessata dalle strutture di recinzione del villaggio, da una capanna e da altre strutture accessorie (vedi Scheda 1.xx). Una presentazione complessiva delle ricerche svolte potrà essere effettuata solo a conclusione delle indagini in questo primo settore di scavo; tuttavia, in occasione del XIII Congresso dell’Unione Internazionale delle Scienze Preistoriche e Protostoriche, tenutosi a Forlì nel settembre ’96, la Soprintendenza Archeologica dell’Emilia Romagna ha voluto allestire, in collaborazione con l’Assessorato alla Cultura e Turismo del Comune di Lugo, una Mostra che fornisse una illustrazione delle modalità e degli ambiti della ricerca finora condotta, soffermandosi sugli elementi per i quali maggiori sono le informazioni disponibili.
Il percorso espositivo si è articolato in varie sezioni; la prima è stata dedicata alla storia delle ricerche, ad una sintetica illustrazione del primo Neolitico dell’Italia settentrionale e all’inquadramento geo-morfologico del sito. Le successive hanno presentato i principali risultati delle ricerche condotte sino ad ora relativamente alle strutture perimetrali dell’abitato, alle strutture accessorie (in particolare una grande buca-rifiutaia), e infine alla capanna: per ciascuno di questi elementi sono stati descritti e illustrati nei pannelli i particolari costruttivi e sono state elaborate alcune ipotesi interpretative. In chiusura si è proposto un inquadramento cronologico e culturale dell’insediamento.
Ogni sezione era accompagnata dall’esposizione dei reperti più significativi: in apertura, quelli recuperati all’atto della scoperta del sito da parte del Comitato per la tutela e lo studio dei beni storici del Comune di Lugo; rilevante, in questo nucleo di materiale proveniente da zone diverse del bacino di cava, la presenza, accanto ai tipi caratteristici della Cultura di Fiorano, di reperti inquadrabili negli aspetti pieni ed evoluti della Ceramica Impressa. E’ stata di seguito esposta un’ampia selezione dei reperti rinvenuti nel corso delle indagini sistematiche; di particolare impatto il gruppo proveniente dall’area della capanna: i vasi e alcuni grossi nuclei in selce raccolti all’interno del "vano sud" (fig.1); i grandi orci contenenti resti vegetali (in un caso piccole mele) collocati all’esterno della parete est, dove forse erano stati esposti intenzionalmente in funzione della conservazione o della maturazione dei frutti; una esemplificazione dei numerosi grossi blocchi di incannucciato che rivestivano le pareti della capanna.
Significativa, nel percorso della Mostra, l’anticipazione dei risultati ancora inediti delle ricerche specialistiche in corso, che hanno consentito di proporre ai visitatori un inquadramento del sito di Lugo nel suo ambiente naturale e nel contesto culturale di appartenenza.
Il piano di campagna neolitico, impostato su un suolo non molto evoluto sviluppatosi su depositi di rotta fluviale a circa 13 m dal piano di campagna odierno (-2 m sotto il livello marino attuale), fu frequentato appena prima del "momento critico" (5500 anni fa circa) rappresentato dal termine della fase di risalita veloce del livello marino conseguente allo scioglimento delle calotte dell’ultima età glaciale. All’epoca, la linea di costa doveva svolgersi circa una dozzina di km ad E di Lugo, contro i quasi 30 km di oggi; e, anche se nella sequenza stratigrafica non vi è traccia di ingressioni marine dirette, probabilmente non molto dovevano distare gli ambienti salmastri retrocostieri (lagunari).
La composizione forestale intorno a Lugo era improntata a formazioni che ricalcavano in parte il querco-carpineto e in parte l’aceri-frassineto nelle sue possibili varianti con faggio e/o tiglio. Le analisi, condotte su resti carbonizzati delle strutture lignee e su un’ampia campionatura dei resti vegetali raccolti nella grande buca-rifiutaia, mostrano un’attenta selezione delle essenze arboree in funzione della destinazione d’uso: la quercia prevalentemente nei lavori di carpenteria; acero, frassino, ecc. per focolari e forni. Le pratiche agricole avevano raggiunto un elevato sviluppo (ricchissima e varia è la presenza nella rifiutaia dei resti carpologici) (fig.2), mentre l’allevamento (bovini, caprini e ovini) veniva integrato con attività venatorie (capriolo, cinghiale, cervo, martora, gatto selvatico), con la pesca e con la raccolta dei molluschi.
Lo studio integrale dei reperti ceramici e litici, effettuato in preparazione della Mostra, ha consentito di mostrare come Lugo sia, dopo il sito eponimo, il maggiore complesso oggi noto riferibile alla Cultura di Fiorano, che è qui rappresentata con tutti i suoi tipi più caratteristici; allo stato attuale delle ricerche non è tuttavia precisabile se la maggiore o minore frequenza di alcune tipiche forme Fiorano possa essere indicativa, assieme ad altri elementi meno caratteristici che richiamano il primo Neolitico padano, dell’esistenza a Lugo di una variante locale, pur inserita nell’ambito della sfera culturale di Fiorano. Per quanto riguarda invece gli elementi inquadrabili negli aspetti pieni della Ceramica Impressa provenienti dai recuperi sussiste la possibilità che si tratti di testimonianze relative a precedenti livelli insediativi, non testimoniati nell’area delle attuali ricerche.
Interessanti, in chiusura, le prospettive che potrà offrire lo studio della distribuzione spaziale dei materiali all’interno dell’insediamento e in rapporto alle diverse strutture individuate; alcuni primi tentativi di analisi topografico-spaziale proposti nel percorso espositivo hanno illustrato la possibilità di individuare aree di lavoro specializzato sia in prossimità delle strutture di recinzione che all’esterno della capanna e suggerito ipotesi sulle modalità d’uso della capanna stessa: il "vano nord", contenente scarsissimi reperti, non pare utilizzato per specifiche attività lavorative o, comunque, era tenuto particolarmente pulito per destinarlo al soggiorno e al riposo; il "vano sud", ove sono concentrati ben otto recipienti ceramici, un considerevole numero di manufatti litici e una rilevante quantità di semi, appare come luogo destinato a molteplici attività, dalla conservazione delle derrate alimentari, alla loro manipolazione e alla preparazione degli attrezzi.
I testi dei pannelli della Mostra sono stati redatti, oltre che dai curatori Nicola Degasperi e Giuliana Steffè, da alcuni dei collaboratori alla ricerca: Paolo Boscato (analisi paleofaunistiche), Stefano Cremonini (inquadramento geo-morfologico), Alessandro Ferrari (inquadramento culturale) e Mauro Rottoli (analisi paleobotaniche). Il progetto grafico era di Gianni Bartolotti, del Comune di Lugo. In occasione della Mostra il Comune ha anche provveduto all’edizione di un opuscolo illustrativo che compendia gli aspetti salienti dello studio in corso.
N.Degasperi, A.Ferrari, G.Steffè, L’insediamento neolitico di Fornace Gattelli a Lugo di Romagna, Comune di Lugo, 1996.

Nicola Degasperi, Giuliana Steffè

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7.7. Forlì, mostra: Quando Forlì non c’era. Origine del territorio e popolamento umano dal Paleolitico al IV secolo a.C.

La mostra è stata organizzata dai Musei Comunali di Forlì e dalla Soprintendenza Archeologica dell'Emilia Romagna in occasione del XIII Congresso Internazionale di Scienze Preistoriche e Protostoriche presso la sede di Palazzo Albertini a Forlì, e si è svolta dal 7 settembre 1996 al 31 marzo 1997; vi sono state esposte le testimonianze più significative del territorio forlivese dalla preistoria all'epoca preromana, fornendo una sintesi su trenta anni di studio, di ricerca e di ricognizione sul territorio, che ha trovato così un momento di visibilità e di relazione con i confronti di materiali contemporanei presenti nei musei di Rimini, Bologna, Verona e presso la Soprintendenza Archeologica di Bologna.
Il materiale esposto, da quello geologico e paleontologico alle sepolture di epoca umbro-etrusca della zona, ha avuto il suo punto principale negli innumerevoli pezzi provenienti dallo scavo di Monte Poggiolo, un eccezionale giacimento paleolitico del quale è stata anche esposta una stratigrafia ricostruttiva, strappata dalla sezione della parete di scavo; sono stati inoltre presentate ricomposizione di nuclei di selci e stacchi, abbondantissimi e testimonianza delle fasi di lavoro.
Fra i materiali neolitici particolarmente interessanti quelli dall'insediamento della Fornace Cappuccini di Faenza e da quello di Vecchiazzano di Forlì; evidenziati inoltre l'insediamento dell'età del bronzo della Bertarina di Vecchiazzano, i nuovi rinvenimenti del bronzo finale, fra cui quello di Coriano, il ripostiglio protovillanoviano di Poggio Berni e, per quanto riguarda l'età del ferro, la grande stele orientalizzante di S. Varano e le necropoli di S.Martino in Gattrara, di Dovadola e di Rocca S. Casciano con le loro ricche sepolture.
Il catalogo, a cura di Carlo Peretto, Alberto Antoniazzi, Giovanna Bermond Montanari, Meri Massi Pasi, Gabriella Morico e Luciana Prati, è stato edito dalla ABACO di Forlì, che ha curato anche l'organizzazione del congresso.

Maria Grazia Maioli

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7.8. Forlì, mostra: Mosaici a Melodola, la villa Teodoriciana.

Sempre in occasione del XIII Congresso UISPP si è tenuta a Forlì, presso l'Oratorio di S. Sebastiano, una mostra sulla villa teodoriciana esistente sotto l'attuale abitato di Meldola, e le sue pavimentazioni musive; i frammenti di mosaico, geometrico e figurato, policromi, sono infatti databili all'inizio del VI secolo e sono stati recuperati in epoche diverse; date le caratteristiche dei motivi rappresentati, si è ipotizzato che il complesso costituisse la residenza del prefetto delle acque che gestiva l'acquedotto afferente alla città di Ravenna: si tratta di uno dei più suggestivi rinvenimenti fra quelli avutisi negli ultimi anni nel territorio forlivese, per la qualità dei tappeti musivi e l'eccezionalità dei disegni.
La mostra, aperta dal 7 settembre all'1 dicembre 1996, è stata organizzata dai Musei Comunali di Forlì e dalla Soprintendenza Archeologica dell'Emilia Romagna ed è stata curata dalla dott.sa Luciana Prati e dalla dott.sa Maria Grazia Maioli; è stata corredata di depliant illustrativo; i mosaici sono stati restaurati dalla studio L. Notturni di Ravenna, dalla Cooperativa Mosaicisti, dalla Scuola per il Restauro del Mosaico della Soprintendenza per i Beni Ambientali e Architettonici di Ravenna, dall'Istituto d'Arte per i Mosaico e dal laboratorio del Centro Operativo della Soprintendenza Archeologica, tutti di Ravenna.

Maria Grazia Maioli

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7.9. Forlì, mostra: Archeologia e didattica, Teodorico e il suo tempo.

L'esposizione, sempre in occasione del Congresso UISPP, si è tenuta a Forlì, presso la sala XC Pacifici, dal 7 settembre al 13 ottobre 1996; realizzata in collaborazione fra i Musei Comunali, la Soprintendenza Archeologica e l'Istituto d'Arte di Forlì, è stata corredata di un piccolo catalogo a cura dello stesso Istituto d'Arte; vi sono stati esposti, oltre a corredi da tombe di epoca gota della Romagna, con oggetti, fibule e ornamenti, in oro, argento e granati, anche una serie di elaborati e di manufatti eseguiti su modelli di età teodoriciana da parte degli allievi dell'Istituto d'Arte forlivese, con particolare riguardo per i passaggi dalla progettazione del pezzo alla esecuzione dello stesso; sono stati presentati inoltre esempi di arte tessile e di oreficeria, basati sulla interpretazione degli elementi decorativi dei pezzi originari, in un rapporto comparato fra archetipo e derivazione: lo stesso allestimento della mostra è stato in parte curato dagli allievi e dai docenti dell'Istituto, in collaborazione con i Musei Comunali di Forlì e con la Soprintendenza Archeologica.

Maria Grazia Maioli

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7.10. Ravenna, mostra : I mosaici di via d’Azeglio a Ravenna.

La mostra, inaugurata in occasione della Settimana per i Bemi Culturali 1995, è rimasta aperta presso il locale della Tinazzara nel Museo Nazionale di Ravenna dal 16 dicembre 1995 al 1 aprile 1997; è stata organizzata dal Comune di Ravenna, dalla Soprintendenza per i Beni Ambientali e Architettonici di Ravenna, dalla Soprintendenza Archeologica dell'Emilia Romagna con la collaborazione della Fondazione Cassa di Risparmio di Ravenna.
Assieme ad una abbondantissima documentazione grafica, iconografica e informatica, relativa allo scavo e al restauro dei pezzi, vi è stata esposta una campionatura delle pavimentazioni musive venute alla luce durante lo scavo del complesso archeologico di via d'Azeglio a Ravenna, fra cui gli emblemata con 'Danza dei Geni delle Stagioni' e con il cd. 'Buon Pastore'; i mosaici sono stati restaurati dall'Istituto d'Arte per il Mosaico e dalla Scuola per il Restauro del Mosaico della Soprintendenza per i Beni Ambientali e Architettonici di Ravenna, nonché dallo Studio Luciana Notturni, dalla Cooperativa Mosaicisti e dal Laboratorio del Centro Operativo della Soprintendenza Archeologica di Ravenna.
L'esposizione è stata corredata di un catalogo, edito da Longo Angelo Editore, di Ravenna, e di un video, prodotto dalla ditta Valerio Maioli di Ravenna; all'allestimento, curato dalla Soprintendenza per i Beni Ambientali e Architettonici di Ravenna, ha partecipato la ditta La Fenice Archeologia e Restauro.

Maria Grazia Maioli

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7.11. Ravenna, mostra: La musica ritrovata, iconografia e cultura musicale a Ravenna e in Romagna dal I al VI secolo.

La mostra, inaugurata il 26 aprile 1997 presso il locale della Tinazzara nel Museo Nazionale di Ravenna, nell'ambito delle manifestazioni per la Settimana per i Beni Culturali, è frutto della collaborazione fra il Comune di Ravenna, la Fondazione Flaminia, la Soprintendenza Archeologica, la Soprintendenza per i Beni Ambientali e Architettonici di Ravenna e l'Università di Bologna ed è nata su proposta del Dipartimento Musica e Spettacolo della stessa Università: prendendo lo spunto dalle scene figurate presenti nel complesso di mosaici di via d'Azeglio in Ravenna, in cui compaiono due siringhe, vengono esaminate tutte le raffigurazioni con strumenti musicali esistenti in Romagna, nonché i pochi strumenti musicali rinvenuti, soprattutto campanelli: sono esposti sia pezzi virtualmente inediti, come la statuetta di Orfeo citaredo di Rimini, sia materiali già conosciuti ma reinterpretati, come i piatti in argento di Cesena: l'Amorino del secondo piatto è stato infatti reinterpretato come suonatore di sonagli; oltre ai già citati mosaici da via d'Azeglio, i pezzi più eclatanti presentati in mostra sono certamente i mosaici da palazzo Gioia a Rimini, con la soglia con Vittorie in volo e la scena con Satiro e Menade con tamburello; particolare riguardo è stato dato anche alle influenze dei culti misterici, in particolare quello di Cibele, come compaiono nelle raffigurazioni e nelle iscrizioni.
La mostra è corredata di un catalogo edito da Longo Angelo Editore di Ravenna, a cura di G.Castaldo, M.G.Maioli, D.Restani..

Maria Grazia Maioli

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7.12. Russi, mostra: Mostra dei lavori di recupero della ex chiesa Santa Maria in Albis e dei documenti sulla storia dell’ospedale di Russi.

La mostra, apertasi il 12 settembre 1996 in occasione della Fiera dei Sette Dolori 96, a Russi, nel locale espositivo ricavato nella chiesa di S. Maria in Albis, ha illustrato i lavori e i rinvenimenti avutisi durante il restauro della stessa chiesa; S. Maria in Albis, chiesa di confraternita che curava l'Ospedale degli Infermi di Russi, fondata nel 1610 e usata fino all'inizio dell'800, è stata sconsacrata e trasformata; per l'occasione sono stati scavati scientificamente i sepolcri che la occupavano, compresa la fossa comune al centro della navata, ricostruendo la successione delle sepolture e identificando per quanto possibile i sepolti, in base alle targhe e alle lapidi affisse alle pareti; sono stati presentati anche i pochi oggetti di corredo, rosari, crocefissi, scarpe ecc.
Alla mostra è collegato il volume di Francesco Silvagni '4 Infermi o 2 Pazzi: Ospedale e Società a Russi dal '500 ad oggi edito dal Comune di Russi.

Maria Grazia Maioli

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7.13. Castel S. Pietro (BO): Iniziative di ricerca e divulgazione.

Nell’aprile del 1996 è stata inaugurata nella locale sala del cassero la Mostra didattica su "Castel S. Pietro e il territorio Claternate - Archeologia e documenti", promossa dal Comune dalla Soprintendenza Archeologica e dai Gruppi per la Valorizzazione della Valle del Sillaro e Città di Claterna.
Contemporaneo è stata la pubblicazione di un volume dal medesimo titolo, che affrontando con taglio scientifico le stesse tematiche di storia locale, ne hanno proposto numerosi approfondimenti.
Le due iniziative parallele, felici testimonianze di una pluriennale collaborazione tra Soprintendenza, Ente Locale e Gruppi di volontariato, hanno consentito di puntualizzare lo stato della ricerca archeologica di un ambito territoriale di grande rilievo, che comprende il centro fortificato Castellano di fondazione medioevale e una larga porzione dell’antica circoscrizione di Claterna, municipium romano sviluppatosi lungo la via Emilia, distrutto e completamente abbandonato nella tarda antichità.
Nell’occasione, da una lato si è riordinate e riesaminata la documentazione già in passato acquisita, dall’altro si sono analizzate le risultanze di numerose ricerche archeologiche condotte nell’ultimo quindicennio su contesti urbani e territoriali, attraverso scavi e prospezioni sistematiche che hanno gettato nuova luce sull’insediamento di età romana e medioevale.

Jacopo Ortalli

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7.14. Giornata di incontro sul tema: "Gli Ispettori Onorari per l'archeologia - Ruolo, presenza, operatività nell'Emilia Romagna"

Su iniziativa della Soprintendenza Archeologica dell'Emilia Romagna e dell'Assessorato alla Promozione Culturale del Comune di Budrio, il 19 aprile 1997 si è tenuto nel teatro Consorziale della cittadina un incontro che per la prima volta ha riunito gli Ispettori Onorari per l'Archeologia della regione. L'iniziativa ha voluto rappresentare un primo momento di conoscenza e di confronto sulle problematiche connesse a questa particolare figura istituzionale, anche in relazione ai profondi cambiamenti che negli ultimi anni si sono verificati nella gestione e nella pianificazione della tutela territoriale. Dopo il saluto di rito portato ai partecipanti dal Sindaco Gianfranco Celli e dal Soprintendente Mirella Marini Calvani, sono state svolte diverse relazioni che hanno affrontato tematiche di carattere generale, consentendo di porre in luce l'attuale entità, i livelli di operatività e le nuove esigenze funzionali degli Ispettori Onorari.
Nella tornata antimeridiana dei lavori il Soprintendente ne ha così illustrato il ruolo e le funzioni di supporto nell'ambito della tutela e della conservazione, quali risultano sanciti dalle varie normative succedutesi a partire dalla legge costitutiva n. 386 del 1907; Maria Teresa Pellicioni ha quindi fornito un quadro aggiornato della consistenza e delle pertinenze tematiche e territoriali degli Ispettori, oggi oltre quaranta, che operano in Emilia Romagna; Elsa Silvestri, Paolo Magnani e Denis Capellini hanno infine trattato diverse tematiche che, partendo dalle esperienze maturate in anni di impegno personale, rivestivano un interesse generale per i diversi ambiti di intervento, urbani ed extraurbani, e per le differenti fasce cronologiche, dall'età pre-protostorica, alla romana, alla medievale.
Nel pomeriggio Jacopo Ortalli ha introdotto una tavola rotonda nella quale sono stati posti in risalto i nuovi obiettivi che deve prefiggersi un corretto e moderno rapporto di collaborazione tra Ispettori Onorari e Soprintendenza, tenendo conto delle esigenze di tutela preventiva, di valorizzazione e di pianificazione territoriale che toccano in modo sempre più pressante ed incisivo la sfera operativa degli Organi Periferici del Ministero per i Beni Culturali.
Al riguardo è emersa innanzitutto l'esigenza di istituire una stretto raccordo con le Amministrazioni Locali, i Gruppi di Volontariato e i Musei Civici, al fine di allargare la base delle conoscenze scientifiche, costituire una capillare rete informativa, garantire la massima efficacia degli interventi sul territorio.
All'animato dibattito hanno partecipato molti degli intervenuti, con enunciazioni di esperienze già maturate, con segnalazioni di problemi e con proposte operative, che, al pari delle relazioni, saranno raccolti nella pubblicazione degli Atti. L'incontro, che ha goduto della generosa ospitalità del Comune di Budrio, si è chiuso con l'auspicio di poter avere un seguito in altre analoghe iniziative.

Jacopo Ortalli

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7.15. Tutela archeologica e pianificazione territoriale: la carta archeologica informatizzata del territorio modenese.

Nel novembre 1995 presso il teatro della Fondazione S. Carlo di Modena si è svolta una giornata di studio organizzata dal Museo Civico Archeologico e dalla Soprintendenza Archeologica dell’Emilia-Romagna per la presentazione del progetto Mutina, programma elaborato per l’informatizzazione su P.C. dei dati relativi agli insediamenti archeologici finora noti nel territorio provinciale.
L’acquisizione dei dati è stata avviata nel 1983 per la redazione della carta archeologica della città di Modena e del suo territorio amministrativo; strumento realizzato con finalità scientifiche e per favorire la tutela, grazie all’adozione di norme di controllo preventivo all’interno del nuovo P.R.G. La ricerca ha comportato in primo luogo una revisione critica e sistematica di tutte le fonti bibliografiche, archivistiche e talora anche di carattere orale. Una preziosa documentazione proviene dalle cronache del XIV e del XVI secolo, fra le quali si segnalano i resoconti di Tommasino de’ Bianchi, detto Lancillotti. Le prime carte archeologiche sistematiche, riferite alla città ed al territorio pedemontano tra Modena e Bologna, furono pubblicate nel 1881 da Arsenio Crespellani, Ispettore Onorario alle Antichità e Belle Arti e Direttore del Museo Civico Archeologico di Modena. Un altro strumento utile è dato dalla carta archeologica edita nel 1937 da Maurizio Corradi Cervi; mentre informazioni dettagliate provengono dalla puntuale schedatura dei siti archeologici del Modenese prodotta tra gli anni ’40 e ’50 da Ferdinando Malavolti.
Qualora le indicazioni topografiche fornite da queste fonti non siano immediatamente localizzabili in carte topografiche moderne si è ricorsi agli archivi , ai catasti e alla cartografia storica.
Contemporaneamente negli anni 1983-1985 sono state avviate ricerche di superficie sistematiche. Le zone coperte sono situate nel territorio extraurbano di Modena ad Ovest, Sud-Ovest e Sud-Est della città: e complessivamente hanno coperto un’area di circa 52 kmq., pari a circa 30% dell’intero territorio comunale.
Il censimento dei siti archeologici avviato nel 1983 ha avuto come primo riscontro la pubblicazione, nel 1988, della carta archeologica della città e del territorio del Comune di Modena, nel quale sono state registrate 420 presenze archeologiche. La ricerca è stata successivamente estesa al territorio provinciale mediante la raccolta e la verifica dei dati ricavabili da ricerche sistematiche di superficie, da scavi, da ricerche svolte da gruppi di volontari, da rinvenimenti fortuiti, dal controllo topografico delle notizie reperibili nelle fonti bibliografiche ed archivistiche, oltre che dal riesame dei reperti. La raccolta dei dati è finora documentata da circa 1900 schede di presenze archeologiche in corso di informatizzazione.
Il progetto MUTINA permette di gestire, grazie al mezzo informatico, una consistente quantità di dati relativi alle attestazioni archeologiche , alla gestione museale dei reperti e dei dati d’archivio.
La struttura dei dati è stata organizzata per schede di evidenza archeologica, che contengono un primo livello di informazioni sintetiche sui siti archeologici, alle quali sono collegate le schede di attestazione archeologica, con informazioni riguardanti i vari interventi condotti nel sito da autori diversi e/o in circostanze diverse. Agli archivi è collegata la scheda di reperto archeologico, mutuata dalla scheda RA dell’ICCD. I riferimenti bibliografici sono riportati in esteso in una scheda di archivio controllato della Bibliografia .
Le schede sono inoltre collegate ad un archivio di immagini e sono visualizzabili su cartografia digitalizzata, che permette la localizzazione cartografica delle aree di rinvenimento. Il sistema consente di costruire carte tematiche in cui si possono associare ricerche multiple ed evidenziare ogni risultato di una ricerca con un simbolo ed un colore. E’ possibile sovrapporre la cartografia digitalizzata a mappe storiche, a carte catastali, a foto aeree.

Bibliografia

A.CARDARELLI, La carta archeologica di Modena.Metodologia e risultati, in Modena dalle origini all’ anno Mille. Studi di archeologia e storia, I, pp. 21-30
A.CARDARELLI, M.CATTANI, N.GIORDANI, D.LABATE, I.PULINI, Tutela archeologica e programmazione territoriale. Il sistema Mutina: risultati e prospettive, in Carta Archeologica e pianificazione territoriale: un problema politico e metodologico, Incontro di studio Roma,10-11-12 marzo 1997, c.s.

Nicoletta Giordani

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7.16. Progetto di Ricerca Finalizzata C.N.R.: "La pietra levigata tra Neolitico e Bronzo nell’area alpino-padana - Produzione regionale e flussi di scambio con aree europee".

Si è avviato nell’autunno 1996 un progetto di ricerca pluriennale su base interdisciplinare nell’ambito del Progetto Finalizzato "Beni Culturali" del C.N.R. Esso vede impegnati, per la parte petroarcheometrica e geoarcheologica il Dipartimento di Scienze della Terra dell’Università di Bologna, per quella archeologica studiosi delle Università di Trieste, Trento, Venezia, Pisa, dei Musei Civici di Genova, Piacenza, Reggio Emilia, Modena, Bologna, San Lazzaro di Savena, Imola, Udine, nonché delle Soprintendenze Archeologiche dell’Emilia Romagna e della Lombardia.
Obiettivo della ricerca, coordinata dal professor Claudio D’Amico, del Dipartimento di Scienze della Terra, è di estendere e completare le conoscenze regionali sulla pietra levigata nell’area padano-alpina verificando le caratteristiche litologiche e operando, almeno inizialmente, su collezioni ricche di reperti e con posizione cronologicamente certa, che consentano di eseguire trattazioni statistiche e di definire "fisionomie litiche": intrecci, cioè, di dati litologici, petrologici e tipologici e di contesto tali da delineare, il più possibile univocamente, ogni sito e areale, per coglierne l’analogia o il grado di diversità con altri siti e con le fonti di approvvigionamento. Le aree di intervento scelte sono Emilia, Romagna, Trentino, Alto Adige, Lombardia orientale, Veneto, Friuli, Venezia Giulia.
Più in dettaglio, per il Neolitico, ci si propone di raggiungere la conoscenza sistematica dei siti più importanti e la conseguente possibilità di valutare la distribuzione di reperti in giada, eclogite e altre metaofioliti proprie delle Alpi occidentali, nonché l’incidenza di litologie di altra provenienza. La comparazione della fisionomia litica dei vari ambiti potrà consentire di riconoscere analogie o diversità significative ai fini sia della provenienza di dettaglio, sia delle connessioni di rifornimento tra diversi areali. Sulla base di questi dati sarà possibile valutare i flussi di scambio, definendone gli sviluppi sincronici e le evoluzioni diacroniche nelle diverse culture.
Per quanto riguarda l’Eneolitico, si intende comprendere, almeno per zone campione, modalità e tempi del netto cambiamento di litologia, provenienza dei materiali e anche di tipologia verificatosi nel passaggio all’Età del Rame, e meglio precisarne il significato nel contesto padano-alpino e negli scambi con l’Europa.
Infine, si indagherà sul senso del residuale uso della pietra levigata durante l’Età del Bronzo, sull’esistenza o meno di un nuovo quadro di produzione/esportazione e/o sulla continuazione, seppure terminale, di flussi già attivi.
In intreccio alle tematiche sopra esposte si intendono studiare , per i tre periodi preistorici, i rapporti di scambio con l’Europa, in particolare con Gran Bretagna, Olanda, Germania, Moravia e con l’Italia peninsulare e la Sicilia, per quanto riguarda l’esportazione dall’Italia all’Europa di giade ed eclogiti; e con l’Europa danubiana, per quel che concerne l’importazione nell’Italia nord-orientale di manufatti di tipologia e litologia carpatico-balcanica.
A breve termine, sono state definite alcune tematiche, il cui studio sarà ultimato entro il 1998, relative a temi specifici di portata più circoscritta (le asce lunghe cerimoniali/rituali, gli scalpelli, le asce-martello, gli ornamenti, la pietra levigata nei contesti funerari, la pietra dell’Età del Bronzo), e su queste si sta affinando il metodo di lavoro, che prevede anche la messa a punto progressiva di una tipologia specifica corredata da schede informatizzate unificate per le parti archeologica e archeometrica.

Per il Gruppo di Ricerca: Claudio D’Amico, Giuliana Steffè

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7.17. "La scuola adotta un monumento": progetto per la valorizzazione del complesso rustico romano in località Sarzana di Rimini

Il Liceo Scientifico "A. Einstein" di Rimini nel corso del corrente anno scolastico, 1996- 97, ha progettato e realizzato l’esperienza che si ispira al progetto "La scuola adotta un monumento", nato a Napoli nel 1992. Alla proposta avanzata alla scrivente dal Preside, prof. Giuseppe Prosperi, nel mese di marzo, è seguito un breve periodo di indagine circa il "monumento da adottare", in cui è stato determinante il suggerimento della dott. Maria Luisa Stoppioni, che ha portato ad individuare nel complesso rustico romano in località Sarzana di Rimini le caratteristiche secondo le esigenze e le finalità dell’iniziativa.
La Soprintendenza Archeologica dell’Emilia Romagna, a cui è stata inviata tempestivamente la bozza del progetto e la richiesta di autorizzazione, ha accolto favorevolmente la proposta, prevedendo di giungere ad una convenzione fra il Liceo Scientifico e il Comune di Rimini, proprietario del sito, definendo preliminarmente le modalità dell’intervento e formalizzando le collaborazioni fra gli Enti coinvolti.
L’area, che si presentava in stato di effettivo degrado e abbandono dopo gli scavi condotti nel 1979 e rispondente agli essenziali requisiti di agibilità e di sicurezza per una scuola, era interessata da un edificio rustico di circa m. 13x9, situato entro i confini occidentali del territorio comunale di Rimini (IGM, Foglio 101, Rimini, III SO TJ (971.802), nell’area di una cava abbandonata, datato tra il I sec. a.C. e il I/ II sec. d.C. (A. FONTEMAGGI, Un complesso rustico in località Sarzana di Rimuni, Campagna di scavo 1979. Relazione preliminare, in Studi Romagnoli XXXIV, 1983).
Grazie alla sponsorizzazione di alcune ditte locali, che hanno fornito e prestato attrezzature e alla disponibilità di quanti sono stati coinvolti a realizzare in tempi brevi l’iniziativa, si sono potuti iniziare i lavori il 26 maggio per proseguirli fino al 5 giugno 1997. I ragazzi della classe II F, coordinati da chi scrive, in qualità di insegnante di lettere e dall’insegnante di Disegno e Storia dell’arte, prof. Donato Monopoli, sono stati impegnati a riportare alla luce i muri perimetrali e divisori di tre vani (dei quattro a suo tempo rinvenuti) dell’edificio e i relativi pavimenti, uno a mosaico in tessere di pietra calcare biancastra e uno in opus spicatum, di cui si è accertato essersi conservato solo il sottofondo, oltre ai numerosi mattoncini fittili sparsi. I resti strutturali si trovavano sommersi da un fitta vegetazione, al di sotto di una tettoia lignea priva ormai di qualsiasi funzione. Preliminarmente i ragazzi hanno eliminato quanto rimaneva della copertura e asportato i residui delle erbe infestanti dopo l’impiego di un diserbante da parte di personale addetto.
Successivamente si è proceduto alla pulizia accurata delle strutture murarie realizzate in grossi ciottoli fluviali, pietrame, frammenti laterizi e delle superfici pavimentali, rendendo nuovamente leggibile la planimetria dell’edificio ed accertandone il grado di conservazione. Dell’originaria pavimentazione musiva di un ambiente, conservato parzialmente già al momento del primo rinvenimento, si è costato un progressivo degrado, come il distacco di moltissime tessere dal sottofondo e lo sfaldamento lungo i margini dei lacerti. Ciò ha richiesto l’intervento del restauratore del Centro Operativo di Ravenna della Soprintendenza Archeologica, G. Pierpaoli, che ha assistito i ragazzi, fornendo istruzioni sulle tecniche e sui materiali da impiegare per un restauro conservativo. Al termine di un’accurata pulizia si è proceduto al consolidamento dei due sottofondi pavimentali con silicato di etile, e alla protezione dei muri con una soluzione di Desogen e Preventol. Oltre alle operazioni sopradescritte i ragazzi sono stati impegnati a cimentarsi anche in tutte le operazioni che caratterizzano uno scavo archeologico: impianto di un reticolo, rilievo grafico e fotografico, compilazione di schede atte a registrare tutti i dati e le informazioni relative alle singole strutture. Al termine dei lavori, che hanno visto anche l’opera di contenimento di due muri perimetrali in condizioni statiche precarie realizzata dagli assistenti del Museo Archeologico di Rimini, l’area dell’edificio è stata protetta con tessuto non tessuto, su cui è stata posta argilla espansa per uno spessore di circa dieci centimetri, infine coperta con teli di nylon.
L’iniziativa, nata con la finalità di sensibilizzare i giovani al rispetto e alla tutela del patrimonio storico-artistico e più in generale all’ambiente attraverso un programma di educazione che si traduca in comportamenti adeguati nei confronti del territorio circostante e dei segni che la storia e la natura vi hanno impresso, ha avuto l’obiettivo specifico di sottrarre al degrado e all’oblio un monumento, di procedere alla sua conservazione, di tutelarlo e di promuoverne la valorizzazione mediante iniziative che la Scuola e gli Enti coinvolti concorderanno.
In chiusura di questa nota, si desidera sottolineare l’impegno e l’entusiasmo che i ragazzi che hanno dimostrato nella realizzazione di questa iniziativa e ringraziare tutti coloro che l’hanno favorita, in special modo il Preside della scuola, la dott. Maria Grazia Maioli, che ha seguito con particolare interesse lo svolgersi dei lavori e il dott. Maurizio Biordi del Comune di Rimini.

Meri Massi Pasi

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7.18. Ciclo di conferenze "Un anno di archeologia"

Reggio Emilia, Civici Musei, 6 - 20 marzo 1997

Il consolidato rapporto di collaborazione fra Civici Musei di Reggio Emilia e Soprintendenza per i beni archeologici dell'Emilia Romagna, che anche di recente ha portato alla realizzazione di nuove sezioni espositive e dei relativi strumenti scientifici, sta alla base di un'iniziativa di divulgazione archeologica, che ha avuto sede nell'antica sacrestia del complesso San Francesco, destinata ad ospitare il costituendo Museo dedicato alla civiltà romana nella città di Reggio, durante il mese di marzo 1997.
Nell'intento dei promotori, il ciclo di conferenze "Un anno di archeologia" aveva lo scopo di fornire corretta informazione sulle attività archeologiche svoltesi a Reggio ed in tutto il territorio provinciale nel trascorso 1996, soddisfacendo le curiosità suscitate da cantieri aperti magari in luoghi pubblici, talvolta a prezzo di qualche disagio per la cittadinanza, e correggendo gli eventuali travisamenti di notizie non controllate. Si volevano al contempo creare i presupposti per un appuntamento periodico, a cadenza annuale, che possa aggiornare il pubblico degli interessati, quasi in tempo reale, sulle prime risultanze di ricerche da poco concluse o addirittura ancora in corso.
Il programma si è svolto nell'arco di tre serate, sotto la presidenza di Mirella Marini Calvani, Soprintendente per i beni archeologici dell'Emilia Romagna, alla presenza di un pubblico numeroso e partecipe. La provincia di Reggio può vantare un elevato numero di ricercatori e di appassionati, che spesso offrono collaborazioni volontarie, finalizzate alla conoscenza ed alla tutela archeologica, all'interno di associazioni e gruppi, taluni dei quali di ormai antico radicamento nel territorio.
Nel primo appuntamento Maria Bernabò Brea e Mauro Cremaschi hanno illustrato gli scavi in corso nella terramara di Poviglio, di cui condividono la responsabilità della direzione scientifica. Oltre a presentare la sintesi di tredici anni di esplorazioni sistematiche, i relatori hanno fatto il punto sulle più recenti indagini, soffermandosi sulle strutture sia perimetrali che interne all'abitato, sulla sua cronologia, sul suo inserimento nel contesto geomorfologico antico.
La seconda serata è stata dedicata ai numerosi interventi di ricerca e tutela archeologica avvenuti sotto la responsabilità di Enzo Lippolis, relatore della conferenza. La ripresa di scavi sistematici nel vicus di Luceria ha permesso la soluzione di delicate problematiche in ordine all'assetto dell'insediamento. La rete di insediamenti rustici romani nell'ager del municipium di Regium riceve nuova luce dagli scavi di Fogliano nella fascia di alta pianura e dal recupero a Novellara di due teste ritratto in marmo della prima età imperiale. Nella città di Reggio sono stati indagati i resti del monastero di San Prospero, fondato tra X e XI secolo e distrutto alla metà del XVI.
L'ultimo appuntamento si è imperniato sulle attività di ricognizione di superficie finalizzate alla cartografia archeologica, perseguite dai Civici Musei nell'ultimo quinquennio. Lorenza Bronzoni, Nicola Cassone, Roberto Macellari e James Tirabassi hanno illustrato metodologie e risultati di un triennio di ricognizioni nel territorio comunale di Montecchio Emilia, che hanno consentito la elaborazione di una specifica carta archeologica (in corso di stampa); ed hanno anticipato le prime risultanze delle attività di recente avviate anche nei comuni di Quattro Castella e Sant'Ilario d'Enza.

 

Roberto Macellari

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Per informazioni o suggerimenti: Tiziano Ceconi.
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Aggiornato il 06/10/06.