5. Medioevo e Eta' Moderna
5.1. Piacenza, via Genocchi angolo via del Guazzo
5.2. Piacenza, S. Maria in Campagna
5.3. Piacenza, largo Matteotti, ex Albergo Croce Bianca
5.4. Pianello Val Tidone (PC), campo di proprietà Margherita Scrocchi, scavo 1994.
5.5. Parma, via della Repubblica
5.6. Parma, borgo S. Chiara n.10
5.7. Parma, via della Costituente n.13
5.8. Parma, ex Istituto Bodoni
5.9. Parma, via DAzeglio
5.10. Parma, via Nino Bixio n.145
5.11. Noceto (PR), loc. Ghiaie Basse CaFornace
5.12. Bardi (PR), loc. Casanova, Chiesa di S. Maria Assunta
5.13. Fidenza (PR), via Bacchini, ex Caserma dei Carabinieri
5.14. Reggio Emilia, via Fogliani, area ex villa Sforza
5.15. Reggio Emilia, via Spallanzani - manca
5.16. Montecchio Emilia, Castello
5.17. S. Polo dEnza, loc. Pontenovo
5.18. Campegine, via Aldo Moro
5.19. Carpineti, Castello delle Carpinete
5.20. SantAgata Bolognese
5.21. S. Giovanni in Persiceto, piazza del Popolo
5.22. Budrio, via Zenzalino nord - angolo via Alta del Buriolo
5.23. Castel S. Pietro Terme, piazza XX Settembre
5.24. Castel S. Pietro Terme, cinema Jolly
5.25. Castel S. Pietro Terme, loc. Cà S. Vincenzo di Osteria Grande
5.26. Castel S. Pietro Terme, Osteria Grande, via S. Giovanni
5.27. Ferrara, monastero di S. Antonio in Polesine
5.28. Voghiera, castello del Belriguardo
5.29. Forlì, Corso della Repubblica
5.30. Tredozio, via dei Martiri 46
5.31. Bertinoro, via Frangipani
5.32. Cesena, palazzo Ghini
5.1. Piacenza, via Genocchi angolo via del Guazzo
Al momento dell'intervento di questa Soprintendenza il piccolo edificio
ottocentesco che insisteva su quest'area era stato demolito, ne restavano le fondazioni,
corrispondenti alle piante esistenti.
L'edificio in progetto, di edilizia economico popolare convenzionata, era pure a due
piani, con box sotterranei che dovevano arrivare all profondità di 3 m dal piano
stradale.
Lo scavo si quindi dovuto limitare alla profondità di 3 m; sono stati eseguiti alcuni
saggi negli strati inferiori, e tagli lungo il perimetro per l'inserzione di paratie
rigide.
Nello strato inferiore a quello ottocentesco erano presenti le fondazioni di un edificio a
cortile centrale, in laterizi e ciottoli, e una serie di pozzi, probabilmente usati per
drenaggio in una zona particolarmente bassa e soggetta ad alluvioni.
La zona a Sud, con terreno nerastro quasi privo di materiali, doveva essere utilizzata
come orto.
Le strutture facevano parte di un edificio medievale, utilizzato e restaurato fino in età
rinascimentale.
La ceramica rinvenuta graffita e comune, prevalentemente rinascimentale.
Alcuni saggi eseguiti al di sotto della profondità che doveva essere raggiunta dai box,
hanno rivelato la presenza di uno spesso deposito di materiale di scarto di fornace, di
età romana. L'area, in età romana, era inserita in un isolato urbano, l'ultimo verso
Nord, e si trova al limite del terrazzo fluviale su cui sorge Piacenza; il terreno
argilloso deve essere particolarmente adatto alla produzione di laterizi e ceramiche. In
via del Guazzo, durante la costruzione di garages sotterranei stato rinvenuto un imponente
deposito di materiale ceramico di scarto di fornace (Marini Calvani, 199O, p. 8, PC
O1.O1.O27) di età romana. Fornaci sono ancora presenti in via del Guazzo, ed erano
funzionanti fino a pochi decenni or sono.
Dagli scassi eseguiti per la messa in opera di paratie proviene ceramica d'impasto della
terza età del ferro.
Lo scavo, concordato con la direzione lavori, stato eseguito dalla cooperativa Padus,
nelle persone di Giorgio Bernardi e Graziella Granata, a cui si deve la documentazione
fotografica.
Piera Saronio
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5.2. Piacenza, S. Maria in Campagna
I lavori per la realizzazione di una nuova centrale termica a servizio
della Chiesa di S. Maria in Campagna nel tardo autunno del 1995 hanno portato alla luce,
lungo il lato meridionale del complesso, i resti di antichi piani pavimentali e un locale
sotterraneo di cui si era persa conoscenza.
Gli accertamenti archeologici e le ricerche storico documentarie che ne sono seguiti
hanno consentito di appurare che i ritrovamenti si devono rapportare al braccio di
collegamento tra chiesa iniziata, su progetto dell'arch. Alessio Tramello, nel 1522 e il
convento realizzato nel 1551 nel luogo dove sorgeva l'antico Oratorio di S. Vittoria.
Nonostante la documentazione antica disponibile risulti assai carente ai fini
dell'identificazione precisa delle strutture rimesse in luce trattandosi di parti minori,
soprattutto in rapporto alla chiesa, è stato tuttavia possibile appurare che l'area in
cui esse sono ubicate, collocata a S-E del coro, compare, seppure in maniera sommaria e
parziale, in una pianta della chiesa datata appena dopo il 1775 e conservata presso
l'Archivio di Stato di Piacenza, in cui è evidente come l'estremo lembo occidentale
contiguo al corridoio che collegava il convento al coro, era destinato a "camerini
per i confessori".
Maggiori dettagli e riferimenti metrici precisi si trovano nella pianta della chiesa
disegnata nel 1834 da frate Claudio da Bologna, e riferita ad una situazione precedente le
modifiche apportate al coro e al presbiterio alla fine del '700. Qui l'ala di raccordo tra
convento e chiesa risulta costituita nella sua parte più occidentale da un corridoio che
dava accesso al coro e da una serie di cinque "camerini per i confessori",
ognuno direttamente in comunicazione con il corridoio, tramite una porta. Tali
"camerini", secondo la testimonianza di P. Ignazio che li vide prima della loro
distruzione, avevano un pavimento più alto di quello del corridoio al piano del quale
erano raccordati con uno scalino.
Perduta la loro funzione originaria in seguito alle modifiche strutturali apportate in
questa parte del complesso sul finire del XVIII secolo l'area dei camerini divenne un
andito di collegamento tra coro e corridoio del convento fino anche non venne demolita nel
1949 quando in quest'area vennero sistemati alcuni locali della nostra "casa del
fanciullo".
Gli accertamenti archeologici sono stati diretti dalla scrivente con la collaborazione
dell'arch. Botteschi e della dott.ssa Carini del Comune di Piacenza cui si devono le
ricerche storico - documentarie.
Manuela Catarsi Dall'Aglio
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5.3. Piacenza, largo Matteotti, ex Albergo Croce Bianca
L'esplorazione archeologica realizzata in Piacenza nei mesi
dell'autunno-inverno '95 in occasione della ristrutturazione dell'immobile dell'albergo
Croce Bianca, a cura della BUILD Costruzioni, ha interessato la porzione del cortile
interno Ovest dello stabile, vale a dire un'area posta nel centro storico cittadino, a
poca distanza da P.zza Cavalli e da Palazzo Farnese.
Nel corso dei lavori, che hanno raggiunto la profondità di circa m 2,50, indicata come
quota base del cantiere negli elaborati progettuali relativi alla realizzazione di un
parcheggio interrato è stata riportata in luce una complessa stratigrafia relativa alle
fasi insediative dai giorni nostri al Tardoantico. Nel rimandare per quanto concerne le
fasi più antiche della seriazione stratigrafica alla scheda relativa in questo stesso
volume, per quanto attiene ai ritrovamenti depoca postantica oltre a strutture
pertinenti alle diverse fasi di ristrutturazione subite dall'immobile in questo secolo
(es. alcuni plinti in calcestruzzo e in cemento, una pavimentazione del cortile in cotto e
un sistema di canalizazioni e condotti fognari) sono state evidenziate tracce di
sottofondazioni, vani cantina, una ghiacciaia e alcuni pozzi collegati tra loro da un
sistema di canalizzazioni, verosimilmente da riferirsi al Sette-Ottocento.
Ad una quota inferiore coincidente con quella base di cantiere sono infine venuti alla
luce due brani murari in ciottoli fluviali legati con malta povera di calce probabilmente
databili ad una fase di occupazione d'epoca medievale e lembi di una calcara
tardo-antica..
Manuela Catarsi DallAglio
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5.4. Pianello Val Tidone (PC), campo di proprietà Margherita Scrocchi, scavo 1994.
L'abitato romano rinvenuto all'interno del nuovo cimitero di Pianello
nel 1985 (Saronio 1986, 1991-92,1993) si estendeva nell'area circostante per circa 6,7 ha;
esso stato delimitato con prospezioni geofisiche e saggi di verifica negli anni 1989-90.
Altre prospezioni e saggi di verifica sono stati eseguiti, negli anni 1993-94, nel campo
di fronte al cimitero, a valle della strada Pianello-Agazzano.
Anche in questa zona si estendeva l'abitato romano di età tardo repubblicana e proto
imperiale.
Nel saggio di scavo eseguito nel 1994 stata riportata alla luce una canaletta in ciottoli,
che presenta lo stesso orientamento Nord-Ovest Sud-Est caratteristico delle strutture
emerse all'interno del cimitero, e un pozzo, del diametro di 2 m, con camicia in ciottoli.
Al di sopra di tali strutture si era impostata una necropoli altomedievale (v. scheda).
Gli scavi sono stati eseguiti, con finanziamento del Ministero per i Beni Culturali, dalla
ditta Zolesi di Parma; hanno partecipato le dott. Cristina Mezzadri e Elena Grossetti, e
alcuni volontari del gruppo archeologico Pandora.
Piera Saronio
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5.5. Parma, via della Repubblica
Lavori di scavo realizzati da AMPS e TELECOM, nel triennio 1992-1994,
lungo il tratto urbano della Via Emilia compreso tra P.zza Garibaldi, che dallepoca
romana ad oggi si è mantenuta la piazza principale della città, e le mura farnesiane a
Est, hanno fornito importanti informazioni scientifiche sullevoluzione urbanistica
della città.
Nel rimandare, per completezza dinformazione, alla scheda sul Tardo-antico, relativa
agli stessi lavori, per quanto attiene alle epoche posteriori è stato possibile
raccogliere una miriade di dati che meritano unesposizione approfondita. Si
relazionerà pertanto, in questa sede, soltanto sui principali.
Per quanto riguarda la stratigrafia in generale, per quanto entrambe le trincee di scavo
rivelassero profonde manomissioni dovute a numerosi interventi di scavo precedenti,
compreso quello realizzato in epoca farnesiana per la messa in opera di una grande
fognatura con spallette in cotto e copertura a voltino, perfettamente riconoscibile in
tutto il suo percorso e che trova riscontri cartografici puntuali nellAtlante
realizzato dal Sardi nel 1767, è stato possibile riconoscere tutta una serie di piani
pavimentali glareati, che testimoniano i vari rifacimenti stradali dai primi anni del
secolo al Tardo-antico. Per quanto si trattasse del tratto urbano della Aemilia non sono
stati individuati tratti di strada selciati anche se si sono notate tracce di rifinitura
in una malta bastarda, molto simile al cocciopesto, dei glareati più antichi.
La realizzazione di uno scavo più profondo per la messa in opera di una cameretta TELECOM
in P.zza Garibaldi, allaltezza del Palazzo del Comune, è stata occasione per notare
in questo punto la presenza, a circa m. 2,50 di profondità dal piano stradale attuale, di
un terreno scuro, fortemente antropizzato in cui è stato riconosciuto un dark earth
depoca altomedievale, chiaro indizio di nuove tecniche cotruttive o comunque di un
diverso uso degli spazi a margine dellantico foro romano.
Sempre allo sbocco della Via su P.zza Garibaldi (presso il n. civico 2 d) è stata
riconosciuta una struttura in lateri con spallette e copertura a voltino identificata, in
base alla mappa degli antichi canali cittadini conservata presso il Municipio di Parma,
con un tratto del Canale Comune, attribuito dalla tradizione popolare alle provvidenze
teodoriciane.
Un brano murario in ciottoli fluviali legati con malta, venuto in luce allaltezza di
Borgo Giacomo Tommasini, per quanto assai compromesso, è preziosa testimonianza del
passaggio in quel punto dello "Sta in pace", la cortina difensiva realizzata
dallarch. Franceschino Stupa nel 1347, per Luchino Visconti, signore della città,
che in tal modo voleva difendersi dai feudatari che aveva privato di castelli e altri
possedimenti.
Della cinta muraria identificata allincrocio con via Cairoli e che venne utilizzata
almeno fino alla metà del XII secolo, quando il Comune di Parma, affrancatosi dal dominio
di Vescovo prima e Imperatore poi, ampliò gli apprestamenti difensivi fino
allattuale Barriera Repubblica, con la creazione di fosse, terragli e clausure, si
è già detto nella scheda relativa al Tardoantico.
Quasi a Barriera Repubblica, allaltezza dellattuale chiesa di S.Michele,
lunica sopravvissuta in città delle tante dedicate dai Longobardi
allarcangelo, ma che una targa marmorea murata sul portale dingresso, dice
riedificata nella seconda metà del 500 un po arretrata e spostata rispetto
alloriginaria, gli scavi hanno portato alla luce una poderosa struttura
quadrangolare con sporgenze centralizzate su ognuno dei lati, da ricollegarsi quasi
sicuramente, vista la presenza di ossari medievali in essa ricavati alla chiesa
originaria.
Dal momento tuttavia che la chiesetta longobarda è ricordata in documenti medievali col
nome di "S.Michele de Arcu" è stata da più parti formulata lipotesi che
lappellativo le derivasse dallessere stata innalzata nei pressi di un arco
onorario romano forse innalzato in città allepoca di Gallieno.
Vista la natura del ritrovamento è forse oggi possibile formulare lipotesi che la
chiesa sfruttasse invece le potenti murature dellarco onorario o almeno quelle di un
grande monumento funerario sorto in quella porzione di città che, abbandonata dopo
linnalzamento dell e mura, si era tramutata col tempo in luogo di sepoltura, così
come testimoniato per il VI secolo da un noto passo di Agathia.
Manuela Catarsi DallAglio
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5.6. Parma, borgo S. Chiara n.10
Nel corso di lavori di ristrutturazione di un palazzo sito nel centro
storico cittadino ad opera dellImpresa Cassinelli di Parma è stato individuato un
ambiente sotterraneo, occultato da una botola, di cui si era persa memoria.
Detto ambiente, a cui si accedeva dal piano terra mediante una scala di cinque gradini,
era di forma trapezoidale coi lati maggiori di circa m. 4 e le basi rispettivamente di cm.
98,5 e 139,5.
Sulle due pareti lunghe e la base maggiore si aprivano degli avelli contenenti scheletri
umani, in apparente buono stato di conservazione. Sulle pareti, intonacate, che
delimitavano i loculi erano graffite date e sigle evidentemente di identificazione delle
persone lì tumulate.
Dato che il palazzo di cui trattasi sorge in luogo del convento delle Clarisse, fondato
nel 1422 presso la Chiesa di S. Quirico, dopo lordine aveva abbandonato quello più
antico di fuori Porta S. Barnaba (oggi Barriera Garibaldi), soppresso a seguito dei
provvedimenti napoleonici nel 1810, è probabile che si tratti di un luogo di sepoltura
delle monache. A suffragio di questipotesi sta anche il fatto che molte delle sigle
graffite sulle pareti e limitate a poche lettere ( generalmente treo quattro), iniziano
con la lettera S (suor ?) e che le date di sepoltura risultano comprese tra il 1763 e il
1804, anno dellemanazione da parte di Napoleone delleditto di St. Cloud.
Gli accertamenti archeologici, resi possibili dalla disponibilità dellImpresa
Cassinelli, sono stati condotti dalla scrivente con la collaborazione di Patrizia Raggio e
del geom. Andrea Cattabiani.
Di concerto con la Soprintendenza ai Beni Ambientali e Architettonici (ing. Domenico
Rivalta) si è curato che venisse, nella sistemazione definitiva delledificio,
conservata la botola daccesso al locale sotterraneo perché potesse essere
ispezionabile.
Manuela Catarsi DallAglio
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5.7. Parma, via della Costituente n.13
Nel corso del 1994 la ristrutturazione di uno stabile, posto a Parma
nellOltretorrente è stata occasione per alcune verifiche archeologiche che hanno
portato al riconoscimento di alcune strutture murarie depoca postantica.
I lavori si sono concentrati nel cortile dello stabile in cui doveva essere realizzato un
parcheggio interrato.
Qui, al di sotto dellacciottolato di pavimentazione del cortile stesso, è stato
individuato un livello della potenza variabile di m. 1-1,50, costituito da terriccio
sciolto, ad elevata componente sabbiosa, contenente macerie e materiali di riporto. Solo
nella parte est del cortile, tale livello, che finiva per sigillare la più parte delle
strutture murarie riportate in luce, si presentava ricco di ceramiche graffite
rinascimentali.
I muri ad esso sottoposti, dieci di numero e tra loro collegati, seppure quasi
esclusivamente conservati a livello di fondazioni, rivelano di esser stati innalzati con
tecnica a sacco presentando, allinterno di un paramento in laterizi della misura
standard di cm. 28 X 10 X 6, una inzeppatura di ciottoli legati con malta giallastra ad
alta componente sabbiosa.
Un altro muro, realizzato interamente in ciottoli fluviali legati con malta e tagliato da
una delle strutture murarie precedenti , è probabile indizio delloccupazione del
sito fin dallepoca medievale.
I lavori sono stati diretti dalla scrivente con lassistenza di Gloria Capelli della
Ditta Gea di Parma e sono stati finanziati dalla Società Colfin, proprietaria
dellimmobile
Manuela Catarsi DallAglio
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5.8. Parma, ex Istituto Bodoni
Gli accertamenti condotti nel 1996, sotto la direzione della scrivente,
nell'immobile affacciantesi su Via Rondani già sede dell'Istituto Bodoni, per quanto è
stato possibile operare, vista la situazione generale di cantiere, hanno consentito di
appurare che sia i locali occupati dalla palestra e dalle aule che l'area cortilizia sono
interessati da almeno tre livelli di macerie di riporto recente. L'ultimo di questi
riporti, realizzato verosimilmente al momento della costruzione dell'immobile stesso,
della potenza di circa 80 cm., sigilla tutte le strutture rimesse in luce dagli scavi
realizzati dalla Immobiliare Bodoni.
Tra queste strutture emerge per importanza il brano di una potente cortina muraria eretta,
verosimilmente fin dall'epoca viscontea, a difesa spondale del torrente, di cui resta per
altro documentazione anche nella cartografia cittadina a partire almeno dalla metà XVI
secolo.
Il potente muraglione, della lunghezza di una quarantina di metri, sviluppantesi in tutti
gli ambienti sopraddetti e dotato di speroni ogni m. 5, è realizzato in conglomerato
all'interno e presenta all'esterno parametri in mattoni del modulo di cm. 24x4 x6,5 e cm.
30x17x7 ed è largo dalla sommità circa m. 1,2.
Seguito in alcuni punti del cantiere fino alla profondità di m. 6,2 dove inizia una
risega di fondazione, è stato interrotto, per lo meno nella sua parte più superficiale
in corrispondenza delle fondazioni dei muri dell'immobile e, nell'area cortilizia da
alcune canalizzazioni, la più antica delle quali sembra risalire al secolo scorso.
Nel locale palestra il brandello di muratura in pietrame, evidenziato dagli scavi a
ridosso del muraglione, viste le sue dimensioni ridotte resta di problematica
interpretazione pur restando più recente del muraglione stesso.
nei locali già destinati ad aule le altre murature evidenziate sono poi riconducibili ad
un edificio ottocentesco e ad una fossa biologica più recente.
Nessuna delle strutture evidenziate appare, ad un attento esame, anteriore al muro
visconteo-farnesiano compreso un brandello di muratura in pietrame, che ad una prima
occhiata dava l'impressione di essere stato tagliato dalle fondazioni dell'edificio
ottocentesco, e che in realtà è risultato essere un pezzo del parametro interno del
muraglione, forse tagliato al momento della realizzazione delle fondazione dell'edificio
scolastico, ributtato tra macerie di vario tipo a costruire il riempimento più recente.
Manuela Catarsi Dall'Aglio
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Lavori di scavo realizzati da AMPS e TELECOM, nellestate del 1995
lungo il tratto urbano della Via Emilia compreso tra il torrente Parma ad Est e le mura
farnesiane ad Ovest, hanno fornito importanti informazioni scientifiche
sullevoluzione urbanistica anche di questo settore cittadino.
Per quanto riguarda la stratigrafia in generale, per quanto entrambe le trincee di scavo
rivelassero profonde manomissioni dovute a numerosi interventi di scavo precedenti, è
stato possibile riconoscere tutta una serie di piani pavimentali glareati, che
testimoniano i vari rifacimenti stradali dai primi anni del secolo al Medioevo.
Oltre a numerosi fognoli ottocenteschi è stata riconosciuta una struttura in laterizi con
spallette e copertura a voltino identificata, in base alla mappa degli antichi canali
cittadini conservata presso il Comune di Parma, con un tratto del Canale del Cinghio di
origini medievali.
Scavi più profondi realizzati per la posa in opera di camerette di raccordo di cavi
TELECOM, sono poi stati occasione di scoperta di 5 tombe altomedievali, orientate E-O e
allineate lungo la mezzeria destra della strada.
Le tombe, tutte del tipo a cassa laterizia e realizzate con materiali di reimpiego,
presentavano in quattro casi copertura a doppio spiovente, realizzata con sesquipedali
depoca romana, mentre in un caso, probabilmente riferibile alle sepolture più
antiche, una copertura in piano, costituita da due lastre marmoree anepigrafi.
Ogni tomba, risultava esser stata utilizzata più volte (almeno cinque), ma solo in quella
chiusa da lastre marmoree erano presenti oggetti di corredo che, costituiti da due
coltellini in ferro, una fibbia di cintura in ferro e un puntale a becco danatra in
bronzo, fanno ipotizzare che almeno le sepolture più antiche in essa contenute possano
risalire allepoca longobarda.
I controlli archeologici, protrattisi per tutta la durata dei lavori (circa due mesi e
mezzo) sono stati effettuati dalla Ditta Gea di Parma (dott. Gloria Capelli e Francesca
Sandrini), che ha operato sotto la direzione scientifica della scrivente.
Manuela Catarsi DallAglio
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5.10. Parma, via Nino Bixio n.145
Nel mese di giugno del 1995, nel corso di lavori di ristrutturazione di
un immobile, già sede di unofficina meccanica, facente parte del lotto di edifici
gotici posti a Barriera Bixio nei pressi dellimbocco in città dei canali di origine
medievale, Cinghio e Naviglio-Taro, sono stati riportati in luce un muro in ciottoli
fluviali e frammenti laterizi legati con malta giallastra ad alta componente silicea,
molto friabile, verosimilmente innalzato a divisorio tra orti e giardini confinanti,
pertinente ad una fase edilizia precedente e una fossa di scarico inzeppata di frammenti
ceramici depoca postclassica. Il tipo di materiale, che comprende biscotti, pezzi
semilavorati ed elementi distanziatori, è sicuramente riconducibile allattività di
un officina di un boccalaro. Tra i materiali recuperati si distinguono sia frammenti di
slip ware che di ceramica marmorizzata e ingubbiata graffita. Tutti i materiali paiono
inquadrabili nellambito del XVII secolo.
Il ritrovamento che viene ad aggiungersi ad altri effettuati in precedenza sempre nei
dintorni si rivela di particolare importanza in quanto viene a confermare il dato delle
fonti letterarie riguardo la particolare idoneità dei terreni delle fosse e dei terragli
di porta S. Francesco, posta appunto in prossimità dellattuale Barriera Bixio, per
la produzione di ceramiche.
Lo scavo, diretto dalla scrivente con lassistenza della dott. Francesca Sandrini, è
stato liberalmente finanziato dalla A.F. Progetti, proprietaria dello stabile.
Manuela Catarsi Dall'Aglio
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5.11. Noceto (PR), loc. Ghiaie Basse CaFornace
Durante i lavori di realizzazione del metanodotto SNAM
Minerbio-Cortemaggiore è stata rinvenuta nel giugno 1995, lungo il tracciato
allaltezza del picchetto 223, una fornace per laterizi depoca postantica.
Il manufatto, orientato N-S, presentava forma rettangolare con praefurnium aperto sul lato
corto nord. Eccezionalmente conservato e realizzato interamente in laterizi di modulo di
cm 24 X 12 X 6, constava di una camera di cottura rettangolare di m. 4,70 X 2,20, con i
lati lunghi leggermente spanciati verso linterno. Profonda 1,40 aveva il fondo
forato caratterizzato dallandamento di mattoni messi di taglio disposti su file
parallele secondo la disposizione degli archetti sottostanti, che dalla camera di cottura
lo reggevano.
Questultima perfettamente sottoposta alla camera di cottura era profonda poco meno
di m. 1. e si apriva pertanto alla quota di m. 3,50 dal piano di campagna dove si trovava
il praefurnium individuabile in un cunicolo di terreno concotto largo m. 1 e lungo circa
m. 2,50.
Sia allinterno del praefurnium che della camera di combustione si rinvennero
soltanto abbondanti ceneri e residui carboniosi, mentre il riempimento della camera di
cottura era costituito da terreno rossastro rubefatto dal calore frammisto a mattoni della
stessa pezzatura di quelli costituenti la struttura.
Al tetto del riempimento è stata inoltre recuperata un daga in ferro quattrocentesca in
cui è riconoscibile una "misericordia". il ritrovamento consente pertanto di
dare il terminus ante quem la fornace è stata in funzione. Il dato pare trovare una
ulteriore conferma nella struttura della vicina Ca Fornace, una casa torre, le cui
parti più antiche sembrano realizzate in mattoni uguali a quelli prodotti nella fornace.
Il ritrovamento riveste particolare interesse sia per quanto riguarda la produzione di
laterizi nelle campagne, regolato fin dallepoca medievale dagli Statuti comunali,
sia per quanto riguarda le caratteristiche strutturali e il funzionamento delle fornaci
stesse.
Come in tutti gli altri accertamenti scientifici lungo lo stesso metanodotto la scrivente
è stata assistita dalla Cooperativa AR/S Archeosistemi di Reggio Emilia.
Manuela Catarsi DallAglio
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5.12. Bardi (PR), loc. Casanova, Chiesa di S. Maria Assunta
Lorigine altomedievale della Chiesa, peraltro già citata come
Pieve in documenti del IX secolo, è stata recentemente confermata nel corso di uno scavo
archeologico realizzato nel 1996, in occasione di lavori di ristrutturazione
delledificio, gravemente compromesso da cedimenti strutturali. Proprio grazie
allesplorazione archeologica, è stato possibile determinare che già la Chiesa
originaria, per quanto di proporzioni più modeste dellattuale, era a tre navate.
Realizzata interamente in pietre locali rozzamente regolarizzate, doveva avere le navate
scandite da quattro colonne per parte poggianti su grossi pilastri squadrati, rinforzati
da murature ed era completata da un piccolo nartece in corrispondenza della navata
centrale.
In epoca romanica a questo edificio si sovrappose, in maniera quasi perfetta, una nuova
Chiesa, sempre realizzata in pietre locali, di cui era anche pavimentata, con pilastri
bilobati e laltare maggiore posto su un podio quadrato.
E probabile che in questa fase non vigesse ancora luso di seppellire
allinterno della Chiesa, ma piuttosto in un cimitero posto nelle sue immediate
vicinanze.
Allepoca del dominio dei Landi, che governarono il territorio, seppur con alterne
vicende tra il 1257 e il 1682, la Chiesa doveva mantenere la struttura romanica anche se,
col prolungamento ad Ovest dei muri perimetrali, vennero realizzati due nuovi ambienti,
allineati con le navate minori e pavimentati in cocciopesto, ma aperti in facciata.
In quelloccasione nel vano di sud-ovest venne collocato un battistero rotondo
realizzato in pietrame rivestito di cocciopesto.
Sempre a questo periodo vanno riferiti i primi ossari realizzati allinterno della
Chiesa.
Altri ossari vennero poi aggiunti in epoca farnesiana e realizzata una nuova
pavimentazione, in cocciopesto, su tutta la Chiesa, con botole in corrispondenza
dellapertura degli ossari stessi. Sempre in questo periodo fu, probabilmente, chiusa
tutta la facciata.
Una risistemazione radicale delledificio sicuramente si ebbe nella seconda metà del
700 quando, ampliata la parte absidale, realizzata la sagrestia e innalzato
lattuale campanile (1777-1779),la Chiesa venne ad acquisire le attuali proporzioni.
Agli inizi dell800 a seguito dei provvedimenti napoleonici cessarono i seppellimenti
in Chiesa e venne edificato un cimitero, con tre vani ossario, nelle immediate vicinanze.
In questoccasione la Chiesa venne ripavimentata in pietre locali in modo da
sigillarvi al di sotto definitivamente gli ossari.
Tra la fine dell800 e i primi decenni del 900 venne, infine, rifatta la
facciata, che da sempre deve aver presentato problemi di cedimento strutturale, e
nuovamente ripavimentato tutto linterno con mattonelle esagonali, le stesse rimosse
nel corso della ristrutturazione attuale.
Lesame dei resti umani, affidato alla dott.ssa Elena Bedini della Cooperativa
"Anthropos" di Pisa, ha dato risultati interessanti per la determinazione dei
caratteri di una piccola comunità residente in una vallata Appenninica minore abbastanza
isolata soprattutto nella stagione invernale. In particolare il materiale osteologico
recuperato in cinque ossari, sicuramente pertinente a seppellimenti avvenuti tra il 1711,
anno dellultima pulizia degli ossari stessi, e i primi dellOttocento, quando a
seguito delleditto napoleonico di Saint Cloud del giugno del 1804 venne vietata la
sepoltura nelle chiese, è risultato pertinente a 139 individui di cui 100 adulti, due
subadulti e 37 bambini o adolescenti. fino a 15 anni detà.
Visti i risultati acquisti, confortati anche da documentazione darchivio, è
previsto che nelle opere di ristrutturazione, eseguite sotto il controllo della
Soprintendenza ai Beni Ambientali e Architettonici dellEmilia (D.L. arch. Luciano
Serchia) dalla Parrocchia di Casanova che ancor oggi, mantenendo le antiche divisioni,
dipende dalla Diocesi di Piacenza, vengano adottati opportuni accorgimenti atti a
valorizzare le strutture antiche più significative.
Lo scavo archeologico, diretto dalla scrivente con lassistenza di Patrizia Raggio
del Museo di Parma è stato interamente finanziato dal Ministero per i Beni Culturali e
Ambientali.
Manuela Catarsi DallAglio
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5.13. Fidenza (PR), via Bacchini, ex Caserma dei Carabinieri
Lo scavo condotto negli anni 1992-94 col finanziamento del Consorzio
Edile Emiliano nel settore cittadino sorto attorno al Duomo romanico, edificato sulla
tomba del santo martire Donnino, ha permesso di constatare come l'edificio della vecchia
caserma dei Carabinieri, altri non era che il convento dei Frati Minori Conventuali,
riedificato nella prima metà del secolo scorso dopo la caduta del dominio francese.
Il convento originario, sorto nel XVI secolo, era infatti stato abbattuto sul finire
del'700 a seguito dei provvedimenti napoleonici e del primitivo complesso sopravvive la
chiesa, trasformata successivamente in teatro municipale (= Teatro Magnani).
Al di sotto di alcune strutture murarie in pietrame interpretabili come resti delle
fondazioni del convento originario cui si possono riferire anche due pozzi con camicia in
cotto, lo scavo ha riportato alla luce un livello caratterizzato da silos per granaglie
interrati databili con una certa sicurezza all'XI secolo per la presenza di ceramica
pettinata, vasi di pietra ollare e una moneta dargento di Corrado il Salico. Al di
sotto di questo livello e da esso separate da uno strato alluvionale sterile sono state
riportate in luce delle capanne in legno costruite su due diversi livelli. Quelle del
livello superiore, realizzate in legno di quercia, presentavano forma rettangolare (m. 7 X
9) e risultavano divise da un tramezzo ligneo in due ambienti, di cui uno adibito a stalla
e ricovero per gli attrezzi agricoli mentre l'altro, con focolare di pietra al centro e
pavimento in terra battuta, doveva essere usato come abitazione.
Se poco rimaneva di alzati e coperture, realizzati in legno o altro materiale deperibile
(paglia, frasche) erano ancora perfettamente riconoscibili i travi orizzontali di
fondazione che recavano l'incastro per i pali portanti e la fessura per l'alloggiamento
dell'assito, che costituiva il tramezzo di separazione della capanna in due ambienti.
Questo livello insediativo, che presenta almeno tre capanne a struttura similare, sulla
base della seriazione stratigrafica e dei materiali recuperati, costituiti per lo più da
pietra ollare (le analisi denrocronologiche affidate al laboratorio Dendrodata di Verona e
curate dalla dott. Olivia Pignattelli non hanno, per ora, dato risultati di cronologia
assoluta precisi se non un generico inquadramento nella seconda metà del I millennio) si
può datare al VI-X sec. a.C.
L'eccezionalità del ritrovamento dovuta al fatto che la maggior parte dei legni, che
costituivano le travi di fondazione orizzontali, sigillati da una coltre di limi
alluvionali impermeabili alla falda acquifera che hanno creato un ambiente perfettamente
anaerobico, si sono sono conservati nonostante la distruzione per incendio di questo
livello d'abitato fa di queste capanne un unicum nella documentazione archeologica
dellAltomedioevo italiano. Per questo motivo e in vista delle celebrazioni sulla Via
Francigena previste per il 2000 si sta predisponendo, con la consulenza dellIstituto
Centrale per il Restauro (dott. Costantino Meucci) un programma per la loro salvaguardia e
valorizzazione.
Manuela Catarsi DallAglio
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Reggio Emilia, via Fogliani, area ex villa Sforza
I lavori di costruzione di due edifici per abitazioni nell'area del
parco della villa Sforza, colpita da un bombardamento e poi distrutta durante l'ultima
guerra mondiale, ha fornito l'occasione per un'importante scoperta archeologica; infatti
tra i resti del piano interrato del vecchio edificio è stato possibile riconoscere
elementi murari di una struttura più antica, inglobata nelle fondazioni; il riscontro con
le fonti di archivio ha fornito la certezza che l'area in questione coincideva con quella
del convento di S. Prospero extra moenia e di conseguenza, ai fini di un intervento di
tutela, si è deciso di effettuare una serie di sondaggi per attestare l'estensione, la
cronologia e le caratteristiche di eventuali resti del monumentale complesso, di cui si
conosce la storia e lo sviluppo planimetrico, comprendente oltre la chiesa due chiostri ed
un nucleo di strutture produttive.
Lo scavo ha messo il luce diverse murature, gravemente depredate dallo spoglio seguito
all'abbattimento del convento nella seconda metà del XVII sec. d.C., deciso per la
realizzazione della "Tagliata", la creazione di una vasta superficie perimetrale
intorno alle mura di cinta della città, volta ad agevolare la difesa dell'abitato dalle
artiglierie.
Si è riconosciuto il duplice percorso di un acquedotto, che raggiunge l'area da sud,
costruito in opera laterizia con copertura alla cappuccina, e che si sovrappone ed
attraversa un'area di necropoli ad inumazione in fossa, intensamente sfruttata,
dirigendosi verso una parte del complesso che potrebbe essere riconosciuta nello stesso
edificio ecclesiale. Di questo è stato scavato un lungo muro con numerosissime fasi e le
situazioni stratigrafiche collegate, interpretabile come il limite meridionale della
chiesa, comprendente l'angolo sud-ovest e parte di una navata minore pavimentata a mosaico
in una delle sue fasi medievali. Di questo tappeto musivo sono stati rinvenuti pochissimi
lembi in situ, posti su di un allettamento in calce, e numerosi frammenti provenienti
dalla sua distruzione, che mostrano una tessitura con decorazioni geometriche o fitomorfe
in nero su sfondo bianco, non ricostruibile nella sua struttura figurativa.
La muratura indagata, di notevole spessore, è costituita da rifacimenti parziali o
integrali di una redazione costruttiva originaria, riconosciuta solo per un breve tratto,
caratterizzata da una lesena esterna; questa fase sembra dover risalire ad età
tardo-antica o altomedievale, confermando la possibilità che il complesso si sia
sviluppato intorno ad un luogo di culto paleocristiano, forse prossimo ad un'area
sepolcrale romana di età imperiale ( si sono raccolti pochi frammenti fluitati di reperti
riferibili a questa facies culturale). La prima fase dell'edificio sembra essere stata
radicalmente distrutta e poi rasata per fare posto ad una ricostruzione impostata sullo
stesso allineamento, che potrebbe indicativamente essere attribuita al rifacimento del
complesso ricordato dalle fonti dopo la calata ed il saccheggio degli Ungari a Reggio nel
X sec. d.C. Da questo momento può essere attestata con certezza la titolatura a S.
Prospero, santo di cui erano custodite alcune reliquie, forse proprio in questa stessa
occasione in parte trasferite nella basilica urbana costruita nello stesso arco di tempo.
Tra il X ed il XV secolo la chiesa subisce varie ristrutturazioni, con rifacimenti volti
anche ad assicurare la statica dell'edificio, difeso da barbacani addossati dall'esterno.
Nello spessore della muratura trovano alloggiamento una serie di ossuari e di strutture
funerarie a deposizione plurima di inumati. Nell'area della navata meridionale,
parzialmente esplorata, è stata scoperta infine un'ampia fossa sub-circolare, con vistose
tracce di concotto e di resti carboniosi nel riempimento, probabilmente adibita alla
fusione di una o più campane destinate al complesso. La ripulitura delle strutture
incluse nel piano interrato della distrutta villa Sforza, ha permesso infine di avanzare
l'ipotesi che si possa trattare dei resti della monumentale torre di accesso al complesso,
ricordata come prossima all'angolo sud-est della chiesa.
L'intervento, effettuato con la collaborazione della dott. R. Curina e determinato da una
segnalazione del sig. L. Casi, è stato eseguito anche con la partecipazione della ditta
Orion proprietaria dell'area, da personale della ditta Archeosistemi; lo scavo è stato
seguito sul campo dalla dott.ssa E. Cerchi, alla quale si sono affiancati i dott. P. Bagni
e M. Pedrazzi.
Enzo Lippolis
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5.15. Reggio Emilia, via Spallanzani - manca
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5.16. Montecchio Emilia, Castello
In occasione dei lavori di ripulitura dei sotterranei del Castello di
Montecchio, da tempo abbandonati e utilizzati in parte anche come discarica,
l'amministrazione comunale ed in particolare il dott. M. Bernabei ha segnalato
l'affioramento di strutture murarie in ciottoli. Il sopralluogo effettuato ha mostrato che
si trattava dei resti di una necropoli sottostante il fortilizio medievale, permettendo di
avviare un'indagine sistematica non ancora completata.
L'intervento condotto ha consentito di verificare anche la stratigrafia muraria del
monumento a livello delle fondazioni, ricavandone importanti indicazioni per la
ricostruzione delle diverse fasi edilizie. La necropoli scavata sinora ha restituito
deposizioni di inumati a fossa e in cassa delimitata in superficie da file di ciottoli o
con pareti costruite con ciottoli di fiume disposti a secco; la maggior parte sono state
utilizzate per una funzione plurideposizionale, evidentemente a carattere familiare,
mentre quelle più semplici sono monosome. Si può riconoscere uno sviluppo prolungato nel
tempo, grazie all'esistenza di una differenziazione stratigrafica sia orizzontale che
verticale, che attesta una continuità d'uso del sepolcreto abbastanza ampia. Alcune
deposizioni monosome a fossa apparivano tagliate dalle strutture murarie del castello,
mostrando di essere anteriori alla sua costruzione, come indicherebbe anche la
caratteristica di essere state costruite originariamente in un'area aperta, solo in un
secondo momento scelta per erigere un semplice fortilizio quadrangolare con mura
perimetrali in ciottoli di fiume disposti a secco; questa deve essere considerata la prima
fase della costruzione del castello, da attribuire ad età altomedievale. Successivamente
sono intervenuti vari rifacimenti, sino alla realizzazione di un nuovo perimetro difensivo
dotato di una torre romanica, con strutture in blocchi o piccoli conci di pietra calcarea
sbozzati e utilizzati come facciavista regolare di uno spessore interno in cementizio. Una
ristrutturazione integrale del monumento è attestata nel XV secolo d.C., quando si
procede all'ampliamento del corpo di fabbrica originale e si creano due ali coperte che
probabilmente obliterano in maniera definitiva le ultime tracce del sepolcreto, lasciando
scoperto solo un piccolo cortile centrale realizzato ad una quota di calpestio molto più
alta del piano di campagna originario.
Ad una di queste varie fasi costruttive, probabilmente ad una di età ancora
basso.medievale, può essere attribuita inoltre una vasta calcara sub-circolare con bordo
concotto e invetriato dall'azione del fuoco, riempita e abbandonata dopo l'uso; ad essa si
possono affiancare strutture con palificazioni, individuabili grazie al riconoscimento
delle buche di allettamento dei pali, che possono attestare un altro aspetto dell'uso
dell'area come cantiere edilizio.
Non può essere ancora risolto il problema della cronologia assoluta, considerando anche
il carattere incompleto delle ricerche. E' evidente comunque la possibilità di
ricostruire una cronologia relativa, dalla fase del sepolcreto sino agli ultimi interventi
dell'età moderna, che costringe a far risalire nel tempo l'uso dell'area a scopo
cemeteriale. La mancanza completa di qualsiasi elemento di ornamento o di corredo funebre
rende più difficile la datazione della prima presenza nella zona, che deve essere
ritenuta certamente altomedievale e probabilmente pertinente ad un momento in cui potevano
essere ancora utilizzate strutture di età romana come cave di materiale edilizio da
recuperare, sulla base di quanto documentano i rinvenimenti di mattoni manubriati di
reimpiego nelle sepolture. E' probabile che la datazione del sepolcreto possa essere posta
tra l'età carolingia e il feudalesimo degli Attonidi, in un momento successivo
all'abbandono dei vici longobardi scoperti nell'area di Montecchio, che sembrano
privilegiare altre zone, in un più stretto riferimento al sistema di frequentazione
romano e tardoantico della valle dell'Enza. Rispetto a queste documentazioni del VII sec.
a.C. il sepolcreto del castello viene a costituire la prima testimonianza di una
riorganizzazione insediativa in cui viene ad essere privilegiato un sito prima disabitato,
che diventa il nucleo costitutivo della Montecchio moderna.
L'intervento non sarebbe stato possibile senza la collaborazione e l'impegno economico
dell'amministrazione comunale di Montecchio, e soprattutto senza la disponibilità e
lalto senso della partecipazione profusi dal dott. M. Berbabei; lo scavo è stato
condotto sul campo dalla dott.ssa L. Bronzoni con la valida collaborazione dei volontari
del gruppo archeologico locale.
Enzo Lippolis
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5.17. S. Polo dEnza, loc. Pontenovo
Nei mesi di maggio-luglio 1995 lesplorazione sistematica di un
terreno posto nella lottizzazione artigianale sorta a margine del paese a ridosso
dellarea in cui in precedenza era stata individuata una necropoli longobarda, oltre
allindividuazione di una complessa stratigrafia comprendente più livelli di età
protostorica (cfr. in questo stesso volume) ha consentito il recupero di una nuova
sepoltura e di alcune strutture abitative depoca altomedievale.
Dette strutture, poste ad un livello molto superficiale, risultavano pesantemente
compromesse dalle arature.
Della sepoltura, consistente in uninumazione in fosse terragna, restavano solo la
parte inferiore dello scheletro, mentre delle capanne sopravviveva solo la parte
originariamente interrata. Una di essa era di forma circolare (m. 2,20 x 2), mentre
laltra, di più vaste proporzioni (m. 4,60x 2,30), era di forma ovale con orientata
E/O presentava un piccolo restringimento sul lato ovest e resti di focolare nel settore di
NE.
Manuela Catarsi DallAglio
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5.18. Campegine, via Aldo Moro
Nello stesso lotto di terreno di proprietà dell"Immobiliare
Campegine" dove sono stati localizzati nel 1994 i resti di un insediamento preromano
e una fornace per ceramiche depoca romana (cfr. schede relative in questo stesso
volume) sono state esplorate anche alcune strutture depoca postantica.
A questepoca oltre ad alcune fosse di scarico contenenti elementi distanziatori,
scarti ceramici e frammenti semilavorati di ceramiche graffite e invetriate policrome si
possono attribuire ben due fornaci dove questi materiali erano stati impiegati o prodotti.
La prima di queste strutture, a pianta rettangolare di m. 4 X 2,40, con praefurnium
situato al centro del lato breve di N-O era conservata soltanto nella sua parte interrata,
corrispondente alla camera di combustione. Questa aveva pareti dargilla rubefatta e
concotta verso linterno del manufatto conservate per unaltezza di m.1,30 e
poco curate, fatta eccezione per la parte inferiore che appariva in qualche modo lisciata.
Il fondo della camera presentava su tre lati (i due maggiori e uno dei minori) un basso
scalino continuo realizzato in mattoni che evidenziava al centro un canale della stessa
ampiezza dellarcata del praefurnium. Questo era contenuto entro unampia
infossatura il cui riempimento era costituito da argilla a matrice organica, più ricca di
residui carboniosi in prossimità del muro della fornace stessa. Nel pacco di terreno
sottostante erano presenti mattoni derivanti dal crollo della volta dello stesso praefurnium
e un sottile livello di ceneri e carboni, che ne costituiva il residuo del riempimento.
Sopravvivevano soltanto per unaltezza di 70 cm e la lunghezza di circa m.1,40 i due
muretti laterali realizzati in mattoni, prevalentemente frammentati.
Il riempimento della camera di combustione era invece formato in prevalenza da materiale
refrattario, coppi e mattoni oltre a vari frammenti ceramici dello stesso tipo di quelli
recuperati nelle fosse di scarico.
Anche la seconda fornace, di m.4,40 X 2,50, presentava caratteristiche strutturali
analoghe e il praefurnium realizzato sul lato breve sud.
A quanto è dato di sapere è la prima volta che fornaci di questo tipo, con relative
fosse di scarico, vengono localizzate nel territorio di Campegine e vista la scarsità di
ritrovamenti di questo tipo in tutta larea emiliana notevole è linteresse che
rivestono. In attesa di poterle valorizzare come si conviene sono state quindi
opportunamente protette e reinterrate.
Manuela Catarsi DallAglio
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5.19. Carpineti, Castello delle Carpinete
Nell'ambito dei lavori di recupero del Castello delle Carpinete gli
scavi hanno consentito di individuare, a ridosso del torrione di Sud-Ovest, una cisterna
in ottimo stato di conservazione.
Il manufatto, ricavato all'interno di una torre precedente di cui si era persa
documentazione, consta di due ambienti sovrapposti. Nel superiore rettangolare e con muri
intonacati, doveva raccogliersi e depurarsi l'acqua piovana, che poi passava all'ambiente
inferiore, un vero e proprio serbatoio, percolando attraverso le porosità della
struttura.
La presenza di ceramiche graffite tra la terra e le macerie che colmavano gli ambienti,
fornisce un sicuro indicatore cronologico sul periodo in cui il manufatto è stato
defunzionalizzato e interrato.
Gli scavi sono stati realizzati con fondi FIO sotto la direzione di Cristina Costa
nell'ottobre del 1994, e realizzati sotto la supervisione della Soprintendenza
Archeologica con l'assistenza della Cooperativa "AR/S Archeosistemi".
Manuela Catarsi Dall'Aglio
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Gli interventi condotti per la realizzazione dei bacini di raccolta dei
rifiuti solidi urbani allinterno degli impianti della Nuova Geovis S.p.a, in
località Possessione Canale, Via Romita 1, hanno riportato in luce, nel giugno 1994, a
ca. 2 m dal piano di campagna attuale, stratificazioni archeologiche, caratterizzate da
lenti di terreno scuro, carbonioso, oltre a resti di palificazioni lignee.
La consistenza dei depositi emersi e limpossibilità di definirne, al momento della
scoperta, le caratteristiche tipologiche e cronologiche hanno reso necessario, in accordo
con la Proprietà, un primo intervento conoscitivo, al quale hanno fatto seguito tre
campagne di scavo, organizzate anche in relazione al piano di attività della discarica,
secondo un progetto elaborato congiuntamente dalla scrivente e dal Prof. Sauro Gelichi del
Dipartimento di Scienze Archeologiche dellUniversità di Pisa, con la collaborazione
di paleobotanici dellIstituto di Botanica dellUniversità di Bologna.
A seguito della prima indagine conoscitiva, condotta nei mesi di giugno e settembre 1994,
è stato possibile caratterizzare la natura e lestensione dellarea
archeologica. In particolare la sezione Nord - Sud, che attraversa lintero sito, ha
restituito una interessante sequenza di stratificazioni su una superficie di circa 94 m.
di lunghezza, consentendo una prima interpretazione del ritrovamento. La presenza di
fossati, terrapieni e palificazioni lignee che delimitano un ampio spazio caratterizzato
da sequenze stratigrafiche riferibili a strutture insediative suggerisce di interpretare
il sito quale sede di un villaggio fortificato. Le evidenze della cultura materiale
rappresentate da ceramiche grezze, da pietra ollare, da macine in cloritoscisto,da
fusaiole, da attrezzi ed armi in ferro ed infine da alcuni esemplari monetali, forniscono
riferimenti cronologici nellambito del X secolo.
Le successive indagini di scavo, tuttora in corso, documentano lo sviluppo
dellabitato in diversi momenti di occupazione. Altre sequenze stratigrafiche si
riferiscono a periodi precedenti e successivi allinsediamento altomedievale.
Al I° periodo di epoca protostorica , al momento non meglio puntualizzabile
cronologicamente, appartengono opere di canalizzazione delle quali restano alcune tracce
in negativo .
Inoltre la consistente presenza di frammenti laterizi di età romana, in prevalenza
mattoni del tipo manubriato, utilizzati come elementi di fondazione di strutture e ad
inzeppatura dellimposta di pali, lascia supporre lesistenza, nelle immediate
vicinanze, di edifici di età romana (II periodo), spoliati per le esigenze costruttive
del villaggio. Al III° periodo appartengono frammenti architettonici lapidei
altomedievali, riferibili ad un edificio di culto, rinvenuti come reimpiego nei depositi
archeologici riferibili alle fasi di vita dellinsediamento .
Il IV periodo corrisponde alle fasi di vita/abbandono dellabitato di X secolo,
articolato in diversi momenti, che si colgono nelle modifiche intervenute nell
assetto e nella funzione delle strutture realizzate a seguito di interventi pubblici e
privati.
Non è ancora chiaro se debba riferirsi al primo impianto del villaggio il fossato di ca.
5 m. di larghezza, con andamento NE/SW, messo in luce per circa 65 m. ed il tratto ad esso
ortogonale in direzione WNW/ESE, individuato per altri 23 m. (fossato IV, US 158). Le
ridotte dimensioni della struttura paiono indicare una modesta valenza difensiva in questa
fase dellabitato.
Al più antico impianto si affiancò un sistema più complesso costituito da un ampio
fossato, i cui lati misurano circa 80/90 m. di lunghezza, che cingeva unarea
quadrangolare di circa 7000 mq., al cui interno sorgeva labitato.
Sul lato interno del fossato si ergeva il terrapieno difensivo la cui larghezza raggiunge
8-10 m., mentre lo spessore conservato varia da 60 ad 80 cm.
Le indagini allinterno del villaggio hanno riportato in luce resti di edifici ad
impianto regolare, suddivisi al loro interno in più ambienti caratterizzati dalla
presenza di modesti focolari e di piani di lavoro, in laterizi romani di reimpiego. Un
consistente numero di buche di palo e tracce in negativo di assiti lignei spoliati
definiscono i limiti perimetrali e le partizioni interne.
Uno degli edifici indagati sorgeva a circa 12 m. di distanza dai fossati che cingevano il
villaggio. Larea tra i fossati e gli edifici corrisponde ad uno spazio aperto
occupato da focolari a fiamma libera. La presenza di scorie di fusione metalliche, attesta
la destinazione duso per lo svolgimento di attività artigianali.
I livelli di abbandono dellinsediamento erano ricoperti da un deposito nerastro,
carbonioso, della potenza variabile da 20 a 60 cm. con zolle di limo semisterile. Tracce
evidenti di solchi profondi a distanze regolari caratterizzano il deposito quale residuo
di attività agrarie, corrispondenti ad una modesta rioccupazione del sito, evidenziate
anche da una struttura abitativa, individuata alla sommità del terrapieno sul margine
nord-occidentale del villaggio.
A sud dellinsediamento, a circa 20 m dal margine esterno del fossato I, è stata
individuata una struttura a pianta quadrangolare, il cui livello superiore risultava già
ampiamente intaccato dagli interventi per la realizzazione della discarica. Le evidenze
archeologiche conservate erano rappresentate da un fossato (fossato III) che correva lungo
i quattro lati della struttura. I lati rilevabili (nord, ovest, sud) erano lunghi ca. 25 m
e larghi 6 m., con pareti leggermente oblique e fondo piano, della profondità residua di
circa 1m. Le ridotte dimensioni dellimpianto quadrangolare e la relativa consistenza
della palizzata suggeriscono di interpretare la struttura come elemento difensivo e/o di
avvistamento, ubicato allesterno del villaggio, a controllo delle vie di
comunicazione.
Labbandono definitivo del sito è attestato da depositi alluvionali, che colmano le
depressioni del fossato I , già parzialmente interrato e si distribuiscono uniformemente
sullintera area creando un deposito dello spessore di cm. 60. Lutilizzo del
luogo come risaia è documentato da uno strato archeologico, successivamente ricoperto da
un sottile deposito alluvionale e dal terreno arativo moderno. Aree adibite alla
coltivazione del riso sono note nella zona nel XVII- XVIII secolo (Maccaferri 1984, tav.
XXIV).
Una ricerca storica preliminare sulle fonti edite è stata condotta dal dott. Pierangelo
Pancaldi, che ha formulato alcune ipotesi riguardo allidentificazione
dellinsediamento, che potrebbe essere associato al castrum Pontilongi, citato
in un documento della fine del X secolo successivamente ripreso da Girolamo Tiraboschi
(Tiraboschi 1784-85, pp. 130-132).
Bibliografia
MACCAFERRI, Il territorio persicetano. Analisi storica della centuriazione al nostro tempo. Un altra storia di Persiceto e San Giovanni in Persiceto, S. Giovanni in Persiceto 1984
G. TIRABOSCHI, Storia dellAugusta Badia di S. Silvestro di Nonantola, 2 tomi, Modena
Nicoletta Giordani
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5.21. S. Giovanni in Persiceto, piazza del Popolo
In previsione dei lavori di ripavimentazione stradale in Piazza del
Popolo a S.Giovanni in Persiceto (BO), secondo gli accordi intercorsi tra
lAmministrazione Comunale e la Soprintendenza per i Beni Archeologici dell'Emilia
Romagna, si decideva di intervenire con una serie di sondaggi preventivi volti ad
accertare la presenza, la profondità e la consistenza di eventuali stratificazioni
archeologiche. Gli studi e le fonti locali (FORNI 1921,1927, FANTI 1967) segnalavano
infatti lesistenza dell antica Pieve dedicata a S.Giovanni, nota fin dal X
secolo e demolita poi nel 1672, collocandola proprio sul sito della piazza attuale.
Larea oggetto dei sondaggi, posta tra il Palazzo Comunale e la chiesa moderna,
copriva dunque una superficie complessiva di 500 mq.
Lintervento si concretizzava tecnicamente con lesecuzione a mezzo meccanico
(benna da 50 cm.) di tre trincee esplorative della lunghezza di circa 15 - 20 mt., di cui
una disposta longitudinalmente e due trasversalmente rispetto alla direzione
dellattuale Corso Italia. Altri due sondaggi di minore entità venivano eseguiti sul
lato Est del sagrato della chiesa.
Tali sondaggi (che hanno raggiunto la profondità massima di mt. 2,80 dallattuale
piano stradale) hanno consentito di individuare e documentare stratificazioni e strutture
distribuite su quattro diversi livelli di frequentazione pertinenti ad altrettanti
orizzonti cronologici:
quattro distinte pavimentazioni stradali sovrapposte tra loro senza
soluzione di continuità (XX - XVII sec.)
pieve romanica e relativa area cimiteriale (XVII - X sec.)
livello altomedioevale (IX - ? sec.)
livello romano (II sec. a.C.? - I sec d.C.)
Per quanto riguarda la pieve romanica i sondaggi hanno potuto solamente
accertare (a mt. 1,20 - 1,50 dallattuale piano stradale) tre grandi fosse di
spoliazione pertinenti con tutta probabilità ai resti dei muri perimetrali. Si evince
perciò che la facciata delledificio distava solo una ventina di metri dal portico
dellodierno Palazzo Comunale. Tra gli elementi riferibili alla pieve ricordiamo un
lacerto di piano pavimentale in mattoni (modulo cm. 45 x 20 x 3) e la base dimposta
di un pilastro quadrangolare ottenuta con materiali romani di reimpiego (frammenti di
embrici e mattoni).
Esternamente alle fosse di spoliazione, e quindi su entrambi i lati dellantica pieve
di S. Giovanni, è stata individuata a più riprese la relativa area cimiteriale. Si
tratta di uno strato di terreno a matrice argillosa (U.S.7), di colore bruno e consistenza
piuttosto friabile. Lentità presentava unincoerente quantità di carboncini,
frustuli e pezzame laterizio, frammenti ceramici (tra cui: maioliche arcaiche, graffite
rinascimentali e invetriate tardo-rinascimentali). Mescolati al terreno i resti di
numerosi scheletri umani, disposti caoticamente e visibilmente sconvolti da più
interventi di scavo, tanto che crani e ossa lunghe apparivano disarticolati e rimossi.
Da questi dati sembrerebbe dunque che larea cimiteriale si estendesse su buona parte
dellodierna Piazza del Popolo, attorno allantica pieve, ricoprendo un arco
cronologico dal pieno medioevo (XIV sec.) alla seconda metà del Seicento.
Le fasi altomedioevali erano rappresentate da uno strato di terreno argilloso, assai
plastico, di colore grigio scuro e piuttosto carbonioso, della potenza di circa 50 cm.
(U.S. 26). Tra i pochi materiali, da segnalare un bel frammento di mortaio in pietra
calcarea bianca.
Su questo livello si impostava un piccolo sepolcreto costituito da almeno tre tombe (a
cappuccina e/o in cassa laterizia) tutte situate entro larea perimetrale della
pieve, esattamente al di sotto del suo piano pavimentale.
Lo strato antropico di età romana, rinvenuto alla profondità di mt. 2 - 2,20 dal piano
di calpestio attuale, era costituito da una argilla plastica di colore grigio - bruno e
della potenza di circa 60 cm. (U.S. 40). Da questo provengono: tracce di uno strato di
crollo costituito da embrici e coppi ( U.S. 34) pertinente alla copertura di un edificio,
numerosi frammenti di anfore da trasporto, ceramica comune depurata (anforette e ollette
ansate), terra sigillata e un fondo di vaso a vernice nera.
Lanalisi della documentazione di scavo e lo studio dei materiali, tuttora in corso,
potrà in seguito chiarire la sequenza insediativa presente nel centro storico di S.
Giovanni in Persiceto ove non era mai stata riscontrata finora alcuna frequentazione di
età romana.
Lo scavo è stato condotto dalla società "Lares" sotto la direzione scientifica
di Nicoletta Giordani e di Renata Curina.
Bibliografia
FANTI M. 1967, Ville, castelli e Chiese bolognesi da un libro di disegni del Cinquecento, Bologna.
FORNI G. 1921, Persiceto e S.Giovanni Persiceto ( dalle origini a tutto il sec. XIX). Storia di un comune rurale, Rocca S. Casciano.
FORNI G. 1927, Persiceto e S. Giovanni Persiceto. Storia monografica delle chiese, conventi, edifici, istituzioni civili e religiose, arti e mestieri, industrie. Dalle origini a tutto il sec. XIX, Bologna.
Davide Mengoli, Pierangelo Pancaldi
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5.22. Budrio, via Zenzalino nord - angolo via Alta del Buriolo
La realizzazione di una rotatoria stradale, lungo la via Zenzalino in
corrispondenza della via Alta del Buriolo, ha consentito, con un opportuno intervento
d'emergenza in corso d'opera, di acquisire dati e reperti significativi di un modesto
insediamento rurale di età medievale, in particolare per quanto riguarda la tecnica e
l'uso dei materiali da costruzione.
In un'area di c.a. 2500 mq. si sono rinvenute tracce relative a fondazioni, buche di palo
e piani d'uso lavorativi di alcune strutture abitative, databili, analizzando i reperti in
pietra ollare e ceramica da fuoco, tra l'XI° e il XIII° secolo; per tipologia i
materiali trovano puntuali riscontri con quelli recuperati durante i saggi di scavo in
località S. Nicolò -"Castro Bagnarole"- in particolare un frammento parietale
di tegame in ceramica da fuoco con beccuccio versatoio lievemente abbozzato, ancora
scarsamente documentato in ambito locale. Poiché si è trattato di un imprevisto e
improcastinabile intervento d'emergenza, effettuato con il prezioso contributo di alcuni
volontari, è stato possibile esplorare solamente una porzione limitata dell'area
interessata da quello che doveva essere un insediamento abitato aperto; venutosi a
collocare nei pressi di un incrocio creato dal prolungamento di assi della centuriazione
romana.
Lo studio delle porzioni di abitazione rilevate evidenzia tracce di strutture molto
semplici e povere, realizzate probabilmente con materiale fornito dallambiente
circostante, come pali e travature di legno in funzione di elementi portanti e materiale
vegetale per i coperti e le chiusure dei vani; significativo è un piccolo frammento di
argilla concotta usata come intonaco delle pareti, con tracce in negativo della trama
dell'intreccio vegetale che costituiva l'ossatura della struttura.
La presenza di frammenti fittili da costruzione, come i mattoni, è scarsa poiché
limitata ai piani d'uso e alla zeppatura di pali; in questo caso, poi, i frammenti
laterizi sono associati a ghiaia e piccoli ciottoli, con l'evidente scopo di consolidare
al meglio le fondazioni. Ulteriori frammenti di laterizi romani palesano l'utilizzo anche
di materiali di spoliazione da rustici, probabilmente a quel tempo ancora visibili nei
pressi.
Uno strato romano, di c.a. 30 cm. costituito da un deposito naturale con materiale fittile
molto fluitato, è stato ritrovato a poca distanza in direzione Sud e alla profondità di
3 m.; essendo materiale non disposto in prima giacitura non è stato possibile
localizzarne la provenienza.
Nellinsieme i resti sono riferibili ad un villaggio di povere dimore -già
documentate nel territorio dalle fonti scritte del tempo come "domus de palea"-
venutosi a collocare lungo un asse viario e un canale importanti, nei pressi della chiesa
di S. Pancrazio, in un luogo che, come attesta il toponimo Buriolo e lassenza di
riferimenti certi della centuriazione, era circondato da bassi avvallamenti paludosi.
Maurizio Molinari
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5.23. Castel S. Pietro Terme, piazza XX Settembre
Nell'autunno del 1994 sono stati eseguiti nella piazza accertamenti
archeologici finalizzati allindividuazione di un nuovo tracciato della condotta
fognaria.
Grazie a una tempestiva quanto esaustiva ricerca d'archivio, con il ritrovamento di una
carta del 1609 dell'area in oggetto, sono stati eseguiti sondaggi mirati nella parte ovest
dell'area; questi hanno immediatamente dato esito positivo, consentendo dindividuare
il grosso muro di contenimento del fossato orientale della rocca con i relativi
riempimenti e la strada acciottolata che correva attorno ad esso, appena al di sotto del
manto stradale. Il muro, ancora in buone condizioni statiche anche se in gran parte
spogliato del paramento esterno in mattoni, aveva andamento rettilineo Sud-Nord e girava
ad angolo retto verso il centro dell'edificio comunale a formare una sorta di piattaforma,
larga m.8.OO. Riprendeva quindi nuovamente la direzione primaria dove veniva intercettato
ad una profondità di m.3.OO, per una lunghezza di m.27.OO fino all'angolo di chiusura del
fossato di Nord/Est, permettendo di ricavare un'andamento simmetrico per uno sviluppo
frontale complessivo di m.62.OO. L'analisi di alcuni cedimenti strutturali del manufatto
ne ha evidenziato la struttura, probabilmente trecentesca, permettendo di riconoscere una
tecnica di costruzione a sacco, eseguita con una colata di calce cementizia e ciottoli
all'interno di una camicia in pezzame laterizio, successivamente rivestita con un
paramento a corsi regolari in mattoni (modulo 29x14x6) bene immorsati tra di loro, legati
con malta e stuccati poi a raso. Sono state osservate anche due buche pontaie, che
servirono come ancoraggio per l'impalcatura nella costruzione del muro e in seguito per le
opere di manutenzione, mentre l'inclinazione della scarpa muraria risulta essere di gradi
15. Un sopralluogo eseguito negli scantinati comunali ha permesso di riconoscere parte
dello sviluppo planimetrico della rocca e in particolare il probabile rivellino per il
ponte levatoio della fossa, in asse con la piattaforma esterna descritta in precedenza, a
conferma della veridicità della citata carta seicentesca. Data la limitatezza del
sondaggio non è stato possibile attuare un'analisi più dettagliata e allargata
dell'area; mancano quindi elementi sufficienti per avanzare ipotesi sulle situazioni
difensive precedenti all'edificazione della rocca, nel corso del XIV secolo. Il bisogno di
materiali da costruzione, soprattutto da parte dei privati, portò lentamente alla
demolizione e allo spoglio delle strutture della rocca e al riempimento del fossato, che
correva attorno ad essa, già a partire dal secondo venticinquennio del XVI secolo, quando
questa cadde definitivamente in disuso. La datazione dei numerosi frammenti ceramici
rinvenuti dentro il fossato, che solo raramente giungono ai primi del seicento, conferma
tale ipotesi. La vasta tipologia delle forme recuperate offre la possibilità di studiare
una completa campionatura di vasellame da cucina e da mensa in uso in quel periodo
nellambito locale. E' presente graffita e dipinta policroma, monocroma in verde e in
giallo, maculata o marmorizzata, invetriata da fuoco, smaltata faentina e, inoltre, scarti
di cottura che testimoniano la presenza di artigiani e fornaci in loco. Di particolare
rilievo i reperti relativi all' uso domestico e quotidiano, come: ditali, monete, aghi,
bottoni, coltelli, ferule, chiodi, pesi e vetro.
Il quartiere medievale che doveva esistere nell'area, demolito e spianato a seguito della
costruzione della rocca col suo fossato (originando il dislivello artificiale di m.1.5O
ancora visibile), è stato puntualmente individuato, nel proseguo dei lavori, con maggiore
evidenza nella parte orientale e meridionale della piazza. Si tratta di strutture
abitative il cui sviluppo ha portato ad identificare: fondazioni, fognoli, parti in
elevato, stradelli e corti riferibili ad edifici privati prospicienti la via principale.
La tecnica costruttiva è comune a tutti i muri messi in luce, con la posa della
fondazione in corsi regolari di ciottoli legati con argilla, sulla cui sommità poggiava
la struttura in alzato con procedimento definito a "sacco", con il paramento
esterno in corsi regolari di mattoni. Una muratura in particolare presentava un corso di
mattoni disposti di taglio, sulla risega di fondazione, con inclinazione che gradualmente
variava da una estremità all'altra; è evidente la funzione livellatrice per la posa non
orizzontale dei ciottoli sottostanti. La robustezza, compattezza e larghezza (da m.O.4O a
m.O.5O), nonché la profondità, delle fondazioni (da m.O.9O a m.1.5O dal piano stradale)
lascia supporre uno sviluppo verticale dell'alzato rilevante (primo piano sopra quello
terreno), con l'utilizzo di murature e legno. La scarsità di elementi laterizi rilevata
in strato nelle zone attigue potrebbe fare pensare all'uso di elementi deperibili come
incannicciato e terra cruda, ma andrà probabilmente spiegata con il modo sistematico con
cui furono demoliti gli edifici, finalizzato al recupero di ogni loro componente da
riutilizzare poi in altro luogo. Resti di livelli pavimentali, riconosciuti all'interno
dei locali, erano composti da battuti in argilla con calce, da ciottoli di piccole
dimensioni con gesso e, in un caso, da un piano in mattoni legati con calce. All'esterno i
piani di frequentazione consistevano in alcuni strati sovrapposti di ciottoli, frammenti
laterizi e ceramici. La ceramica, ritrovata in particolare in connessione stratigrafica
nel riempimento esterno di una fondazione, ha fornito elementi cronologici utili alla
datazione degli edifici, attestandone la frequentazione dall'inizio del XIII secolo fino
al secondo venticinquennio del XIV, periodo che corrisponderebbe allo spianamento del
quartiere. Sono presenti forme chiuse in "maiolica arcaica" e aperte in
terracotta da fuoco acroma o dipinta in verde. Solo in un settore è stato recuperato
materiale duecentesco, relativo a pentole in pietra ollare, associato a uno strato di
coppi frammentati frammisti ad argilla molto carboniosa, in relazione al crollo di una
copertura in un'area dove tuttavia mancano tracciati murari. Forse si trattava di una
"domus cupata" facente parte del primo impianto dell'abitato, ubicata presso il
margine di una piccola strada ghiaiata, con orientamento Est/Ovest, ricalcata da quella
attuale, davanti al santuario del Crocefisso.
Gli accertamenti archeologici sono stati effettuati in seguito ad un accordo tra la
Soprintendenza Archeologica e lUfficio Tecnico del Comune, con la partecipazione del
Gruppo archeologico locale
Maurizio Molinari
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5.24. Castel S. Pietro Terme, cinema Jolly
Del primitivo impianto della chiesa di S. Bartolomeo, eretta dai P.P.
Agostiniani nel 1334, rimane la facciata e in particolare il pregevole portale ad ogiva di
stile gotico. Oltre alle manomissioni subite nel corso dei secoli, in particolare nello
stile interno, la chiesa fu ridotta definitivamente alla forma attuale nel 1859.
Durante la rimozione del vecchio selciato a ridosso del lato Est della ex chiesa di S.
Bartolomeo, ubicata nel centro storico della città lungo la via Matteotti, sono state
messe in luce alcune strutture murarie del complesso cultuale monastico, relative a
fondazioni legate allimpianto originario trecentesco.
L'evidenza principale è rappresentata da sette distinti tratti di fondazione muraria
innestati perpendicolarmente alla navata orientale dell'edificio religioso. Ogni
appendice, posta a una distanza di 2.30 m. l'una dall'altra, con una profondità di 1.20
m. e di 0.80 m. di spessore, è stata realizzata con la tecnica del muro a sacco
utilizzando una camicia di mattoni successivamente riempita con una colata di ciottoli e
calce, come già testimoniato in altri edifici coevi del centro storico. Le strutture in
questione, nelle misure dei mattoni e negli interspazi, risultano simili a quelle ancora
visibili nella coeva chiesa di S. Giacomo a Bologna, e potevano ospitare una serie di
sarcofagi o nicchie sepolcrali; molti, infatti, sono i resti ossei umani sparsi e raccolti
nell'area. I reperti ceramici recuperati in dispersione comprendevano alcuni frammenti di
boccale in maiolica arcaica trecentesca.
Una fondazione posteriore che delimitava un ambiente a ridosso della navata, in ciottoli
legati con malta, é probabilmente da interpretare come traccia di una cappella laterale.
Un ulteriore sottofondazione in ciottoli legati con argilla, disposta parallelamente alla
chiesa e a ridosso della strada, sembrerebbe in fase con il primo impianto e
interpretabile come base di un portico attiguo all'edificio religioso; la colonnina
trecentesca in marmo rosso di Verona con anello (sul cui capitello in seguito fu posta una
croce come segnacolo dell'area cimiteriale), tuttora collocata al vertice del
prolungamento della struttura, potrebbe essere l'unica sopravvissuta del colonnato di tale
portico.
All'interno dell'edificio religioso, a seguito della fondazione di una serie di plinti per
il sostegno del nuovo palco del cinema teatro, oltre al ritrovamento di una fossa comune
tarda é stato infine documentata la sovrapposizione di tre strati pavimentali: un piano
ottocentesco alla veneziana, le tracce di spoliazione di un pavimento seicentesco in
mattoni (frammisto a frammenti fittili e stucchi in gesso, da collegare al rifacimento
dell'interno del 1859) disposto sopra a un allettamento in calce e, infine, un piano in
battuto d'argilla (contenente alcuni frammenti in maiolica arcaica) da ritenersi coevo al
primo impianto della chiesa.
Maurizio Molinari
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5.25. Castel S. Pietro Terme, loc. Cà S. Vincenzo di Osteria Grande
Nel corso di un intervento di indagine condotto dai volontari del Gruppo
di Valorizzazione del Territorio sono stati indagati con criterio archeologico i resti di
un grande edificio rurale (ex palazzo Scarselli) abbattuto recentemente nei pressi di
Osteria Grande, frazione posta sulla via Emilia. La struttura, che risulta testimoniata
dalla cartografia storica gi agli inizi del '600, presentava una superficie di circa 400
mq., copertura a doppio spiovente con colombaio nel sottotetto ed era orientata con
facciata ad est e testimoniava una tipologia edilizia assai diffusa in pianura gi nel
tardo '500. Il paramento murario risultava per costituito da una stratificazione muraria
abbastanza complessa, che vedeva la prevalenza di materiali misti, ciottoli e mattoni, in
particolare, piuttosto inconsueti nelle costruzioni di pianura del XVI secolo (Fig. 2).
Il lavoro ha permesso di appurare come l'edificato fosse sostanzialmente frutto dei
rifacimenti ed ampliamenti settecenteschi di una pi piccola struttura rettangolare in
mattoni che, in base ai materiali rinvenuti, risulta databile tra la fine del '500 ed i
primi anni del secolo successivo. La risistemazione ha cancellato quasi ovunque il
paramento murario dell'edificio originario, che aveva un alzato in mattoni poggiante su
pilastri fondati in profondità collegati da arcate in laterizio ed orientamento canonico
con facciata verso Sud.
Lo scavo di alcuni immondezzai ha fornito alcuni contesti ceramici significativi databili
tra la seconda metà del '700 e i primi anni del successivi, in particolare un ricco
repertorio di maioliche monocrome verde-azzurro (dette "Sinigallia") e di
ingobbiate policrome (i c.d. "bianchetti") imolesi o bolognesi, La qualità del
repertorio testimonia della ripresa estremamente ampia della diffusione dalla ceramica
smaltata anche in aree rurali dopo il consistente calo osservabile a partire dal XVII
secolo.
Numerosi anche i frammenti ascrivibili alla prima occupazione dell'area, con graffite
policrome a punta e punta e stecca e maioliche in stile "compendiario" decorate
con stemmi familiari.
Mauro Librenti
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5.26. Castel S. Pietro Terme, Osteria Grande, via S. Giovanni
Nel corso di lavori di scavo per la posa di un traliccio dell'alta
tensione condotti in via S. Giovanni, presso la via Emilia è stata individuata una ampia
fossa con andamento E/O, con bordi irregolari e profondità variabile tra 60 cm. e 1 m.,
riempita con argilla, ceramica, pezzame laterizio, ciottoli, vetro e resti di pasto. Si
trattava verosimilmente della fossa di spoliazione di una struttura muraria, ascrivibile
ad un edificio abbattuto attorno alla metà del XIV secolo (Fig. 2). A causa di un piccolo
deposito alluvionale, il sito non è stato individuato nel corso delle ricognizioni di
superficie condotte a più riprese nell'area.
I materiali rinvenuti sono costituiti in maggioranza da boccali da mensa invetriati o
smaltati, mentre solo un piccolo gruppo costituito da forme da fuoco grezze o invetriate.
Le grezze da fuoco documentano due sole forme, il catino-coperchio ad orlo estroflesso ed
anse a nastro simmetriche e la pentola globulare con orlo ispessito, anse ad occhielli e
peducci al fondo. Il recipiente, in quest'ultimo caso, è caratterizzato dalla forma
dell'ansa, particolarmente ampia, tipica dell'evoluzione tardiva della tipologia, diffusa
in età bassomedievale.
Le ceramiche da fuoco invetriate sono testimoniate da due forme, la prima delle quali è
un basso catino-coperchio ad orlo estroflesso ed ansa a nastro, la seconda una classica
pentola ovoide ad orlo estroflesso ed ansa a nastro. Gli oggetti mostrano le medesime
caratteristiche tecnologiche, in quanto sono entrambi foggiati in argilla rossiccia con
inclusi minuti e sono coperti da una vetrina verde oliva spessa e densa.
La grande maggioranza dei frammenti è riferibile invece a recipienti da mensa in
"maiolica arcaica", con l'eccezione di alcuni orcioli a collo stretto invetriati
in verde.
La maiolica arcaica documenta un tipico gruppo di oggetti databili al pieno XIV secolo,
verosimilmente di produzione bolognese. Il territorio in questione, in effetti,
restituisce l'immagine di una diffusione capillare di questi prodotti. Tanto la forma dei
boccali, quanto la presenza di "maiolica arcaica bleu" pongono la cronologia del
contesto attorno alla metà del secolo.
I boccali smaltati sono caratterizzati quasi uniformemente dal corpo ovoide su piede poco
svasato, con ansa generalmente a nastro. Inoltre si sono rinvenute un paio di ciotole
trilobate, con ansa a nastro. I decori mostrano una netta predominanza di motivi
geometrici e vegetali. Tutti i soggetti decorativi sono racchiusi in una doppia cornice di
linee che includono sequenze a coda di rondine, ad onde o a linee oblique. All'attacco
dell'ansa, inoltre, si sono riconosciute alcune marche.
Si è rinvenuto anche un fondo di catino con piede ad anello, dipinto a girali di fogliami
cuoriformi attorno ad un bulbo centrale ed un frammento di ciotola trilobata.
Lo scavo è stato effettuato sotto il controllo della Soprintendenza Archeologica e con la
partecipazione dei volontari del Gruppo di Valorizzazione del Territorio
Bibliografia
LIBRENTI M., Il territorio di Castel S. Pietro ed il Bolognese orientale in età medievale. Le fonti archeologiche, in Castel S. Pietro e il territorio claternate. Archeologia e documenti (a cura di J. Ortalli), Castel S. Pietro Terme 1996, pp. 253-288.
Mauro Librenti
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5.27. Ferrara, monastero di S. Antonio in Polesine
Il convento di S.Antonio, che ospita tuttora un piccolo nucleo di
monache benedettine, costituisce uno dei complessi monastici più antichi di Ferrara e
lunico a continuità di vita dal medioevo fino ai nostri giorni. In occasione dei
lavori di ristrutturazione e restauro promossi dalla Soprintendenza ai Beni Ambientali ed
Architettonici di Ravenna, la Soprintendenza Archeologica dell'Emilia Romagna ha
intrapreso una serie di indagini archeologiche estese a tutta l'area dell'ex secondo
claustro; contemporaneamente si sono iniziate una serie di letture stratigrafiche degli
alzati, in modo da conseguire quella serie di informazioni ancora mancanti sulla genesi e
sullo sviluppo del complesso monumentale e del comparto urbano nel quale è inserito
(GUARNIERI 1995, GUARNIERI 1996).
Il monastero occupava unisola posta in un punto di defluenza dei due rami principali
del Po altomedievale (Fig.1): questa situazione andò mutando nel tempo con il progressivo
impoverirsi del Po di Ferrara, in atto già dal XII secolo a causa della rotta di
Ficarolo. Nel 1451 Borso dEste ordinò l annessione dellisola alla
città cingendo con le mura urbane il lato meridionale del monastero.
Lattuale complesso fu fondato nel 1227 da un gruppo di monache benedettine alla cui
guida era Beatrice figlia di Azzo II dEste, sul luogo ove precedentemente aveva
avuto sede un nucleo di frati agostiniani. Il convento, a cui la fondazione estense
attribuisce un particolare rilievo nella storia della città, ebbe un enorme importanza
durante il rinascimento, ospitando tra i vari personaggi illustri i pontefici Giovanni
XXII (1414), Eugenio IV (1438) e Pio II (1459).
L'area indagata (GUARNIERI-LIBRENTI 1997) presenta tracce di frequentazione a partire
dagli inizi del XIV secolo (Periodo I) quando si procedette all'occlusione di un ampio
fossato che tagliava con andamento nord-sud i consistenti depositi di limo e sabbia che
costituivano l'isola sul Po. Sul riempimento di macerie e terreno venne impiantato un
grande edificio conventuale (str. 1) che possiamo ipotizzare a pianta rettangolare, con
un'area centrale probabilmente occupata da un chiostro. I muri rilevati erano interrotti
dalle tracce di alcune porte; in particolare quella aperta verso settentrione manteneva
ancora in situ i contrafforti, di consistenti dimensioni. Ad essa conduceva uno stradello,
ripristinato in seguito più volte, che attraversava l'area cortilizia antistante
l'edificio. Contemporaneamente un altro edificio monastico (str. 2), tuttora conservato
per una parte consistente della sua volumetria, venne impiantato poco più a nord del
primo.
Attorno alla metà del XV secolo (Periodo II) (Fig.2) l'articolazione delle strutture
preesistenti venne pesantemente sconvolta dalla costruzione di un grande corpo di fabbrica
( str. 3) che rappresenta sostanzialmente il fabbricato attualmente in uso (us 32). La
precedente struttura venne tagliata in gran parte dal questo nuovo edificio senza peraltro
esserne interamente cancellata; la parte restante della struttura 1 nel corso del XV
secolo venne infatti riadattata per attività artigianali, come si può dedurre dalle
tracce di un consistente strato di cenere e scorie all'interno del settore occidentale
dell'edificio (us 11) e dalla presenza di alcuni basamenti in laterizi che dovevano
servire da basamento per le attrezzature. In relazione a questa fase di vita venne
costruito un vano interrato in muratura per lo scarico dei rifiuti; questo conteneva
abbondanti resti di pasto e ceramiche in ottimo stato di conservazione (us 5). A questa
fase pare attribuibile in particolare l'utilizzo dello stradello osservato nel Periodo I,
compattato frequentemente con calce e pezzame e sul quale si conservavano ancora numerose
impronte di carriaggi. Il cortile venne tagliato da un muro di recinzione con andamento
nord-sud, lungo una decina di metri (us 34). Entro i primi decenni del '500 venne
costruito un ulteriore fabbricato (str. 4) nell'area ortiva posta a nord.
Tra la fine del XVI ed i primi decenni del XVII secolo (Periodo III), si osserva il
completo rifacimento delle strutture esterne al complesso di impianto quattrocentesco(str.
3). Questo edificio venne collegato con la str. 2 attraverso la costruzione di un
fabbricato angolare costituito da un corridoio esterno che dava accesso ad una serie di
stanze. In seguito ad una serie di interventi minori, consistenti in rifacimenti di alzati
e realizzazioni di superfetazioni (Periodo IV), la porzione del monastero in esame andò
assumendo l'aspetto che presenta attualmente.
Una conferma della ricchezza e dell'importanza del convento è data dalla tipologia dei
materiali rinvenuti durante gli scavi: la qualità degli oggetti è tale da richiamare
maggiormente un contesto sociale laico di alto livello che una comunità religiosa.
L'immondezzaio (us 5) ha restituito un numero notevolissimo di ceramiche ben conservate,
databili ad un arco cronologico compreso nella seconda metà del XV secolo; si tratta
soprattutto di ceramiche ingobbiate e graffite policrome e, in minor misura, monocrome.
Tra i materiali presenti figurano anche alcune smaltate italiane ed un gruppo abbastanza
consistente di lustri spagnoli.
La grande quantità di materiali ceramici databili tra la metà del '500 e la metà del
secolo successivo proviene da una serie di fosse praticate nel cortile e riempite di
scarti d'uso; sono presenti prevalentemente ceramiche ingobbiate graffite monocrome o
policrome, con sigle e simboli. Nei riempimenti più tardi assume sempre maggiore rilievo
la presenza di maioliche in stile "compendiario", in genere ciotole decorate con
putti entro cornice di steli, ma anche oggetti inconsueti come calamai plasmati con figura
di donna.
Accanto a questi materiali troviamo inoltre numerosissimi oggetti di notevole pregio, tra
cui vetri di produzione veneziana (GUARNIERI c.s.).
Lindagine archeologica, finanziata con i fondi della Soprintendenza Archeologica
dellEmilia Romagna e della Soprintendenza ai Beni Ambientali ed Architettonici di
Ravenna e diretto dalla scrivente, è stata condotta da M.Librenti, con la partecipazione
di L.Pini, C.Vallini, B.Zappaterra, della società "La Fenice".
Bibliografia
GUARNIERI C. 1995, Ferrara, convento di S.Antonio in Polesine, 1994, in "Schede scavi," Archeologia Medievale", XXII, pp.387-388.
GUARNIERI C. 1996, Ferrara, convento di S.Antonio in Polesine, 1995, in Schede scavi," Archeologia Medievale", XXIII, pp.559-560.
GUARNIERI C.- LIBRENTI M. 1997, Sviluppo di un insediamento monastico nella Ferrara tardomedievale: il convento di S.Antonio in Polesine, in Atti del I Congresso Nazionale di Archeologia Medievale (Pisa 29-30 maggio 1997), Firenze, pp. 290-295.
GUARNIERI C. c.s., Suppellettile vitrea proveniente dagli scavi del Convento di S.Antonio in Polesine a Ferrara: : note preliminari, in Atti della II Giornata di studio sul vetro,(Milano dicembre 1996)
Chiara Guarnieri
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5.28. Voghiera, castello del Belriguardo
Durante la sorveglianza dei lavori di scavo eseguiti nel febbraio del
1994 per la posa di una condotta fognaria da realizzare nel cortile del Castello del
Belriguardo sono state riportate in luce antiche vestigia, utili ad una più compiuta
conoscenza della delizia estense.
Al di sotto del piano di calpestio attuale, si è rinvenuta una pavimentazione in mattoni
(modulo: 28.5x13x0.6), posati di piatto con andamento obliquo su uno strato compatto di
calce bianca.
Il terreno di riporto ad essa soprastante, peraltro diffuso su tutta la superficie del
cortile interessata dalla trincea, è caratterizzato dalla presenza di frammenti ceramici
di eterogenea tipologia : graffite seicentesche, smaltate monocrome bianche, invetriate da
cucina, la cui datazione al XVII secolo costituisce un terminus ante quem per la
pavimentazione in laterizi.
Al di sotto di questa pavimentazione laterizia si è rinvenuta una vasca -orientata
nord-sud, lunga m 1.80, larga m 0.80 e profonda m 1.20- anchessa realizzata in
laterizi di modulo analogo a quello su menzionato, legati con consistenti strati di malta
(calce bianca e sabbia), con copertura a volta di mattoni legati con calce.
La testata nord e il fianco est sono in chiave tra loro; la testata sud si innalza invece
su una muratura del Belriguaro, così come doveva accadere per il fianco ovest, al momento
dellindagine già totalmente mancante. Il fondo era costituito da uno strato di
calce e sabbia mescolate insieme e solidificate con acqua.
Pochi i materiali rinvenuti, tra cui spiccano un boccale ingubbiato dipinto, intatto, del
tipo, per lungo tempo, diffuso nel Ferrarese a partire dalla metà - fine del XV secolo,
una ciotola graffita policroma rinascimentale, ornata da giglio araldico, fratturata ab
antiquo, ma ricomponibile, un piatto in ceramica marmorizzata, frammenti di contenitori
ingubbiati graffiti monocromi, numerosi frammenti vitrei pertinenti a bottiglie e a
bicchieri a calice con stelo modanato.
Tra le monocrome chiare si sono raccolti anche numerosi frammenti, attribuibili ad almeno
due grandi vasi da comoda (pitali).
Il periodo duso di questa discarica -a noi pervenuta fortemente compromessa da
passate attività di scavo condotte senza sorveglianza- dallindagine preliminare dei
materiali, parrebbe latamente individuabile, tra la metà del XVI e il XVII secolo.
Lo scavo, reso possibile grazie allausilio del personale dellACOSEA, si è
avvalso del contributo del prof. Ottorino Bacilieri, ispettore onorario per la zona di
Voghenza, Voghiera e Montesanto, ed è stato avvallato dalla Soprintendenza per i Beni
Ambientali e Architettonici di Ravenna - Centro Operativo di Ferrara.
Caterina Cornelio Cassai
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5.29. Forlì, Corso della Repubblica
In previsione della realizzazione di un archivio sotterraneo in un
cortile interno (mq. 232 ca.) della sede centrale della Cassa dei Risparmi di Forlì,
posta nelle immediate adiacenze dellantico tracciato della via Emilia (attuale corso
della Repubblica), nel 1994 furono effettuati due saggi i cui risultati hanno reso
necessario uno scavo archeologico preliminare ai lavori edili.
La frequentazione più antica risale alletà romana, alla quale sono attribuibili un
paleosuolo scarsamente antropizzato (potenza: cm 25-35) e i resti di un focolare,
individuati a una profondità compresa tra m 1,90 e m 2,20.
La fase romana risulta sigillata da depositi alluvionali dello spessore complessivo di ca.
m 1; su questi si sono impostate le successive occupazioni, i cui piani duso sono
stati completamente cancellati dalla pavimentazione, dalla rete fognaria e
dallimpiantistica recenti.
Tuttavia è stato possibile fissare una prima sommaria periodizzazione, comprendente
evidenze di età medievale e rinascimentale-moderna. La scansione cronologica delle fasi
duso e dabbandono degli impianti individuati potrà essere ulteriormente
precisata dopo il restauro e lo studio dei materiali.
La prima traccia doccupazione del sito in epoca post-classica è rappresentata da un
fossato (fig.1, A), che attraversando lintera area con orientazione NW/SE, prosegue
oltre i limiti di scavo. Il canale ha conosciuto due fasi distinte, caratterizzate da
incisioni che seguono il medesimo tracciato. Entrambe le fasi attive sono contraddistinte
da un progressivo interramento determinato dal passaggio dacqua a bassa energia e/o
accrescimento naturale. A differenza di questi depositi privi di materiale, i riempimenti
che segnano il definitivo abbandono del fossato hanno restituito resti faunistici e
piccoli frammenti di vasellame in pietra ollare, ceramica grezza e depurata.
Le strutture riferibili a un momento successivo allabbandono del fossato confermano
il ruolo primario di Forlì nellambito della produzione fittile in epoca medievale.
Il fossato è infatti intaccato da una vasca rettangolare (fig. 1, B: m 2,86 ´ m 1,63;
profondità residua cm 65) sul cui fondo era presente un deposito dargilla depurata;
tale riempimento, relativo alla fase duso della buca, consente dinterpretarla
come parte di un impianto legato allarte figulina. Gli strati pertinenti
allabbandono, databile alla prima metà del XV sec., contengono grumi dargilla
molto compatta (probabili residui di lavorazione), frammenti di maiolica arcaica e
ceramica da fuoco dimpasto grossolano. La struttura era correlata a una piccola
cisterna o deposito dacqua e a due pozzi per approvvigionamento idrico (fig. 1,
C-E).
Le evidenze che hanno restituito materiale detà rinascimentale-moderna, anche se
non sono riferibili con certezza a impianti destinati alla produzione ceramica, inducono a
ipotizzare una continuità nelluso della zona.
Una vasca quadrangolare, di cui si ignora la funzione originaria, (fig. 1, F: m 1,65 ´ m
1,72, profondità residua cm 55) rivestita da un muretto in laterizi, di cui rimangono
lacerti delle pareti nordoccidentale e sudoccidentale, una volta defunzionalizzata, è
stata riutilizzata come discarica di materiale ceramico (prevalentemente smaltato),
databili tra il XV e XVI secolo; tra i reperti si segnalano anche alcuni treppiedi
distanziatori.
Laltra struttura è un vano interrato, interpretabile come conserva o cantina (figg.
1, G e 2); di esso è stato possibile indagare un tratto di forma rettangolare (m 1,94 ´
m 1,76, profondità residua m 1,48), il cui sviluppo in direzione sudoccidentale è stato
interrotto dalla rete fognaria recente. Lambiente era rivestito da un muro in
laterizi di cui restano due lacerti lungo le pareti nordorientale e sudoccidentale ed era
provvisto di un pilastro, presumibilmente riferibile a una fase di ristrutturazione della
cantina. Nella fase dabbandono, la struttura viene parzialmente demolita e
riutilizzata come discarica di materiale edilizio, scarti di lavorazione dellargilla
e materiale proveniente da pulizia di fornace. I riempimenti relativi a tale fase
contengono materiali medievali (frammenti di "maiolica arcaica" e di
"zaffera a rilievo") e rinascimentali (frammenti di ingobbiata, graffita,
invetriata da fuoco, "bianco su bianco" e rarissimi frammenti di maiolica
berettina).
Nonostante le limitate dimensioni dellarea, lo scavo condotto con metodo
stratigrafico fornisce una sicura sequenza di depositi alluvionali e strati antropizzati
che vanno dalletà romana in poi. Gli elementi raccolti, confrontati con i dati
relativi a precedenti scoperte, potranno essere utilizzati per la ricostruzione della rete
di canalizzazioni e fossati che caratterizzarono il centro in età post-classica, e per il
riconoscimento di aree destinate ad uso produttivo nellambito urbano e sub urbano di
Forlì.
Lintervento, diretto dalla Soprintendenza, sotto la direzione di Maria Grazia Maioli
e con la collaborazione di Luciana Prati, direttrice della Pinacoteca e Museo Civico di
Forlì, e di Meri Massi, è stato condotto, tra il 25 maggio e il 31 luglio 1995, da
Cinzia Cavallari e Nicoletta Raggi della società "Tecne S.r.l.".
Cinzia Cavallari, Nicoletta Raggi
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5.30. Tredozio, via dei Martiri 46
In questa breve nota si vuole dare notizia del rinvenimento di alcuni
frammenti architettonici di età medievale, venuti in luce durante la costruzione di un
capannone industriale alle porte di Tredozio (Fig.1). La Soprintendenza è giunta sul
luogo quando ormai l'intervento era terminato. Nellarea ogni traccia in piano di
preesistenze archeologiche era stata distrutta; rimanevano in vista i due lati dello
sbancamento. Pertanto non rimaneva che esaminarne le pareti e recuperare il materiale
venuto in luce.
Le due sezioni realizzate evidenziano, al di sotto dello strato arativo della potenza di
circa 70 cm, un livello di frequentazione di età romana. I pochi materiali recuperati
suggeriscono una generica datazione alla prima età imperiale. Il rinvenimento si collega
ad un recupero effettuato nel 1977 nel terreno attiguo, avvenuto anchesso con le
medesime modalità. Si trattava anche in questo caso dei resti di un edificio di età
romana attribuito dubitativamente al I sec.d.C. Vista la contiguità e le medesime
caratteristiche delle due scoperte si può ipotizzare che si tratti della medesima
struttura. Il livello detà romana era in parte tagliato dalle fondazioni di un
edificio orientato in senso nord-ovest/sud-est, la cui lunghezza superava i 26 metri. La
struttura muraria, realizzata in grossi ciottoli squadrati e rari frammenti di laterizio
legati con argilla, si conservava per un altezza di circa m. 1,60. La tecnica edificatoria
impiegata in uso per un arco cronologico estremamente vasto e lassoluta mancanza di
materiali non permettono di fornire una datazione circostanziata all'edificio, che
comunque è riferibile alletà postclassica.
Gli elementi architettonici recuperati, due capitelli a stampella ed un laterizio
decorato, erano con molta probabilità pertinenti alledificio e di reimpiego;
purtroppo le condizioni del rinvenimento non permettono di andare oltre questa ipotesi. I
due capitelli, in arenaria, hanno allincirca le stesse dimensioni (h. cm 20, base
superiore cm 40x24, base inferiore leggermente diversa: cm12/12.5x 14/14.5) e sono
decorati su tutti i lati. Date le misure questi dovevano essere stati destinati ad
aperture di dimensioni ridotte, come finestre o bifore di campanili ed inoltre in una
posizione in cui si notassero maggiormente i lati corti, vista la maggior cura che a
questi ultimi sembra dedicata nella scelta e nellesecuzione della decorazione. Il
primo capitello (Inv.147968) presenta sui lati lunghi una decorazione a linee parallele
che seguono la configurazione trapezoidale dellelemento stesso (Fig.2); su uno dei
lati brevi mostra invece una girandola. Il rimanente lato recava una decorazione a
triangoli concentrici inscritti in un trapezio. La decorazione del secondo capitello
(Inv.147969) consiste in elementi vegetali stilizzati, disposti differentemente su ogni
lato (Fig.3).
Il terzo elemento è una lastra in cotto frammentata (Inv.147967); questa presenta su di
un lato una conformazione a "gradino", con una decorazione ad alveoli
triangolari ottenuta a cotto. La decorazione della superficie, a stampo, consiste in una
treccia a trama larga costituita da due doppi nastri accostati che si snodano su un fondo
fittamente quadrettato, realizzato a mano libera sul pezzo allo stato cuoio. Le dimensioni
sono assimilabili a quelle del sesquipedale romano (largh. cm 29.5, lungh.conservata 34.5,
spess.5-7).
Gli elementi architettonici sono stati studiati da S.Minguzzi (GUARNIERI- MINGUZZI c.s.);
se i capitelli si inseriscono in " un filone di attardamento di motivi decorativi
scultorei altomedievali, presenti soprattutto nelle aree periferiche, nellambito
dellXI secolo", problematica invece appare unattribuzione cronologica
precisa del laterizio; questo, sia per le circostanze del rinvenimento che per il
repertorio decorativo e le tecniche impiegate per realizzarlo, potrebbe appartenere al
periodo altomedievale come al X-XI secolo.
Lintervento, realizzato sotto la direzione della scrivente, è stato curato da
L.Mazzini.
Bibliografia
GUARNIERI - MINGUZZI c.s., C. GUARNIERI, S. MINGUZZI, Elementi architettonici inediti provenienti dal territorio di Tredozio (FO), in XLIII Corso di Cultura sullArte Ravennate e Bizantina, c.s.
Chiara Guarnieri
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5.31. Bertinoro, via Frangipani
L'indagine archeologica è stata effettuata in seguito al sequestro di
un ambiente dell'edificio sito in via Frangipani 1 e di proprietà della Società Operaia
di Mutuo Soccorso.
I lavori, iniziati nel dicembre 1995, hanno comportato una iniziale setacciatura manuale
del terreno proveniente della una fossa, denominata A, già in gran parte svuotata dallo
scavo abusivo, e localizzata in un punto centrale della stanza, presso il muro orientale;
la buca, ricavata nel tufo, è caratterizzata da una forma troncoconica, con imboccatura
di m. 0,68, base circolare del diametro di m. 2,36, e con una profondità di m. 2,42.
Si è poi proseguita l'indagine archeologica individuando e svuotando l'altra fossa
rinvenuta e denominata B: di forma simile alla precedente e collocata al margine
occidentale dell'ambiente; l' imboccatura della fossa è di m. 1,12, il diametro di base
è di m. 3,24 e l'altezza complessiva è di m. 4,18. La struttura presenta uno scivolo sul
lato S-W, a partire dall'imboccatura del silos, con una pendenza verso il centro di 60
gradi circa, elemento che avvalora l'uso originario della cisterna come contenitore per
cereali. Nella succesione dei riempimenti, costituiti da rifiuti anche di natura organica,
sono stati identificati due distinti tamponamenti composti da tufo sminuzzato; sul fondo
del silos erano presenti tracce evidenti di legno decomposto, possibile residuo lasciato
da una incamiciatura della fossa durante l'utilizzo a granaio; tutti gli strati di
riempimento presentavano un culmine al centro con deposizione dei materiali di maggiori
dimensioni verso il perimetro della buca.
La fossa denominata B rappresenta certamente quella che ha restituito in contesto più
significativo ed omogeneo di reperti, composto prevalentemente di frammenti ceramici. Si
tratta di un nucleo di prodotti sostanzialmente omogeneo ed unitario per cronologia, con
una componente prevalente di forme da mensa sia ingobbiate che smaltate, mentre minoritari
risultano i materiali da fuoco solo invetriati.
Le maioliche costituiscono il nucleo di oggetti più consistente e vario dal punto di
vista tipologico. Convivono all'interno dello stesso scarico, formatosi verosimilmente nel
corso di pochi anni, pezzi con decori particolarmente eterogenei - alla
"porcellana", "gotico-floreale", su smalto "berettino" sia
in policromia che in bleu, in "stile fiorito", "compendiario", nonchè
commistioni di stili differenti -. Questa situazione crea l'impressione di un deposito
formatosi in una fase di passaggio della produzione verso le forme tardo rinascimentali,
attorno alla metà del XVI secolo. Da segnalare, comunque, l'assenza di motivi a
"ciuffi e spirali", tipici ancora del repertorio di inizio XVII secolo.
Le ingobbiate, per contro, presentano invece uno spettro di soluzioni formali e
tipologiche decisamente ristretto. Figurano infatti prevalentemente forme aperte - ciotole
emisferiche e catinetti troncoconici, in particolare - decorati con motivi geometrizzanti.
Nel caso delle sole ingobbiate dipinte si tratta frequentemente di motivi che riprendono i
temi della "Graffita arcaica" e dei tipi a "decorazione semplificata".
I soli colori utilizzati sono il bruno ferraccia ed il verde ramina.
Le graffite mostrano un repertorio decisamente contenuto, con motivi geometrizzanti
semplificati, ciuffi e spirali.
Le invetriate da fuoco, infine sono tutte pentole ovoidi ansate ad orlo estroflesso.
Decisamente più complessa la situazione del contesto del riempimento della fossa B, che
risulta costituito da un nucleo decisamente eterogeneo dal punto di vista tipologico.
Piatti e boccali smaltati con stemmi familiari "compendiari" e motivi religiosi
- una figura di santa - si associano infatti a bottiglie dipinte in ramina, piatti
graffiti a stecca con motivi geometrici, vasi monocromi e alcune pentole invetriate.
L'impressione è quella di impressione di una grande frammentarietà nelle fonti di
approvvigionamento, che non a caso pare coincidere con una datazione del contesto alla
fine del '600 che si segnala proprio per la crisi e la disgregazione dell'attività
produttiva in campo ceramico.
I materiali rinvenuti all'interno della fossa A sono databili alla seconda metà del XVII
secolo e attestano l'utilizzo di questa struttura per lo scarico di rifiuti domestici,
come evidenziano i numerosi resti di pasto. La fossa B conteneva materiali ceramici e
vetri che hanno permesso di identificarne la fine dell'uso a granaio, nel secondo
venticinquennio del XVI secolo e l'abbandono come discarica nel XVII-XVIII secolo.
I lavori sono stati effettuati da "La Fenice A.R." sotto la direzione di Maria
Grazia Maioli.
Mauro Librenti, Massimiliano Pompili
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Per quanto concerne i dati relativi al settore di scavo si rimanda alla
scheda riguardante i rinvenimenti di epoca romana effettuati nella stessa area (p. ).
Il cortile di palazzo Ghini risultava interessato dalla presenza di diverse strutture di
epoca medievale. Nell'angolo sud-est dell'area di scavo è stata individuata una cisterna
cilindrica con camicia costituita da laterizi, caditoia laterale, probabile copertura a
cupola e fondo in terra battuta che presenta, al centro, un affossamento di forma
circolare (fig.1; profondità m.4,80 circa; diametro m.2,30 circa): si tratta di una
struttura per lo scarico dei rifiuti, conservata in situ, probabilmente riferibile ad un
edificio posto oltre il limite sud dello scavo. Il riempimento più antico era costituito
da materiale organico, ossa, frammenti vitrei e ceramici, tra i quali molti frammenti di
boccali in maiolica arcaica; quello superiore era caratterizzato da macerie slegate e da
frammenti ceramici di età rinascimentale. Una struttura simile a quella sopra descritta
è stata individuata solo in sezione, sul limite ovest dell'area indagata e pertanto non
è stato possibile stabilire il tipo di materiale che la riempiva.
Nel settore nord-ovest dello scavo sono state individuate strutture murarie pertinenti a
due edifici del XV secolo, affiancati e con fronte verso nord (fig.2). Dell'edificio n.1
era visibile solo il muro nord-ovest costituito da una fondazione in ciottoli e da
frammenti laterizi legati con limo; l'alzato era composto da dodici corsi in mattoni
interi e frammentati, disposti in modo irregolare e legati da malta gialla; il lato
esterno del muro si presentava a scarpata.
I muri dell'edificio n.2, posto ad ovest del primo, presentavano le stesse caratteristiche
di quello già descritto; sul lato interno del muro con andamento est-ovest è stata
individuata una risega pertinente alla prima fase di pavimentazione del vano.
Successivamente la pavimentazione era stata asportata per costruire ambienti sottoscavati,
probabilmente adibiti a cantine, sul cui piano di calpestio in terra battuta era poi
crollata la copertura a botte. All'interno delle cantine, nell'angolo nord-ovest, è stata
individuata una struttura troncoconica, con camicia in muratura, parzialmente asportata da
interventi moderni. Probabilmente si trattava di una conserva-ghiacciaia, così come altre
due strutture, che presentavano le stesse caratteristiche, rinvenute alle estremità nord
ed ovest dello scavo. Queste ultime risultavano poi riutilizzate come discariche: i loro
riempimenti hanno restituito frammenti ceramici di varia epoca.
Nell'area sud dello scavo sono state individuate anche due buche di scarico ricche di
frammenti ceramici del XV e XVI secolo: in una di queste si sono rinvenuti, tra gli altri,
frammenti di maiolica e di ceramica spagnola.
I lavori sono stati effettuati da "La Fenice A.R." sotto la direzione di Maria
Grazia Maioli.
Laura Pini
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