Archeologia dell'Emilia Romagna

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3. Eta' Romana

Provincia di Piacenza

3.1. Piacenza, Via Genocchi
3.2. Cortemaggiore, S. Martino in Olza
3.3. Cortemaggiore, area SAIPEM
3.4. Caorso, cascina Brè
3.5. Fiorenzuola, loc. S. Michele
3.6. Fiorenzuola, loc. Buga
3.7. Pianello Val Tidone, loc. Arcello
3.8. Pianello Val Tidone, area proprietà Margherita Scrocchi
3.9. Castellarquato, loc. Crocetta.

Provincia di Parma

3.10. Parma, via Rubini
3.11. Parma, loc. San Pancrazio
3.12. Parma, PEEP Benedetta
3.11. Fornovo Taro, via Punica angolo via dei Collegati
3.14. Fornovo Taro, fraz. Riccò, ex area Marazzi

Provincia di Reggio Emilia

3.15. Reggio Emilia, palazzo Da Mosso
3.16. Campegine, via Aldo Moro
3.17. Canossa, loc. Luceria
3.18. Albinea, loc. La Noce, presso Fogliano
3.19. S. Ilario d'Enza, via Podgora
3.20. Montecchio, loc. Spalletti

Provincia di Modena

3.21. Campogalliano, loc. Ca’ Barbieri
3.22. Modena, loc. Cittanova.

Provincia di Bologna

3.23. Castenaso - San Lazzaro di Savena, asse Lungosavena
3.24. Castel San Pietro terme, loc. Liano
3.25. Imola, ex convento di S. Francesco
3.26. Imola, via Verdi

Provincia di Ravenna

3.27. Ravenna, Porta Cybo - Porta Serrata.
3.28. Ravenna, viale G. Galilei
3.29. Classe (RA), via Romea Vecchia, podere Minghetti
3.30. Classe, via Romea Vecchia
3.31. Faenza, via Severoli 33
3.32. Faenza, ex Palazzo Grecchi

Provincia di Forlì - Cesena

3.33. Cesena, Palazzo Ghini
3.34. Cesena, via Isei, via Tiberti, via Martiri d’Ungheria
3.35. Bagnarola di Sopra - manca

Provincia di Rimini

3.36. Rimini, piazza Ferrari
3.37. Rimini, loc. Covigliano - S. Fortunato

Provincia di Piacenza

3.1. Piacenza, Via Genocchi

In via Genocchi, uno dei cardines minori di Placentia, lavori dell'AMS di sostituzione del tubo dell'acquedotto hanno determinato, nel 1994, il rinvenimento del basolato stradale romano, alla profondità di m 1-1,2O dal piano stradale attuale.
Il basolato, in pietre laviche scure, oblunghe, di cm 25/3Ox1O/15, certamente importate, stato messo in vista in tre porzioni staccate, per una lunghezza complessiva di 37 m, nel tratto di via Genocchi compreso fra S. Maria in Gariverto, a Nord di via della Ferma, e S. Cristoforo, a Sud di via Gregorio X.
Risultavano ben visibili i solchi lasciati dal passaggio frequente dei carri.
Davanti alla chiesa di S. Maria in Gariverto, di origini altomedievali, erano conservati resti di tombe ad inumazione entro cassette di embrici riutilizzati, che avevano usato il basolato come piano di appoggio.
Altri resti di tombe ad inumazione sono stati rinvenuti davanti a S. Cristoforo.
Il rinvenimento ha potuto aver luogo grazie alla tempestiva segnalazione del tecnico dell'acquedotto sig. Molinelli; i rilevi sono stati eseguiti, a cura dell'ASM, dal disegnatore Gobbi.

Bibliografia

Marini Calvani 1990a: M. MARINI CALVANI, Piacenza. Via Roma - via G. Bruno - Piazza Duomo, Scavi per la nuova fognatura, in Bollettino di Archeologia, 5-6, 1990, pp. 123 s.

Piera Saronio

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3.2. Cortemaggiore, S. Martino in Olza

A seguito di segnalazione da parte della direzione dei lavori, in particolare del capocantiere geom. Sampaolo, stato effettuato nell'estate 1994, fra agosto e settembre, un saggio di scavo nella centrale di compressione temporanea della SNAM di S. Martino in Olza.
Durante i lavori di sbancamento per la costruzione di una vasca, erano venute in luce due tombe a cassetta di embrici, ad incinerazione, una con corredo di ceramica a vernice nera.
Lo scavo archeologico ha messo in luce una piccola necropoli ad incinerazione, di sei tombe, alcune entro cassetta di embrici o mattoni, con copertura di un embrice, una in una fossa in nuda terra, databili in età repubblicana, fra il II e il I sec. a.C., e in età augustea, e i resti di un insediamento rustico, che presentava varie fasi, la prima con buche per pali inzeppate con laterizi, le successive con fondazioni di muri in frammenti laterizi e in ciottoli, uniti da argilla, secondo un modello di edilizia povera diffuso nelle campagne, ma anche nei municipia, in età romana; la copertura era in laterizi e lo strato di copertura conteneva resti di intonaco rosso pompeiano.
Che si trattasse di edifici prediali, predisposti per lo sfruttamento dei terreni, confermato dal fatto che, nell'area della necropoli, si rinvenuto un complesso sistema di canalizzazioni, di larghezza da circa mezzo metro a un metro e mezzo, databile a una fase posteriore a quella della necropoli, fra il I sec. a.C. e il I sec. d.C.
In una fase successiva, nel I sec. d.C., venne costruito un vero e proprio edificio rustico, dapprima in legno, con pali infissi nel terreno, poi con fondazioni in ciottoli e in frammenti laterizi, copertura in tegole e alzato con intonaci dipinti, e diversi canali vennero chiusi e la loro area utilizzata a scopi abitativi, con la costruzione di aree ghiaiate.
Il materiale di corredo delle tombe gi stato restaurato presso il Laboratorio di restauro della Soprintendenza, a Bologna, e verrà presentato appena possibile.
Lo scavo è stato condotto dalla cooperativa ARS Archeosistemi, con Enrica Cerchi e con la collaborazione della cooperativa Arkaia e di Alessandra Tacchini.

Piera Saronio

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3.3. Cortemaggiore, area SAIPEM

 

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3.4. Caorso, cascina Brè

Durante i lavori di indagini preventive al passaggio del metanodotto Cortemaggiore-Ripalta, effettuati nel 1995, nell'area compresa fra la via Caorsana, antica via Postumia, e l'autostrada A21, circa 8OO m a Ovest di Caorso, nei campi della cascina Brè, sono venuti in luce resti di una villa romana di età imperiale, di notevoli dimensioni.
La zona, che si trova nei pressi dell'alveo del Po, deve essere stata sottoposta in passato ad alluvionamenti di notevole portata; i resti della villa infatti si trovano alla profondità di m 1,5O dal piano di campagna attuale.
La villa si estende per una lunghezza di circa 16O m in senso Nord-Sud, e per una larghezza di circa 5O m; di essa sono conservate due fasi costruttive distinte, separate da un deposito alluvionale argilloso di oltre 5O cm.
La tecnica usata in entrambe le fasi analoga: sono state rinvenute fondazioni di muri, ortogonali fra loro, in frammenti laterizi e grossi pilastri, di 8O cm di lato, conservati per l'altezza di circa 1 m, disposti alla distanza di 3 m uno dall'altro, a gruppi di quattro, forse a sostenere una tettoia in un ambiente aperto.
Lo strato abitativo del livello superiore era nerastro, dello spessore di circa 2O cm, e comprendeva materiali di età imperiale romana avanzata, quale ceramica a pareti sottili grigie, una moneta di Vespasiano, un'altra di Antonino Pio e un piccolo bronzo di un imperatore del IV sec. d.C.
Dello strato inferiore nell'area corrispondente sono conservati due pilastri in frammenti laterizi, con corsi di spianamento formati da tegole ad alette, con base di 8O cm, conservati per un'altezza di 7O cm., e un crollo di tegole; l'orientamento leggermente diverso da quello dello strato superiore.
Seguiva, verso Sud, un'area, della lunghezza di circa 8O m, priva di strutture, in cui compariva un livello abitativo nerastro, alla profondità di m 1,5O-2 dal piano di campagna.
Alla distanza di 8O m a Sud dell'area con pilastri si rinvenuto, alla profondità di m 1,5O-2 dal piano di campagna, sotto una coltre di argilla alluvionale, uno strato nerastro con fondazioni di muri, ortogonali fra loro, in frammenti laterizi, coperti da uno strato di tegole e coppi ben conservati che facevano parte della copertura; al disotto sono stati rinvenuti i resti carbonizzati di alcune travi in legno.
Queste strutture sembrano riferibili alla fase più antica della villa, sia per considerazioni sulla stratificazione geologica della zona, elaborate dalla dott. Nadia Colombi, sia per la datazione del materiale rinvenuto.
In uno degli ambienti venuti alla luce si trovava una serie di pesi da telaio troncopiramidali.
Il materiale emerso in quest'area comprende ceramica a vernice nera e anfore con labbro obliquo, databili ad età tardo repubblicana.
Allo scavo hanno partecipato Lorenza Bronzoni e Angela Mutti, della ARS Archeosistemi; la villa stata successivamente delimitata mediante una campagna di prospezioni geofisiche, eseguita dalla ditta Geoinvest, e saggi di verifica, per poterla tutelare e permettere il passaggio del metanodotto in una zona priva di strutture antiche.
L'area e' stata dichiarata di importante interesse archeologico ai sensi della legge 1.6.1939, n 1O89.

Piera Saronio

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3.5. Fiorenzuola, loc. S. Michele

 

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3.6. Fiorenzuola, loc. Buga

 

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3.7. Pianello Val Tidone, loc. Arcello

Nel 1995 una segnalazione trasmessa dai sigg. Cavanna e Centenari del gruppo archeologico Pandora di Pianello indicava il rinvenimento, durante lavori di aratura e spianamento di un'area collinare ad Arcello, da anni non coltivata, di numerose tessere di mosaico bianche e nere e di numerosi laterizi romani.
Un saggio di scavo effettuato a mezza costa, dominato ora da edifici medievali detti localmente "il convento", ha messo in evidenza fondazioni di muri in ciottoli e pietre rozzamente squadrate, conservate per diversi corsi.
Gli ambienti appaiono giustapposti l'uno all'altro, e appartenevano alla porzione abitativa di un villa rustica .
Una canaletta, in mattoni sesquipedali e bessali, ben conservata, doveva scaricare l'acqua lungo il pendio.
Uno degli ambienti era probabilmente porticato e presenta la fondazione di un pilastro quadrato, di 80 cm di lato, in pietre locali arenacee, le pareti erano intonacate in rosso pompeiano, giallo e azzurro; infatti numerosi frammenti d'intonaco dipinto si sono rinvenuti nello strato. L'ambiente contiguo aveva una pavimentazione in laterizi e in mosaico a tessere bianche e nere di cm 1,5 di lato; le tessere si sono rinvenute in grande quantità, ma non in posto.
Un altro ambiente presentava un'interessante forma absidata.
Il materiale ceramico rinvenuto assai scarso, ma permette di datare la struttura ad età imperiale romana.
Lo scavo verrà continuato nell'anno corrente.
Lo scavo è stato eseguito con i volontari dello stesso gruppo archeologico Pandora, che se ne sono assunti tutti gli oneri.

Bibliografia

Saronio,1996: P. SARONIO, in Schede di Archeologia dell'Emilia Romagna, a cura di M. Marini Calvani, Bologna, 1996, 4.

Piera Saronio

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3.8. Pianello Val Tidone, area proprietà Margherita Scrocchi

 

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3.9. Castellarquato, loc. Crocetta.

I lavori per la costruzione di una palestra comunale, nell'area della Crocetta di Castellarquato, hanno determinato il rinvenimento di una stratificazione romana, alla distanza di cento m. dall'area archeologica gi nota e aperta al pubblico (Marini Calvani 199O).
Al di sotto di uno strato di argilla gialla della potenza di circa un metro, con alcuni frammenti ceramici di età rinascimentale, compariva uno strato di terreno nero, con molti frammenti laterizi e ciottoli, alcuni frammenti di ceramica di età imperiale romana, monetine di bronzo illeggibili, presumibilmente di età farnesiana.
Questo strato, tagliato da fosse recenti e da buche per pali, si può riferire ad una distruzione, avvenuta probabilmente in età rinascimentale, di strutture e strati di età romana.
Al di sotto di questo strato erano presenti, alla profondità di cm. 180 - 230 dal piano di campagna, poiché lo strato segue la pendenza naturale del terreno, digradante verso l'Arda, alcune strutture di età romana, in ciottoli e frammenti laterizi, perpendicolari fra loro, con direzione nord/sud e est/ovest, che rappresentano l'ultimo strato al di sopra di argilla sterile e ghiaia e costituiscono i resti della stratificazione, pertinente ad un insediamento romano, presumibilmente di età imperiale, sfuggiti alla distruzione operata nel rinascimento.
Il saggio stato eseguito, con fondi messi a disposizione in parte dal comune di Castellarquato e in parte dal Ministero dei beni culturali, nell'ottobre 1995, dalla ditta Quattoli, con l'assistenza della signora Patrizia Raggio.
Le strutture romane sono state vincolate ai sensi della legge 1.6.1939, n. 1089.

Bibliografia

Marini Calvani,199O: M. MARINI CALVANI, in Storia di Piacenza, I, Piacenza, 199O, figg. 136,137, Schedario topografico, p. 58, PC O1.6O.O11

Piera Saronio

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Provincia di Parma

3.10. Parma, via Rubini

Nel corso di lavori per un parcheggio interrato in via Rubini in un terreno di proprietà della cooperativa Edile Artigiana, posto nelle adiacenze della via Emilia, nel 1996 è stato individuato un livello antropizzato d’epoca romana sicuramente da porre in relazione ad un insediamento purtroppo andato perduto nel corso di edificazioni realizzate nelle adiacenze negli anni sessanta.
Tra il materiale recuperato figurano numerosi frammenti di anfore, ceramica a vernice nera, ceramica comune, ceramica a pareti sottili grigia e biscotto, qualche frammento a vernice rossa interna e due monete in bronzo, l’una di Domiziano e l’altra di Magno Massimo.
Il sito sembra pertanto esser stato occupato dalla tarda età repubblicana (o forse primo impero) fino alla fine del IV secolo d.C. quando venne abbandonato a seguito di pesanti fenomeni alluvionali.
Le ricerche, interamente finanziate da privati, sono state dirette dalla scrivente con l’assistenza della dott.ssa Rita Marchi e della dott.ssa Gloria Capelli dello studio GEA di Parma.

Manuela Catarsi Dall’Aglio

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3.11. Parma, loc. San Pancrazio

Nel corso di indagini preventive condotte nel 1996 mediante prospezioni geofisiche e saggi di scavo mirati, è stato possibile individuare e perimetrare, nel lotto adiacente a quello in cui l’anno precedente era stato individuato un insediamento d’epoca romana, una nuova porzione di fabbricati pertinenti allo stesso complesso e resti di una necropoli che costeggiava la via Emilia.
In particolare è stato riconosciuto il basamento in pietrame di una tomba monumentale.
La ricerca, interamente finanziata da privati, è stata condotta dalla scrivente in collaborazione con la ditta Geoinvest S.n.c. di Piacenza.

Manuela Catarsi Dall’Aglio

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3.12. Parma, PEEP Benedetta

Nella pianura a nord-est di Parma, in una zona anticamente centuriata, ma bassa e ricca di risorgive, che presenta ancor oggi problemi legati alle oscillaz<ioni della falda acquifera e al terreno "debole" e che, vista la presenza di due insediamenti monastici medievali, in epoca tardo-antica/altomedievale doveva già risultare relativamente spopolata, proprio per le sue caratteristiche ambientali, lavori per una nuova lottizzazione di edilizia popolare hanno portato alla luce nella primavera del 1994 i resti di un insediamento rustico d’epoca romana.
Il complesso, caratterizzato da strutture di fondazione in ciottoli fluviali , risultava quasi totalmente distrutto da i lavori agricoli, tantè che risultava impossibile determinarne l’esatta estensione e la dislocazione degli ambienti. Perchè situate ad un livello inferiore a quello delle murature sopravvivevano alcune sepolture ad incinerazione pertinenti ad un piccolo sepolcreto prediale e, in un piccolo avvallamento di terreno profondo all’incirca 1 m. rispetto al piano di campagna antico, un a ottantina di anfore che dovevano servire verosimilmente a costipare e drenare l’area più prossima al complesso. Ad un primo sommario esame tutti i materiali recuperati sembrano inquadrabili nell’ambito del I sec.d.C.
Allo scavo, diretto dalla scrivente e reso possibile dal contributo finanziario delle Ditte assegnatarie della lottizzazione (Cabassa, CER, Cooperativa La Nuova Speranza, Edilcoop, Ferrari, Ferredil) ha preso parte anche la dott. Gloria Capelli .

Manuela Catarsi Dall’Aglio

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3.11. Fornovo Taro, via Punica angolo via dei Collegati

Nel luglio del 1996 è stato condotto un intervento di scavo in un cantiere dell’Edil Ramiola posto nella parte bassa del paese sovrastata dalla Pieve romanica.
L’esplorazione, realizzata nel cortile di uno stabile in corso di ristrutturazione, ha permesso di appurare che quest’area è stata a lungo utilizzata come discarica. Sotto un potente livello di macerie, pluristratificato, è stato, infatti, individuato nel terreno naturale un avvallamento con andamento nord-sud , di m. 10 X 2, colmato da uno strato limoso-argilloso grigio, dovuto al disfacimento di materiale organico, con carboncini, ciottoli di media pezzatura, frammenti laterizi e ceramici d’epoca romana imperiale.

Manuela Catarsi Dall’Aglio

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3.14. Fornovo Taro, fraz. Riccò, ex area Marazzi

Nell’autunno del 1994 a seguito di un’accordo con l’Amministrazione Comunale di Fornovo Taro è stata avviata l’esplorazione archeologica in una lottizzazione posta ai margini della frazione di Riccò dove era imminente il recupero ambientale del complesso artigianale Marazzi.
I lavori, per quanto non esaustivi hanno consentito di perimetrare quel che restava di un insediamento d’epoca romana posto lungo la via consolare Parma-Luni.
Detto insediamento, caratterizzato da numerosi ambienti circoscritti da muri con andamento N-S ed E-O, realizzati con materiale lapideo locale sembra presentare diverse analogie con quello di Roncolungo di Sivizzano posto, sempre nel Comune di Fornovo Taro, a circa 15 Km. di distanza sulla stessa direttrice di traffico, che in epoca medievale verrà percorsa dai pellegrini diretti a Roma. I lavori, diretti dalla scrivente con l’assistenza di Nicoletta Dondi, sono stati finanziati dall’Impresa del geom. Ferri, assegnataria della ristrutturazione.

Manuela Catarsi Dall’Aglio

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Provincia di Reggio Emilia

3.15. Reggio Emilia, palazzo Da Mosso

Nella prospettiva di un intervento di ristrutturazione di palazzo Da Mosso è stato condotto un sondaggio nell'area cortilizia meridionale contigua all'edificio, al fine di verificare la stratigrafia e la possibilità di un utilizzo della superficie scoperta.
E' stata praticata una trincea orientata sud-nord, che ha permesso di ricostruire la storia urbanistica di questo quartiere prima dell sistemazione attuale, risalente evidentemente ad epoca abbastanza recente. Al di sotto di un ampio strato di sedimentazione e di macerie sono apparsi i resti di una serie di abitazioni a schiera costruite nel Settecento ed allineate con la fronte rivolta ad est, abbattute per fare spazio al giardino ora esistente; una ricerca delle fonti di archivio ha permesso di identificare la documentazione relativa alla costruzione di questo complesso destinato ad edilizia popolare. Le strutture sono state edificate su uno strato di terreno nerastro (dark heart) di spessore variabile, che ricopre i livelli di frequentazione della città romana; si sono riconosciute murature, piani di calpestio e crolli di tegole in parte rimaneggiati. Solo in corrispondenza dell'estremità settentrionale della trincea si è verificata l'esistenza di una fase intermedia, ma sempre di età moderna, consistente in una fornace per la cottura di maiolica decorata in blu, di cui si sono rinvenuti alcuni scarti comprendenti ciotole impilate di piccole dimensioni.
L'individuazione dei livelli romani sembra documentare l'estensione della città sino a questo isolato, prossimo al limite dell'abitato e contiguo al complesso monastico di S. Domenico in cui in passato sono stati ritrovati i resti di una domus imperiale decorata con mosaici, forse un complesso già suburbano. Il carattere delle strutture rinvenute nello scavo di Palazzo Da Mosso è meno monumentale e sembra pertinente ad unità abitative molto semplici, peraltro indagate solo superficialmente, considerando il carattere ristretto del sondaggio. In particolare, comunque, presso il limite sud della trincea si è potuto esplorare parte di un vano con tracce di ipocausto, attribuibile quindi ad un piccolo complesso termale, quasi certamente privato. Al di sopra di un vespaio in ciottoli, forse anche residuo di una pavimentazione precedente, è stato steso uno spesso strato di signino impermeabile in cui apparivano ancora evidenti le tracce in negativo delle pile di mattoni rotondi relative all'ipocausto. Il vano, dopo l'abbandono ed il crollo, era stato oggetto già in antico di uno spoglio sistematico del materiale da costruzione asportabile, come il muro perimetrale est, di cui rimane la trincea di espoliazione e le stesse suspensurae. E' evidente, inoltre, come il livello di calpestio antico proceda con un leggero abbassamento di quota da sud verso nord, dove le strutture di età moderna appaiono più profonde e l'affioramento dello strato di dark heart non è stato rintracciato per tutto il percorso.
Il progetto di ristrutturazione è diretto dall'arch. F. Manenti Valli, cui si deve la volontà di effettuare i sondaggi preventivi sul rischio archeologico; l'Intervento è stato condotto sul campo dai dott. A. Losi, M. Pedrazzi, P. Bagni della ditta Archeosistemi ed è stato realizzato grazie alla disponibilità della Cassa di Risparmio di Reggio Emilia.

Enzo Lippolis

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3.16. Campegine, via Aldo Moro

Dopo che indagini preliminari avevano localizzato in un terreno di proprietà della "Immobiliare Campegine" dei fratelli Mainolfi , di circa 25.000 mq. , posto a ridosso del Canale Vecchio presso l’incrocio stradale tra le Vie per Tanneto e La Razza, strutture antiche sepolte, si è proceduto, nel corso del 1994, all’esplorazione sistematica dell’area.
Per quanto riguarda i ritrovamenti d’epoca preromana e postantica si rimanda alle schede relative in questo stesso volume.
Pertinente all’epoca romana risultava una fornace per ceramica a pianta quadrangolare di m. 3 X 3,50 con praefurnium realizzato sul lato corto di N-O.
I muri perimetrali, caratterizzati da argilla rubefatta , concotta e in alcuni punti gressificata nella parte interna alla fornace stessa, erano rinforzati mediante l’aggiunta di laterizi frammentati di collegamento coi muretti divisori interni alla camera di combustione.
Questa, interamente conservata, era del tipo a doppio canale, separato centralmente da un basso muretto di mattoni, che aveva anche la funzione di sorreggere in origine il piano forato. La pavimentazione era costituita da terreno concotto, non ben rifinito o lisciato. I muretti divisori, paralleli, nel numero di sette avevano una lunghezza massima di 60 cm e poggiavano su un basamento in mattoni adiacente i due lati maggiori. Il piano forato risultava, purtroppo interamente perduto così come tutta la camera di cottura.
Il condotto dell’unico praefurnium, inserito all’interno di un’ampia fossa, era conservato soltanto nella sua parte basale per una cinquantina di cm.
Il riempimento del manufatto era costituito per lo più da ceneri, carboni, scorie, refrattari, materiale concotto, probabilmente franato dalla soprastante camera di cottura, frammenti di mattoni e alcuni scarti di lavorazione di brocche in ceramica depurata.
La fornace, che rientra nel tipo II-c della Cuomo di Caprio, presenta nel doppio corridoio centrale una soluzione tecnica molto funzionale. L’accorgimento dà infatti l’opportunità di realizzare una fornace più ampia senza togliere nulla alla sua stabilità, anzi aumentandone la capacità termica. E’ probabile che fornaci di questo tipo, datate generalmente all’epoca imperiale, siano state usate sia nella produzione di ceramiche che in quella di laterizi. Per quanto parzialmente rovinato questo manufatto costituisce dunque un ritrovamento imortante per la ricostruzione dei sistemi produttivi in epoca imperiale nel territorio reggiano e in attesa che maturino i tempi per poterlo adeguatamente valorizzare è stato opportnamente protetto e reinterrato.

Manuela Catarsi Dall'Aglio

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3.17. Canossa, loc. Luceria

Frequenti e continui rinvenimenti, a partire da un primo scavo sistematico effettuato tra il 1776 ed il 1786 hanno da tempo portato alla luce materiali mobili e strutture pertinenti ad un importante insediamento romano posto nel comune di Canossa, frazione di Ciano d'Enza, presso il torrente Lusera o Luceria. Alcuni saggi esplorativi condotti dalla Soprintendenza Archeologica nel 1981-82 (Malnati 1990) hanno permesso di verificare cronologia e caratteristiche della frequentazione. La necessità di una definizione della superficie interessata dai resti ha indotto a programmare un intervento sistematico, volto all'identificazione dell'asse stradale principale dell'insediamento e di un area monumentale già individuati in passato, in maniera da disporre di elementi sufficienti a studiare una chiara perimetrazione della zona archeologica ai fini della tutela e di un eventuale progetto di valorizzazione.
Le campagne condotte nel 1995 e nel 1996 hanno previsto innanzitutto un sistema di tre trincee, effettuate nella proprietà comunale; la prima, di più di 100 m di lunghezza, è stata praticata trasversalmente al terrazzo fluviale interessato dall'abitato, in senso est-ovest, le altre due, ad essa normali, hanno ampliato questa prima "conoscenza" dell'area in due settori che parevano più significativi e densi di testimonianze. Successivamente si è effettuato uno scavo "open air" in due zone diverse, anche in funzione del progetto di mantenere visitabile almeno parte della superficie indagata.
Nel complesso le ricerche condotte hanno messo in luce una sede stradale che attraversa in direzione nord-sud tutto l'insediamento, selciata, con tracce di riparazioni successive e dotata di due marciapiedi laterali, anch'essi con pavimentazione litica per m 0,50 di larghezza. Ad est di questo asse sembra estendersi un settore destinato ad abitazioni private, di cui si sono rintracciate le murature di almeno un complesso ed un'area cortilizia con pozzo a cielo aperto. Ad ovest, invece, si estende un'area che sembra destinata a funzioni pubbliche; si tratta di una superficie scoperta di m 30 per 90 ca., esplorata in lunghezza per 25 m circa, ma la cui estensione complessiva può essere ricostruita sulla base delle indicazioni restituite dagli scavi settecenteschi. Questa piazza è perimetrata da murature continue, prive di aperture, in opera cementizia con rivestimento in blocchetti, di cui si sono seguiti alcuni tratti dei lati est, ovest e nord. La sua completa separazione dalla viabilità contigua indica una destinazione specifica, che può essere individuata in funzioni di riunione e di mercato, forse anche per lo stazionamento ed il commercio di capi di bestiame, ipotesi sostenuta dall'importanza dell'allevamento ovino nel reggiano e nel modenese, ampiamente attestato dalle fonti e dalla documentazione epigrafica. Questa fase organizzativa, che sembra databile in età giulio-claudia, ha obliterato una precedente, in cui in corrispondenza del muro perimetrale ovest, si estendeva un portico longitudinale, segno di una sistemazione più monumentale ed aperta dello spazio indagato. Di questo edificio probabilmente tardo-repubblicano, restano una canaletta di scolo delle acque displuviali e la contigua fondazione della crepidine, ancora in situ per un brevissimo tratto e completamente sconvolte per la parte restante. Questa struttura è realizzata in opera quadrata con blocchi di una pietra arenaria friabile di cui si sono individuate le probabili aree di cava sempre nell'ambito del territorio comunale di Canossa.
La frequentazione dell'insediamento si estende dal II sec. a.C. per lo meno fino al IV sec. a.C., quando, forse durante il principato della dinastia costantiniana, sembra essersi posto mano ad una ristrutturazione del sistema monumentale descritto; da questo momento, a quanto sembra, la vasta piazza viene abbandonata ed occupata da povere strutture in materiale di reimpiego che, per quanto gravemente compromesse dalla loro giacitura superficiale soggetta alle arature, paiono delineare le planimetrie di abitazioni molto semplici, con pochissimi ambienti quadrangolari. Mancano tracce di un protrarsi ulteriore della presenza insediativa nelle fasi avanzate del tardo-antico.
I notevoli risultati conseguiti non sarebbero stati possibili senza la collaborazione attenta dell'amministrazione comunale e soprattutto l'interessamento vigile e partecipativo del dott. C. Chiari, responsabile della locale associazione "Amici di Luceria", che ha fornito un validissimo contributo anche operativo.
Lo scavo condotto nel 1995 e nel 1996, coordinato con la collaborazione della dott. R. Curina, è stato seguito sul campo dalle dott. A. Losi e E. Cerchi della ditta "Archeosistemi", con la partecipazione dei dott. M. Berton e M. Destro della Scuola di Specializzazione in Archeologia di Bologna.

Bibliografia

Cerchi 1987: E. Cerchi, Luceria e il popolamento romano nella bassa valle dell'Enza, in L'Emilia in età romana. Ricerche di topografia antica, a cura di G. Bottazzi e G. Calzolari, Modena 1987, pp. 69-83.

Malnati 1990: L. Malnati, E. Cerchi, I. Chiesi, D. Labate, Gli scavi di Ciano d'Enza (RE) 1983-1985 e il problema del rapporto tra Liguri e Romani, in Miscellanea di Studi Archeologici e di Antichità III, Modena 1990, pp. 75-110.

Patroncini 1994: L. Patroncini, Luceria d'Enza. Insediamento ligure-romano nel territorio di Canossa, Reggio Emilia 1994

Enzo Lippolis

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3.18. Albinea, loc. La Noce, presso Fogliano

Lo scavo di un'ampia trincea per la messa in opera di un metanodotto ha permesso di individuare una serie di strutture relative ad un insediamento rurale di cui è stato effettuato uno scavo integrale. Il sito, prossimo al percorso del torrente La Noce, era ricoperto da livelli di sedimentazione alluvionale dovuti all'attività dello stesso corso d'acqua, intervenuti dopo una fase di crollo e di distruzione abbastanza radicale delle strutture murarie.
Il complesso, di particolare interesse, si articola su tre lati intorno ad un cortile centrale destinato a lavorazioni, in parte attrezzato con tettoie costruite con sostegni in legno su sottobasi in laterizio e coperte da tetti di tegole. Sul lato meridionale si apre l'ambiente maggiore, rettangolare, collegato ad alcuni vani più piccoli, forse con funzioni di servizio, area che, come altre del complesso, ha chiaramente mostrato almeno due fasi principali di vita. Le opere costruttive sono realizzate in laterizi di recupero, prevalentemente tegole, e in ciottoli e spesso presentano rinforzi dello spessore e addossamenti connessi ad un restauro degli alzati e, evidentemente, dei tetti, realizzato nelle fasi finali di frequentazione.
Sul lato est sembra svilupparsi un piccolo quartiere residenziale composto di due camere comunicanti, di cui quella più meridionale è dotata di un'esedra rettangolare nella parete di fondo, probabilmente imitazione di un ambiente di rappresentanza di tipo tricliniare. Il resto dell'area sembra occupato da strutture di servizio e da apprestamenti lavorativi di cui è difficile per il momento definire il carattere; il cortile, in particolare, presenta vaste zone con un battuto arrossato per la continua azione del fuoco, prossime ad un basamento lastricato di forma sub-circolare, destinato a sostenere un elemento asportabile in materiale deperibile. Da questo si diparte una canaletta costruita in pietra per il deflusso verso l'esterno delle acque reflue della lavorazione effettuata; la specifica manifattura cui sono riferibili tali resti deve comprendere quindi attività di cottura prolungate e sistematiche, un bagno entro contenitore asportabile e uno sversamento dei residui di lavorazione; più che ad interventi connessi con la produzione di derrate alimentari, ipotesi che non può essere completamente esclusa, si potrebbe anche pensare alle prime fasi di lavorazione della lana per la preparazione del feltro, ma solo il completamento della ricerca e dello studio, appena iniziato, potrà permettere probabilmente di fornire indicazioni maggiori.
Ad una fase imperiale cui si possono attribuire poche tracce, segue la costruzione del complesso nella forma attuale, che potrebbe essere attribuita al III sec. d.C.; ancora successivo sembra essere il restauro e la risistemazione degli ambienti cui si è fatto riferimento, mentre la frequentazione non pare essersi prolungata oltre il V sec. d.C.
Lo scavo, condotto dalla ditta Archeosistemi è stato condotto sul campo da Paolo Ferrari, Enrica Cerchi e Silvia Bellucci.

Enzo Lippolis

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3.19. S. Ilario d'Enza, via Podgora

Durante i lavori per la sistemazione della rete fognaria esterna di una casa di riposo per anziani, nel centro urbano, tra la via Emilia e via Podgora 4, è stata effettuata una trincea che ha messo in luce un livello di frequentazione di età romana imperiale. Nello scavo sono emerse strutture in laterizio ed in ciottoli, con piani e livelli di frequentazione a quote leggermente diverse, che costituiscono quanto rimane di un tessuto abitativo abbastanza denso nella zona prossima alla via Emilia e più rarefatta man mano che ci si allontana da essa. Si tratta di un'ulteriore documenazione dell'insediamento antico di Tannetum, coincidente con l'attuale S. Ilario (Chiesi 1987) e come questa estendentesi in parte lungo la via Emilia e in parte a nord di essa; in particolare il rinvenimento dovrebbe essere pertinente all'area limitare ovest dell'abitato. Nello scavo non si sono individuati livelli di frequentazione tardo-imperiale o tardo-antica, quando evidentemente il centro ha vissuto un processo di concentrazione insediativa e di decadimento urbanistico, forse anche con un declassamento amministrativo da municipium a vicus.
Lo scavo è stato condotto sul campo da Lorenza Bronzoni per conto della ditta Archeosistemi, con la fattiva collaborazione dell'Amministrazione Comunale.

Bibliografia

Chiesi 1987: I. Chiesi, Tannetum romana, in L'Emilia in età romana. Ricerche di topografia antica, a cura di G. Bottazzi e G. Calzolari, Modena 1987, pp. 47-68.

Enzo Lippolis

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3.20. Montecchio, loc. Spalletti

L'area interessata era già stata oggetto di una ricognizione di superficie che aveva permesso la segnalazione di due settori interessati dall'affioramento di materiale archeologico, in occasione delle surveys effettuate dal gruppo archeologico locale in collaborazione con la direzione dei Musei Civici e Gallerie di Reggio Emilia e della stessa Soprintendenza Archeologica.
L'indagine si è concentrata prima in un'esplorazione per trincee dei siti individuati sulla base degli affioramenti da aratura ed in un ampliamento successivo delle zone più significative. In particolare è già stato completato lo scavo di un sepolcreto romano di circa 20 deposizioni, in gran parte in fossa, definite da una perimetrazione in ciottoli o, nei casi più curati, costruite con piano in embrici di recupero e ciottoli di bordo; in due casi è attestata anche l'inumazione entro anfore, ma in uno stato di conservazione, estremamente precario per la collocazione entro lo spessore dell'humus arabile, che non ha permesso la conservazione complessiva della deposizione ed una lettura chiara del rinvenimento.
La maggior parte delle inumazioni, quindi, appariva sconvolta o parzialmente conservata; quasi tutte erano prive di corredo, eccetto quattro casi, che hanno restituito un bicchiere acromo, due bracciali in lamina bronzea ed un probabile orecchino a cerchio in verga a sezione cricolare, sempre in bronzo. La sepoltura più significativa, a cassa laterizia e pareti in ciottoli, presentava una larghezza maggiore della media ed era occupata dai resti di un inumato solo nella metà settentrionale , mentre lo spazio restante, separato concretamente anche dalla sistemazione centrale di un coppo, era stato predisposto per accogliere una deposizione poi mai avvenuta. La topografia del sepolcreto, per file irregolari di tombe , può essere spiegata anche dalla sua probabile vicinanza ad un limite centuriale in questa zona oggi scomparso.
Le ricerche proseguono in un'area estremamente vicina, in cui sono state riconosciute le tracce molto sconvolte di una piccola unità insediativa rurale con una frequentazione compresa probabilmente tra il I ed il III sec. d.C.
Nell'area comunale sono ancora in corso due interventi, di cui uno medievale (v. oltre, schda n. ..), che hanno permesso di instaurare un rapporto proficuo e costruttivo con l'amministrazione comunale; nel caso dell'area Spalletti l'intervento è stato condotto grazie alla disponibilità della concessionaria CCPL Distribuzione Inerti, impegnata nell'ipotesi di sfruttamento del polo estrattivo, che ha sostenuto l'onere economico delle ricerche preventive per la verifica del rischio archeologico, condotte sul terreno dai dott. P. Ferrari e E. Cerchi, S. Bellucci e R. Louta della ditta Archeosistemi.

Enzo Lippolis

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Provincia di Modena

3.21. Campogalliano, loc. Ca’ Barbieri

In seguito ad una revisione completa del materiale proveniente da Campogalliano, effettuata nel corso del 1996 nell’ambito della schedatura dei siti per la redazione della Carta Archeologica della Provincia di Modena, è stato possibile delineare un quadro abbastanza dettagliato del popolamento romano in questo territorio. La schedatura, attraverso l’acquisizione di nuovi dati, ha portato all’individuazione di circa trenta insediamenti di età romana, sedici dei quali caratterizzabili come ville urbano-rustiche, tutti localizzati nel territorio rurale posto a nord e nord est di Campogalliano. La frequentazione di età romana copre, con una certa continuità insediativa, un ampio arco cronologico, che va dall’età repubblicana al tardo-antico. Il materiale proveniente dai vari siti risulta nel complesso piuttosto omogeneo. Nei due terzi degli insediamenti l’inizio della frequentazione romana risale almeno alla metà del I sec. a. C., come testimoniano i rinvenimenti di coppe Lamboglia 28 e patere Lamboglia 5 in ceramica a vernice nera ad impasto rosato.
Da questo quadro piuttosto omogeneo si discosta nettamente un sito posto lungo via Fornaci in località Panzano, Cà Barbieri (fig. 1). Nel settembre del 1995, in seguito al livellamento del terreno, effettuato asportando almeno 30 cm di terra, e a un’aratura profonda circa 75-80 cm, affiorarono reperti archeologici in due punti circoscritti del fondo, distanti 8 m l’uno dall’altro. Il rinvenimento, la raccolta dei dati e dei materiali vennero effettuati dal signor Carlo Beneventi di Campogalliano. Il materiale raccolto risulta caratterizzato dalla presenza di una notevole quantità di ceramica a vernice nera ad impasto rosato. Completamente assente risulta invece la vernice nera ad impasto grigio e scarsissime sono nel complesso le attestazioni relative alle altre classi ceramiche.
La quantità ed il repertorio formale della ceramica a vernice nera sembrano attribuire questo rinvenimento alle fasi più antiche della romanizzazione del territorio, finora scarsamente attestate in regione. In particolare, due orli ed un fondo di coppe riconducibili alla forma 33 della classificazione del Lamboglia ed al tipo 2154b 1 del Morel (fig. 2,1-3), trovano confronto in area padana a Adria (Fiorentini 1963, p. 32, fig. 16,7) e a Magreta (MO)(Giordani 1988, p. 35, fig. 14,7).
Sono state inoltre rinvenute due lucerne del tipo "biconico dell’Esquilino" (fig. 2, 4-5), produzione che raggiunse la sua massima diffusione tra il 180 e il 50 a. C., ma per la quale si ipotizza un inizio già nel III sec. a. C. Anche queste lucerne trovano confronto nel Modenese a Magreta, oltre che con un’esemplare proveniente da Baggiovara (Forte 1988, p. 109, fig. 74).
Tutta la ceramica a vernice nera raccolta risulta attribuibile ad una o più produzioni "locali", comunque caratterizzate da uno stesso patrimonio tecnologico e dall’impiego di argille simili.
Da una prima analisi complessiva delle attestazioni si possono ipotizzare due frequentazioni cronologicamente distinte del sito in età romana : una, non meglio precisabile, legata alla romanizzazione del territorio, ed un’altra riferita probabilmente ad un piccolo impianto rustico, inquadrabile tra la seconda metà del I sec. a. C. e la media età imperiale.

Bibliografia

Fiorentini, Prime osservazioni sulla ceramica campana nella valle del Po, in "Rivista di Studi Liguri", XXIX (1963), pp. 7-52.

M. Forte, Lucerne, in Modena dalle origini all’anno Mille. Studi di archeologia e storia, II, Modena 1988, pp. 105-123.

N. Giordani, Ceramica a vernice nera, in Modena dalle origini all’anno Mille. Studi di archeologia e storia, II, Modena 1988, pp. 34-35.

Carla Corti

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3.22. Modena, loc. Cittanova.

I lavori di costruzione di un sottopassaggio che attraversava la via Emilia, in località Cittanova, a circa 7 km. ad ovest dal centro urbano di Modena, hanno riportato in luce resti della viabilità antica.
Le indagini archeologiche, condotte tra l’agosto 1995 e l’aprile 1996, hanno rivelato la coincidenza dei livelli stradali succedutisi dal momento della costruzione della via consolare di età repubblicana fino all’attuale.
Nel corso della campagna di scavo sono infatti emersi otto piani stradali glareati e due sterrati.
Il tracciato viario più antico (strada I) è riferibile al primo impianto della via consolare, come si evince dal ritrovamento, nel massetto di preparazione, di un asse anonimo del tipo della prora, databile agli inizi del II sec. a.C. La strada venne costruita su un paleosuolo intaccato da canalette e da una buca di scarico con materiale della seconda età del ferro. La massicciata, composta da ghiaia legata con argilla, compatta al centro e decrescente ai lati, presenta il caratteristico assetto a schiena d’ asino. La medesima tecnica venne adottata nei successivi quattro rifacimenti che mantennero una largheza variabile da m. 6 a m.7,30, fatta eccezione per la seconda fase dela strada V, che raggiunge i 12 metri.
La strada V, di età tardoantica, presenta infatti due momenti costruttivi intervallati da uno o più episodi alluvionali, che determinarono il parziale reinterro delle scarpate laterali, dove venero deposte sepolture in fossa terragna ed in cassa laterizia, allinete lungo l’ asse della carreggiata.
L’ abbandono definitivo della strada V sembra essere determinato da ulteriori alluvioni, evidenziate da depositi dello spessore variabile tra 60 e 70 cm. All’ interno di questi si coglie un utilizzo del tracciato viario, non più oggetto del’ accurata manutenzione che caratterizza l’età imperiale. A questo periodo fa seguito il ripristino della viabilità con la costruzione di una glareata da riferire ad età medievale (strada VII), a sua volta interrata da episodi alluvionali, pure utilizzati come percorso stradale (VIII). A questi ultimi si susseguono massicciate in ciottoli di fiume, che ricoprono un arco cronologico dal rinascimento ai giorni nostri. Al termine delle indagini di scavo è stato effettuato il calco e lo strappo di parti originali dell’ asse stradale più antico di età repubblicana e di quello meglio conservato di prima età imperiale. E’ allao studio un progetto di sistemazione museale dei resti in prossimità del sito di ritrovamento. Le indagini dirette dalla Soprintendenza sono state condotte dalla Tecne s.r.l., con il contributo dell’Amministrazione Comunale e della Coop. Estense

Bibliografia

S. GELICHI et al., Studi e ricerche archeologiche nel sito altomedievale di Cittanova, in Modena dalle origini all’anno Mille. Studi di Archeologia e Storia, Modena 1988, pp. 577-603

N. GIORDANI - A. Losi, Modena, loc. Cittanova. Cavo diversivo, Rinvenimenti dell’età del ferro e romana, in Studi e documenti di archeologia, VIII, 1993, pp. 325-326

Nicoletta Giordani

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Provincia di Bologna

3.23. Castenaso - San Lazzaro di Savena, asse Lungosavena

A compimento delle opere di urbanizzazione relative all’ ipermercato "Centronova" situato a Villanova di Castenaso (BO), nel 1995 si è resa necessaria la costruzione di un tratto stradale, prosecuzione dell’asse Lungosavena, compreso tra la rotonda R. Vighi (BO) e la via Villanova (Villanova di Castenaso, BO).
Gli scavi archeologici, avviati a partire dal gennaio 1995 e conclusi nell’aprile dello stesso anno, si sono svolti in concomitanza con la realizzazione del nuovo asse viario, dopo che un sopralluogo e una preliminare ricerca di superficie, effettuati nel settembre 1994, non avevano evidenziato zone a rischio archeologico.
Gli accertamenti hanno dato risultati positivi, anche se le scoperte sono state sporadiche rispetto all’ampia zona interessata dalle opere di urbanizzazione (lunghezza complessiva della strada circa 1500 m., fig. 1, A-E).
La frequentazione antica più consistente è risultata essere quella di età romana: essa è attestata dal ritrovamento di una discarica di materiale fittile (prevalentemente anforacei), individuata in corrispondenza di una deviazione del nuovo tratto della strada comunale Guelfa (figg. 1, A; 2). Si trattava di un deposito di forma irregolarmente quadrangolare, lungo circa sei metri, che sembrava sfruttare una pendenza naturale del terreno; individuato a una profondità di circa m 1,40 dall’attuale piano di campagna, esso era costituito quasi esclusivamente da componenti artificiali. Il materiale, in giacitura per lo più orizzontale, era composto da scarti di fornace, in particolare di anfore che permettono una datazione della discarica tra la seconda metà del I secolo a. C. e la fine del I d. C.. Piuttosto numerosi erano anche i frammenti laterizi (tra cui si segnalano alcune mattonelle esagonali e rettangolari per opus spicatum), mentre rara risultava la ceramica comune e gli esemplari appartenenti al vasellame fine da mensa, tra cui vanno annoverati alcuni frammenti di vernice nera, di terra sigillata nord-italica e di pareti sottili.
Sempre all’epoca romana è ascrivibile un livello incoerente di ciottoli e pezzame laterizio collegato a due canalizzazioni non del tutto esplorate perché proseguivano al di là dei limiti di scavo, individuate nel tratto compreso tra strada comunale Guelfa e la III rotonda (fig. 1, B). Le due canalette presentavano un orientamento ed un’inclinazione (WNW/ESE e NNE/SSW ortogonali tra loro e con angolazione di circa 25° rispetto all’asse Est Ovest) che seguivano gli assi dei tracciati centuriali già individuati nel territorio di Villanova di Castenaso.
Al medesimo ambito cronologico è riferibile un lacerto della probabile sottofondazione di un edificio di servizio, costituito da ciottoli appena sbozzati, rinvenuto nella scarpata laterale della III rotonda (Fig. 1, C). La struttura presentava una forma irregolarmente rettangolare (m 3,60 × m 2,70) ed era costituita da un corso di ciottoli fluviali infissi per lo più di taglio e da frammenti fittili (anforacei, vernice nera, ceramica depurata, "rozza terracotta" e pezzame laterizio databili tra il II e il I secolo a. C.) legati con argilla e calce. Lungo il lato settentrionale dell’unità stratigrafica il rinvenimento di elementi in crollo quali tegole, coppi, frammenti di dolio, grumi di concotto e l’assenza di mattoni potrebbero far pensare a una struttura di servizio a tettoia con alzato in materiale deperibile.
La frequentazione di età protostorica è testimoniata dai resti di almeno due "fondi di capanna" e di una canalizzazione, databili, sulla base del materiale ceramico, all’Età del Bronzo, venuti alla luce a una profondità media di 0,85 m. dal piano stradale nei pressi di via Villanova (Villanova di Castenaso, BO, fig. 1, D). La canalizzazione, orientata NW/SE in direzione del corso attuale del Savena, piuttosto ampia ed estesa, era a sua volta tagliata da fossati di età romana che hanno restituito pochissimi materiali fittili molto fluitati. Va ricordato anche il rinvenimento di un butto di ceramica d’impasto databile all’età villanoviana, individuato a una profondità di 0,80 m. circa dal piano di campagna (fig. 1, E). L’indagine archeologica è stata effettuata dalle scriventi, in collaborazione con la società Tecne, sotto la direzione e il coordinamento scientifico del dr Jacopo Ortalli, Archeologo della Soprintendenza dell’Emilia Romagna.
I lavori sono stati condotti, su incarico della Società ESSE A s.r.l., dalla ditta Guidi Antonio s.a.s.. di Castel San Pietro (BO), in collaborazione con la cooperativa Edilcoop di Bologna, A s.r.l. di Bologna che ringraziamo per la disponibilità dimostrata nella fase operativa dello scavo ed in particolare i geometri Davide Guidi, Luca Masina; Daniele Spada e Sandro Stefani.. Un ringraziamento anche a Claudio Gandolfi per la collaborazione nella stesura e nella digitalizzazione della documentazione grafica.

Bibliografia

SILVESTRI E, "Il territorio centuriato di Budrio e Castenaso (Bologna) fra età romana ed alto medioevo. Sintesi di una ricerca." Civiltà Padana II/1989, 1990, pp.10-18.

Cinzia Cavallari, Tullia Moretto

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3.24. Castel San Pietro terme, loc. Liano

In seguito alla segnalazione di un affioramento di materiale archeologico in una zona piuttosto estesa situata all'interno di una cava di sabbia nel Comune di Castel S. Pietro terme, località Liano, nell'ottobre 1995, sotto la direzione scientifica del Dott. Jacopo Ortalli, si è proceduto a verificare la consistenza della stratificazione archeologica e la sua estensione.
Con la fattiva collaborazione del gruppo per la valorizzazione dei Beni Culturali ed Ambientali della Valle del Sillaro e con il contributo della Società Guidi & C, proprietaria della cava, sono stati quindi effettuati numerosi sondaggi sia nell'area di maggiore concentrazione dei reperti sia nella zona circostante, posta in prossimità del culmine della collina e nel punto di minore pendenza. Attraverso questa preliminare prospezione, cui è seguita una più estesa indagine nelle zone di particolare interesse, è stato possibile riscontrare che la dispersione in superficie dei materiali, costituiti in prevalenza da pezzame laterizio e interessanti una superficie di mq 300, era dovuta essenzialmente alla presenza, di una ampia fossa utilizzata in parte come discarica di materiale fittile, da due pozzi, di cui uno forse mai utilizzato, e da una piccola cisterna.
La fossa, collocata fra i pozzi alla profondità di m. 0,40 dal p.c., si presentava di forma ovoidale allungata, di dimensioni m.15x7 circa, con il fondo concavo in netta pendenza verso est, dove raggiungeva la profondità di m 2,5; in questo punto, a circa m.1 dal p.c., si riscontrava un'alta concentrazione di macerie edilizie (tegole, mattoni, esagonette) frammisti a ceramica ( vernice nera, terra sigillata, ceramica comune, grezza, lucerne di cui una integra con bollo FORTIS). Il resto della cavità era riempito di terreno argilloso molto compatto frammisto a laterizi e ceramica.
Dei due pozzi, il meglio conservato (pozzo 2) fino alla profondità di m. 2,20 circa dal p.c., presentava una camicia interamente formata da laterizi: i primi due corsi che ancora si conservavano, erano costituiti da frammenti di mattone puteale; per gli undici corsi successivi la camicia, che aveva subito un notevole cedimento verso l'interno, era costituita per lo più da frammenti di tegole, fra i quali erano inseriti pezzi di parete e orli di dolio, qualche puteale frammentato, un ciottolo. I restanti corsi erano invece formati esclusivamente da frammenti di mattone ad arco di cerchio, ben connessi fra loro e con l'incavo sempre rivolto verso il basso o verso l'interno della camicia; solo negli ultimi due, che formavano la parte terminale del pozzo, erano impiegati mattoni interni.
All'interno il pozzo era riempito da tre depositi: quello più superficiale, dello spessore di circa m.1, era formato in prevalenza da terreno molto compatto frammisto a pezzi di dolio e numerose macerie, fra cui elementi della camicia stessa crollati al suo interno quando il manufatto era già parzialmente interrato; il deposito intermedio era invece costituito da terreno argilloso molto compatto, quasi privo di materiali. L'ultimo strato di riempimento, che dovrebbe corrispondere alla fase di abbandono del pozzo, era caratterizzato da terreno ricco di sabbia e carboni, alla base del quale erano presenti alcune olle in ceramica comune molto frammentate e tre pesi in piombo, di cui uno a forma di conchiglia.
Il secondo pozzo (pozzo 3), situato a circa m. 30 a sud-est del pozzo 2, si conservava fino alla profondità di m. 1,40 dal p.c. ed aveva la camicia formata da corsi abbastanza regolari di laterizi e ciottoli. All'interno il manufatto era riempito da due depositi, ricchi entrambi di macerie, divisi da un sottile livello di legno carbonizzato e lenti di cenere; nell'ultimo riempimento, oltre a tegole e coppi erano presenti numerosi frammenti di doli ( orli, pareti, coperchi), alcuni dei quali recanti lettere o numeri graffiti.
L'ultimo dei manufatti individuati nell'area indagata (pozzo1), rinvenuto anche esso alla profondità di m. 0,40 dal p.c., pur presentando stringenti analogie strutturali con quelli sopra descritti, non sembrerebbe essere un vero e proprio pozzo. La parte di camicia conservata, le cui dimensioni (Ø m. 1,20) e spessore dovevano più o meno corrispondere a quelli originari, era costituita infatti solo da quattro corsi di pezzame laterizio e frammenti di dolio disposti in modo piuttosto irregolare; sul fondo inoltre era sistemato intenzionalmente un livello di tritume laterizio pressato con argilla. Le caratteristiche tecniche costruttive riscontrate per questo manufatto, fanno supporre che anche esso servisse in qualche modo per l'approvvigionamento idrico, ma che forse venisse utilizzato più come riserva d'acqua.
Pur non essendo visibili nella zona circostante tracce di strutture abitative è probabile che i tre pozzi e la fossa, utilizzata in un secondo momento come discarica, facessero parte di un complesso insediativo-artigianale più vasto, che forse doveva sfruttare la parte più alta e pianeggiante della collina. Da un primo e sommario esame dei materiali ceramici rinvenuti, in particolare negli strati di riempimento della fossa collocata fra i pozzi, sembra possibile inoltre far risalire indicativamente al pieno II secolo d.C. l'abbandono dell'area.

Renata Curina

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3.25. Imola, ex convento di S. Francesco

La storia recente dei ritrovamenti effettuati nell'area dell'ex complesso conventuale di San Francesco iniziò nel maggio del 1989 con alcuni sondaggi eseguiti dal F. Merlini nel cortile della Biblioteca per saggiare la consistenza archeologica dell'area in vista dei lavori di scavo di un grande ambiente sotterraneo per i servizi della biblioteca. La successione degli strati indagati testimoniò una presenza antropica ininterrotta dal III secolo a.C. ai giorni nostri. In particolare in uno strato tra i m 3 e 2.80 di profondità si rinvennero frammenti ceramici riferibili alla "produzione di fornaci di area etrusca" (come si legge nella relazione Maioli del 4/10/1989), risalenti al III-II secolo a.C. Negli anni 1989-91 tutta l'area venne così sottoposta ad uno scavo estensivo che mise in luce i resti di un edificio absidato di età tardo antica, orientato in senso nord-sud. Le strutture erano state spogliate, ma rimanevano tracce del sottofondo della pavimentazione che doveva essere stata in "opus sectile". Durante i lavori (cfr. le relazioni di S. Gelichi) furono individuate e scavate alcune sepolture di inumati.
Il nuovo intervento del 1995 ha comportato uno scavo eseguito con il mezzo meccanico nell'estremo limite sud-est del chiostro, ampliando verso sud il limite dei precedenti interventi del 1989-91.
La sezione sud ha raggiunto la profondità di m 3.20 circa dal piano del chiostro, presentando negli strati più profondi una alternanza di strati limosi, sabbiosi e con ciottoli, probabilmente formatisi grazie alle variazioni di portata di un corso d'acqua, pare inoltre che gli strati si disponessero in pendenza da ovest a est, indicando una situazione di sponda. Da uno di questi strati, alla profondità di m 2.86, proviene un vaso neolitico tipo "Fiorano", purtroppo non è stato possibile capire se il vaso giaceva all'interno di una buca o se era stato abbandonato lungo la sponda del fiume. Gli strati limo-sabbiosi sono coperti da depositi naturali argillosi di cui il più recente è un paleosuolo marrone, pedogenizzato tagliato dalla successiva frequentazione romana. In particolare alla prima età imperiale si data un muro in ciottoli, laterizi e frammenti ceramici, costruito in larga fossa di fondazione, ma mancante del relativo pavimento. A questa prima fase edilizia si sovrapposero attività artigianali, prima relegate fuori dal centro urbano, come indica uno strato rubefatto interpretabile come uno scarico di fornace e attestante inoltre l'uso dell'area come esterno.
A questo punto avvenne una profonda trasformazione che porterà alla creazione di un pavimento in "opus sectile" oggi scomparso, ma ricostruibile grazie al rinvenimento di uno strato di coccio pesto su vespaio in ciottoli. Dei muri di questo edificio tardo imperiale (?) rimaneva solo una fossa di spoliazione, successivamente tagliata da una grande fossa riempita di argilla nerastra con scaglie di marmo e materiale romano frammentato. Nello strato nerastro che copriva le spoliazioni degli edifici erano state deposte cinque sepolture a inumazione risalenti al periodo basso medievale. Successivamente a questi eventi venne scavata una fossa di fondazione funzionale alla realizzazione di un muro in ciottoli e mattoni largo m 1.06 con fondazione posta a - m 2.72 e da ritenersi collegato al complesso religioso della chiesa di San Francesco.
La sezione est dello scavo che corrisponde all'estremo limite sud del braccio est del chiostro, ha messo in luce le fondazioni contro terra del complesso conventuale di San Francesco, sistema costruttivo questo che ha permesso di conservare una porzione rilevante di stratigrafia archeologica. I depositi naturali più profondi ripetevano la stessa successione della sezione sud ed erano coperti da uno spesso strato di età romana repubblicana formatosi probabilmente in un'area esterna, ricco di frammenti ceramici riconducibili alla seconda metà del II secolo a.C. Su tale situazione si impostavano livelli preparatori ad un piano pavimentale in coccio pesto (quota - m 1.74) limitato a sud da un muro di cui rimaneva solo la fossa di spoliazione. Seguivano strati di abbandono della "domus", forse risalente alla prima età imperiale, e la fossa di fondazione, poi quella di spoliazione, di un grosso muro (quota - m 2.72) appartenente all'edificio tardo imperiale (?) già visto nella sezione sud. Seguono strati di abbandono e demolizione delle strutture edilizie sino allo strato antropizzato nerastro in cui furono scavate le sepolture che in questo tratto sono circa 10.
L’intervento di scavo è stato eseguito contemporaneamente a quello di via Verdi da F. Merlini della SAER sotto la direzione di J. Ortalli e con la collaborazione di L. Mazzini

Franco Merlini e Laura Mazzini

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3.26. Imola, via Verdi

La via Verdi, già via del Teatro, fu in passato oggetto di ritrovamenti archeologici di notevole interesse. Nella prima metà del secolo scorso (secondo il Galli anteriormente al 1849), si rinvenne sotto la strada, probabilmente in occasione dello scavo del condotto fognario, in corrispondenza del Palazzo D'Agostino, un pavimento policromo, andato poi distrutto, ma documentato da "un accurato rilievo ad opera di L. Ricciardelli", ora conservato nel museo di Imola (AA.VV., Imola nell'Antichità, Imola 1957, tav. XXIII fig. 2). All'angolo di via Cavour, secondo il Galli che cita il Cerchiari (Ristretto storico della città d'Imola, Bologna, 1848), "si trovò circa trent'anni or sono (quindi nel primo decennio dell'Ottocento) in un muro, una statua di marmo nell'abbassare una cantina, la cui testa sola fu levata e calcinata". Alla fine del XIX secolo lungo la via Verdi, nel tratto compreso tra le vie Zampieri e Milani, fu rinvenuto un tratto del selciato stradale in trachiti, a circa due metri di profondità, con andamento identico a quello della via moderna (una campionatura di questi basoli fu utilizzata come saggio di strada romana all'interno del cortile del museo ed ora le trachiti sono depositate, in attesa di una nuova collocazione, nel giardino del complesso della SS. Annunziata in via F.lli Bandiera a Imola.
Nelle prime fasi di uno scavo per la realizzazione di una cabina elettrica sotterranea, in via Verdi presso il civico n. 3, si individuarono alcune sepolture in parte già intaccate in antico. Si procedette quindi allo scavo stratigrafico su un'area sub-rettangolare di m 5 per 2.
A circa m 1 di profondità dal piano stradale furono portate in luce otto sepolture, probabilmente realizzate in cassa lignea, data la presenza di numerosi chiodi in ferro. Pochissimi sono gli oggetti rinvenuti accanto ai defunti, un pettine in osso poco rifinito, una spatolina sempre in osso, alcuni piccoli anellini in bronzo, in genere posti lungo i fianchi e due piccoli spilli in bronzo rinvenuti ai lati della testa di uno scheletro. La destinazione cimiteriale dell'area, probabilmente pertinente alla chiesa di San Francesco, risale probabilmente al basso medioevo.
Le fosse sepolcrali tagliavano il crollo di una struttura edilizia di cui restavano le fondazioni di due muri paralleli, posti alla distanza di circa m 1.50, realizzati in ciottoli, frammenti di laterizi e materiale romano di recupero. In un secondo momento il piano pavimentale, di cui restavano forse alcune tracce in un vespaio in laterizio, fu tagliato da una buca semicircolare in cui furono calati tre grossi basoli di trachite, appoggiati con la parte piana sul fondo, accostati al muro est e rinserrati con grossi sassi.
La struttura descritta, forse di età alto medievale, venne a insistere su uno strato nerastro, fortemente antropizzato, probabilmente un esterno, contenente prevalentemente materiale romano, ceramica, marmo, intonaco, e una moneta databile al IV secolo d.C.
Lo strato descritto copriva uno strato rossastro, databile al V-VI secolo d.C. per la presenza di un frammento di lucerna "cristiana", e probabilmente pertinente alla fase di abbandono della "domus" sottostante, probabilmente di età imperiale. Della "domus" rimanevano alcune fosse di spoliazione contenenti lastre marmoree forse relative ad una pavimentazione in "opus sectile" e uno strato di calce forse pertinente al sottofondo. Questo assetto pare aver sigillato quella che dovette essere la sistemazione dell'area di età repubblicana, di cui è stato individuato un sistema murario disposto a "T", con fondazioni in sesquipedali che però non ha conservato i livelli pavimentali corrispondenti. La fossa di spoliazione del tratto est-ovest di questo muro ha probabilmente intaccato una sepoltura di neonato, scavata in terra e coperta da una parete di anfora. Forse questa struttura modificò la precedente sistemazione dell'area caratterizzata da un altro muro con fondazione in sesquipedali e andamento est-ovest.
Nell'area è stata poi individuata una fossa ellittica il cui fondo si trovava a circa m 3.60 dal piano stradale. Nel riempimento si è rinvenuta ceramica a vernice nera e materiale romano databile al II-I secolo a.C.
Lo scavo è stato eseguito da Franco Merlini della SAER, sotto la direzione di. Jacopo Ortalli e con la collaborazione di Laura Mazzini e di Sabrina Paglierani.

Franco Merlini e Laura Mazzini

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Provincia di Ravenna

3.27. Ravenna, Porta Cybo - Porta Serrata.

Il Comune di Ravenna, all'interno della programmazione dei lavori per un parcheggio in aderenza alle mura della città a ovest di porta Cybo, nella zona dell'antica porta Serrata, ha previsto un sondaggio di controllo in corrispondenza della III posterula; il sondaggio aveva lo scopo di appurare la profondità del fossato e controllare se possibile la struttura delle fondamenta delle mura e la loro possibile datazione.
Si è accertato che la posterula, tamponata presumibilmente in epoca rinascimentale, aveva un piccolo spiazzo all'esterno, all'interno del fossato, in cui era rimasta conservata parte di una domus, databile al II-III secolo, costituita da tre ambienti collegati, di cui due pavimentati in mosaico e uno in cocciopesto; dei due ambienti mosaicati, di piccole dimensioni, uno, conservato circa per una metà, ha pavimento a grandi tessere bianche con banda laterale nera, l'altro, rimasto per circa un quarto, sembra avere un emblema centrale quadrato, in mosaico bianconero, con stella di otto losanghe in nero e quadrato angolare con fiore a quattro petali lanceolati; il tappeto circostante, a seminato irregolare di tessere nere, presenta abbondanti restauri antichi; i muri, rasati in antico, sono formati da spezzame lateriazio e calce; scarsi i materiali rinvenuti: in un sondaggio effettuato lateralmente ai pavimenti è venuta alla luce una piccola gemma in calcedonio con teste dei Dioscuri.
Il rinvenimento è di notevole importanza per la tipografia ravennate; dimostra infatti che la città romana si estendeva in senso nord-sud e si è rimpicciolita in epoca bizantina: le mura che hanno tagliato le strutture abitative sono presumibilmente databili ad epoca postmedioevale e le mura tardoromane bizantine, il cui percorso è in via di accertamento, correvano ancora più all'interno del tessuto urbano della città romana.
Lo scavo è stato realizzato dalla ditta ARKAIA Archeologia e Ambiente di Torino, sotto la direzione della Soprintendenza Archeologica nella persona della scrivente, a spese del Comune di Ravenna; per le strutture è previsto il restauro in posto.

Maria Grazia Maioli

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3.28. Ravenna, viale G. Galilei

I lavori di scavo finalizzati all'edificazione di un edificio privato nel cantiere di proprietà EdilRomea s.r.l., in viale Galilei, sono stati realizzati durante i mesi estivi del 1995.
L'intervento ha interessato un'area di mq. 900, in cui è stata posta in luce una porzione del tracciato di una strada lastricata in trachiti databile ad epoca bizantina. Dopo lo splateamento sono stati effettuati tre sondaggi stratigrafici oltre la quota necessaria alle opere di cantiere; le indagini hanno permesso di individuare, ad O della strada, il limite orientale di parte dell'antico bacino portuale realizzato in epoca augustea e poi lentamente abbandonato ed interrato in epoca altomedievale, come è indicato anche dai materiali rinvenuti. Ad E della strada basolata sono state individuate alcune strutture murarie con diverse fasi d'uso.
Nel sondaggio 1, largo m. 2, lungo m. 14,5 e con orientamento NO-SE, è stato possibile analizzare la stratigrafia del corpo stradale, identificando quattro diversi livelli di calpestio con le relative preparazioni. Per consolidare il terreno sabbioso pertinente alla duna naturale venne dapprima predisposto un piano di formazione costituito da uno strato di ciottoli e ghiaia legati con calce grigia; altri strati di livellamento, con materiali ceramici di piena età imperiale e frammenti di intonaci dipinti a motivi vegetali e figurati, furono sistemati per stabilizzare il primo piano stradale (US 61) caratterizzato da limo sabbioso con frammenti laterizi, ceramici e marmorei. Sia la prima massicciata, sia i successivi rifacimenti (US 18, US 30), ottenuti con frammenti laterizi, ceramici e calce, recavano profonde solcature causate dal transito dei carri che vennero periodicamente bonificate con nuovi riporti di macerie. Il manto stradale relativo all'ultima sistemazione (US 10) aveva un consistente sottofondo in argilla e macerie predisposto per l'allettamento delle trachiti, attualmente rinvenute alla quota di - m. 2,40 s.l.m.; la strada lastricata, larga circa quattro metri, risultava in gran parte spoliata in antico: solo quindici basoli sono stati rinvenuti ancora 'in situ'.
Nella zona ad Est del sondaggio 1 i livelli stradali andavano in appoggio ad una struttura muraria ad angolo retto con andamento NE-SO (USM 67), a questa si appoggiava anche un basamento per monumento funerario orientato SE-NO (USM 50). L'approfondimento dello scavo, in corrispondenza della struttura USM 67, ha permesso di individuare almeno quattro riseghe di fondazione a partire dal livello di conservazione della struttura ( - m. 2,48 s.l.m.) e fino alla quota di - m. 4,08 s.l.m.. Il muro, in origine presumibilmente attinente alla banchina portuale o ad una struttura di contenimento, è stato in seguito riutilizzato come recinto funerario; lo spazio compreso fra le due strutture (USM 50 e 67) era servito per la sepoltura di un bambino con copertura alla cappuccina.
Nel sondaggio 2, di forma trapezoidale con i lati di m. 4,5 e m. 5 circa, è stata individuata una struttura muraria in sesquipedali legati con calce bianco-grigiastra piuttosto resistente (USM 25); dalla quota di testa del rinvenimento, a - m. 2,22 s.l.m., la struttura scendeva per oltre due metri presentando un paramento murario molto regolare con almento tre riseghe di fondazione; a causa della falda idrica e per ragioni di sicurezza non è stato possibile proseguire oltre lo scavo. Nel sondaggio è stato riconosciuto anche un probabile piano di frequentazione (US 49) in fase con una delle risistemazioni tardoantiche del battuto stradale (US 18) e collegato ad un marciapiede (US 14) realizzato in pezzame laterizio di piccole dimensioni.
Il sondaggio 3, composto da due trincee scavate con mezzo meccanico nell'area meridionale dello scavo ed intersecantesi fra loro, ha permesso di seguire il livello stradale indicato con US 18 corrispondente presumibilmente ad epoca tardoantica e già individuato nel sondaggio 1.
I sondaggi sono stati condotti da "La Fenice A.R." di Bologna, sotto la direzione di Maria Grazia Maioli.

Giovanna Montevecchi, Massimiliano Pompili

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3.29. Classe (RA), via Romea Vecchia, podere Minghetti

E' attualmente in corso l'esplorazione di un nuovo tratto della struttura interrata rinvenuta nella zona di Classe nel corso di uno scavo effettuato nel 1983.
Nella presente ricognizione, effettuata in via Romea Vecchia nel podere Minghetti gentilmente messo a disposizione dalla proprietà, si procede all'indagine del quarto pozzetto sino ad ora individuato e anticamente utilizzato per l'esplorazione del condotto (Maioli 1989-90, pp. 12-25); i lavori prevedono un accurato esame degli elementi strutturali ed uno scavo sistematico, effettuato dal personale subacqueo e costantemente seguito dagli archeologi in superficie, degli strati di riempimento all'interno della struttura immersa nell'acqua di falda e depositatisi soprattutto in corrispondenza del passo d'uomo.
Il materiale asportato viene accuratamente setacciato e flottato all'esterno, per un recupero differenziato di tutti i reperti rinvenuti.
Le operazioni, programmate con la dott.ssa M.G. Maioli della Soprintendenza Archeologica, sono condotte da 'La Fenice Archeologia e Restauro s.r.l.' di Bologna ed effettuate dal Gruppo Ravennate Archeologico che si avvale del supporto di una sezione subacquea altamente specializzata.
I lavori sono stati eseguiti dalla ditta ACMAR per conto del Comune di Ravenna.

Bibliografia

Maioli 1989-90 = M.G. Maioli, Un condotto fognario romano nella zona archeologica di Classe (RA): l’esplorazione e i materiali. Relazione preliminare, in Documenti di archeologia, VI (1989-90), pp. 12-25.

Cristina Leoni, Giovanna Montevecchi

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3.30. Classe, via Romea Vecchia

Nel settembre 1996 sono state eseguite opere di scavo per installare una vasca di sollevamento delle acque fognarie in via Romea Vecchia di fronte al n. 98.
Lo scavo, delle dimensioni di mq. 30 ca., ha intaccato una piccola porzione del dosso sabbioso corrispondente alla antica linea di costa della zona classense, che venne utilizzato come area sepolcrale a partire dal I sec. d. C. fino ad epoca tardoantica. Nelle immediate vicinanze sono state indagate altre aree di necropoli: un settore, con sepolture databili al I-II sec. d.C., fu scavato in lottizzazione CMC nel corso del 1983; a breve distanza si colloca, sempre lungo la via Romea Vecchia, il podere Minghetti dove si rinvenne, nel 1966, un'area sepolcrale ad incinerazione inquadrabile nell'ambito del I sec. d.C.; risale agli anni 1967-1968 lo scavo di una necropoli monumentale con sarcofagi e mausolei circolari, frequentata soprattutto nel corso del III d.C. e rinvenuta nel podere Marabina (Maioli 1990, pp. 375-414; Maioli 1991, pp. 260-264).
Nello scavo attuale le sepolture si presentavano piuttosto disturbate e con scarsi elementi di datazione, presumibilmente riferibili ad epoca medioimperiale; le otto tombe individuate, tutte ad inumazione (fig. 2), giacevano ad una quota compresa fra - m. 0,406 e - m. 0,864 s.l.m.. Quattro tombe (T.1, T.2, T.3, T.6) erano contenute entro fossa terragna con orientamento prevalente O-E, gli scheletri erano in posizione supina con arti superiori lungo il corpo; due sepolture avevano il corredo funerario: in un caso si è rinvenuto un balsamario in vetro (T.2) e nell'altro un frammento di spillone in osso (T.1).
Due sepolture erano poste entro cassa in muratura in pessimo stato di conservazione (T. 5 e T. 7); anche la struttura USM 18, di cui è stato visto solo l'angolo N, è stata intaccata da un fossato di epoca posteriore. La tomba 8, orientata N-S, conteneva una inumazione in fossa di cui erano visibili solamente gli arti inferiori. E' stato rinvenuto anche il fondo di un sarcofago che poggiava su di un lastrone in marmo che a sua volta copriva una sepoltura di bambino (T. 9): lo scheletro conservava una moneta in bronzo a livello della vertebra cervicale.

Bibliografia

Maioli 1990 = M.G. Maioli, La topografia della zona di Classe, in Storia di Ravenna. L'evo antico, Ravenna 1990, pp. 375-414

Maioli 1991 = M.G. Maioli, Topografia e organizzazione dello spazio nelle necropoli di Ravenna romana: nuovi dati di scavo, in CARB 38, 1991, pp. 253-279

Cristina Leoni, Giovanna Montevecchi

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3.31. Faenza, via Severoli 33

Nell’area cortilizia di palazzo Pasolini, nel centro storico di Faenza (Fig.1) ha avuto luogo uno scavo archeologico che ha consentito la scoperta di una domus con pavimentazioni a mosaico di notevole qualità.
La più antica fase di frequentazione dell'area, attribuibile all’età tardorepubblicana, è caratterizzata dalla presenza di semplici battuti pavimentali e grandi buche probabilmente legate ad un'attività artigianale.
Apparteneva all’iniziale fase costruttiva della domus eraun ambiente che conservava pavimenti a mosaico di ottima fattura ( GUARNIERI 1996). Il vano presentava nella parte meridionale un pavimento (us 21) costituito da triangoli equilateri adiacenti bianchi e neri, a scacchiera, bordato da una treccia a due capi policroma a rilievo su fondo scuro. La superficie appariva complessivamente ben conservata e denotava un’esecuzione di alta qualità, esplicata dal rigore geometrico nella disposizione delle tessere, di taglio regolare. Nella zona relativa al tappeto è emersa, tra il nucleus e il sovranucleus, la sinopia costituita da uno strato dello spessore di cm 0,8, composto da calce e inerte ; su questa falda ancora fresca era stato tracciato il disegno preparatorio realizzato con acuminati strumenti metallici. Lungo il lato sud del mosaico è venuta in luce la soglia (us 21a) caratterizzata da un disegno a parallelepipedi prospettici allungati policromi. Molte erano le analogie con us 21: la superficie era anch’essa levigata e presentava una stuccatura, realizzata con cinabro, che conferiva assoluta omogeneità alla composizione.
Immediatamente a settentrione dal mosaico a triangoli ne è venuto in luce un altro mosaico, purtroppo in cattivo stato di conservazione. Il pavimento presentava due tappeti, uno a cassettoni bipartiti bianchi e neri e l’altro decorato con clessidre formanti stelle ad otto punte, separati da una treccia a calice policroma allentata, con orlo dritto ed occhielli, in opus vermiculatum. La strettissima similitudine delle preparazioni pavimentali, la stessa misura delle tessere, la coevità dei materiali sigillati nel sottofondo, oltre all’assenza di un muro di separazione tra i mosaici, portano ad affermare che questi pavimenti appartenevano ad un ' unica stanza della domus.
Dal punto di vista esecutivo le caratteristiche dei mosaici dello scavo di palazzo Pasolini non si discostano da quelle degli esemplari tardo repubblicani e augustei della regione; anche una prima analisi dei materiali sigillati dai pavimenti permette di attribuire i pavimenti all’età augustea.
Coevi a questo’ ambiente -verso occidente- erano due vani, uno pavimentato a ciottoli legati con calce, l’altro a semplice battuto con sottofondo in ciottoli. Durante un’ ulteriore fase della domus, in età flavia, questi due vani furono obliterati da un unico grande ambiente pavimentato in opus sectile. Il pavimento (GUARNIERI c.s.) si conservava per circa 73 mq; lo scavo ne ha posto in luce la porzione sudorientale definita dalla spoliazione del muro est e del muro sud, che proseguivano oltre i margini di scavo; per questo motivo non è stato possibile accertare l’ effettiva estensione dell’ambiente. Notevole la gamma dei tipi marmorei presenti, preziosi come qualità, ma non rari e largamente impiegati; erano conservati almeno undici tipi di materiali marmorei, accanto a cui erano stati utilizzati anche materiali non marmorei. La presenza, seppure in quantità ridotta, di questi tipi lapidei porta ad includere il pavimento di Faenza nella categoria dei sectilia a materiali misti. Il sottofondo era realizzato unicamente con crustae marmoree, molte delle quali di reimpiego. Progettato sulla base del modulo medio il pavimento era stato redatto secondo un unico schema che non si ripeteva ritmicamente per tutta la superficie, ma che era stato progettato appositamente per il vano e ne seguiva la forma e lo sviluppo architettonico. La parte conservata del sectile potrebbe suggerire un progetto che prevedeva una scansione basata sul raddoppiamento progressivo della misura base di un piede, dall’interno verso l’esterno, misura che ritorna all’unità nella fascia di contenimento.
La lettura delle impronte e la disposizione delle crustae del sottofondo ha consentito di ricostruire una porzione consistente del disegno pavimentale. Il sectile presentava un emblema costituito da un quadrato che ne conteneva un altro al cui interno era un disco non tangente (QQD). Tutt’intorno a questo si snodavano tre file di formelle di tipo Q3(quadrato maggiore articolato in due quadrati inscritti diagonalmente). Il riquadro così formato era delimitato da una fascia continua in marmo grigio nuvolato a cui era tangente lungo i lati orientale ed occidentale un’ulteriore fila di formelle Q3. Attorno si snodavano due fasce, una a lastre rettangolari e quadrate, l’altra costituita da elementi rettangolari e quadrati, con dichi inscritti. Il lato meridionale era bordato da una fila di formelle quadrate della misura di un piede.
L’analisi dei materiali rinvenuti nello strato relativo alla preparazione pavimentale fornisce come termine post quem la metà del I sec. d., dato che concorda anche con l’analisi stilistica che attribuisce il pavimento all’età flavia. L’opus sectile di palazzo Pasolini è al momento l’unico esempio di pavimentazione di questo tipo venuto in luce a Faenza.
In un secondo tempo - forse già alla fine del I sec. d.C.- fu realizzato, ad oriente dell'ambiente a mosaico, un altro vano che presentava un pavimento a tessere bianche e nere (us 228), purtroppo assai poco conservato (GUARNIERI 1996). Il mosaico più che delineare un tappeto uniforme accosta motivi lineari; partendo dall’esterno si incontrano progressivamente un meandro di svastiche a doppio giro, una treccia a due capi in colore contrastante, una fila di spine rettilinee ed una greca caricata da una linea dentellata. A queste fasce segue una fila di cerchi, in cui è inscritto un fiore a sei petali; procedendo verso l’interno si incontra nuovamente una cornice a meandro, una a spine ed una a treccia a due capi allentata. Il mosaico, che appare confrontabile con analoghi tappeti della villa romana di Russi, si data tra la fine del I e l’inzio del II sec.d.C.
Tutto il complesso dei pavimenti rinvenuti nella domus di palazzo Pasolini fu conservato per tutto il tempo di vita dell’edificio, consuetudine d’altronde comune anche ad altri centri della regione.
La domus venne definitivamente abbandonata intorno alla fine del IV sec. d.C. Purtroppo un intervento effettuato nell’area durante gli anni Cinquanta per la realizzazione di un campo per il gioco delle bocce ha quasi del tutto obliterato i livelli postclassici, che quindi hanno lasciato solo labile traccia.
L’intervento, diretto dalla scrivente, è stato condotto da N.Fadini con la collaborazione di L.Mazzini della società " La Fenice".

Bibliografia

C.GUARNIERI 1996, I mosaici della domus di palazzo Pasolini a Faenza (RA), in Atti del III Colloquio dell’Associazione Italiana per lo Studio e la Conservazione del Mosaico (Bordighera, 6-10 dicembre 1995), Bordighera, pp.303-318.

C.GUARNIERI c.s., Un pavimento in opus sectile dalla domus di palazzo Pasolini a Faenza (RA), in Atti del IV Colloquio dell’Associazione Italiana per lo Studio e la Conservazione del Mosaico (Palermo, 9-13 dicembre 1996)

Chiara Guarnieri

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3.32. Faenza, ex Palazzo Grecchi

Tra la fine del 1994 ed i primi mesi del 1995 sono state compiute alcune opere di scavo nelle aree cortilizie interne dell’ex Palazzo Grecchi, situato in corso Mazzini 69, nel centro storico di Faenza. L’area oggetto dei lavori di escavazione era parzialmente occupata da cantine del XVII-XVIII secolo che avevano completamente asportato gli strati antropizzati ed erano situate soprattutto nella estrema zona N e N-O prospiciente via Borsieri 3. La parte con stratificazione conservata, estesa su una superficie di mq 180 ca. e indagata archeologicamente dapprima nel settore N e poi in quello S, ha evidenziato una sequenza abitativa, estesa dall’età repubblicana a quella rinascimentale, che è stata articolata in successivi Periodi, di cui i primi due, fino al II secolo d.C., sono oggetto di questa comunicazione (per i successivi v. scheda Periodo tardoantico). L’area risultava occupata, durante l’età romana e nonostante i continui rifacimenti, da due gruppi di strutture o corpi di fabbrica, in questa sede convenzionalmente designati come "edifici" distinti: uno sviluppato ad oriente e l’altro ad occidente.

Il Periodo 1 vide la realizzazione, in età repubblicana, al più tardi entro la prima metà del II secolo a.C., di un riporto argilloso collocato immediatamente al di sopra del terreno naturale: pare verosimile che questo deposito avesse funzione di livellamento e rialzamento dell’area in ragione delle successive edificazioni. Le più antiche strutture murarie, ascrivibili probabilmente ad almeno due distinti edifici, erano individuate sia nel settore N che in quello a S, tanto che quasi tutta l’area di scavo risultava occupata da perimetrazioni e zone a carattere abitativo. Un edificio era collocato ad E e mostrava, a causa degli interventi successivi, nonché della non omogenea articolazione planimetrica dello scavo, soltanto tenui e discontinue tracce: una porzione di fondazione in frammenti di pezzame laterizio, a N, ed una base di pilastro quadrangolare, collocato a S ed ottenuto anche con mattoni sesquipedali interi legati con argilla. Il settore N evidenziava, inoltre, parte di un ambiente (scoperto?) pavimentato in battuto argilloso costituito dalla testa dello strato naturale; erano qui individuati due elementi di specifico interesse: quanto restava di un dolio collocato entro fossetta di parziale interramento ed un pozzo privo di camicia in materiali durevoli. L’impianto più consistente, ovvero l’altro edificio, era tuttavia evidenziato, reso più leggibile anche dalla conformazione planimetrica dello scavo, nel solo settore S, ad occupare un’area ad O di quello precedentemente descritto. Per quanto successivamente intaccate da profonde spoliazioni e livellamenti, le strutture di fondazione qui evidenziate, ottenute mediante largo impiego di ciottoli e minore quantità di frammenti di laterizi posti prevalentemente di piatto, delimitavano almeno quattro ambienti, di non grandi dimensioni, relativi ad un corpo di fabbrica sostanzialmente unitario, sicuramente marginato sul lato E da un perimetrale continuo. Gli interni erano costituiti sia da piani di battuto con livelli d’uso - entro uno dei vani era evidente un focolare a terra -, sia da pavimentazioni in materiali durevoli: se presso l’ambiente più ad O alcune porzioni di vespai ottenuti mediante ciottoli e laterizi posti di coltello rinviavano decisamente a resti di sottofondazioni pavimentali successivamente asportate, nel vano più a N erano consistenti lacerti di cocciopesto che, databile forse ad una fase successiva rispetto al primo impianto dell’edificio e privo di vespaio, era collocato direttamente su di un allettamento argilloso. La zona intercorrente tra i due edifici, infine, pareva occupata da un’area, forse di esterno, caratterizzata anche da una serrata successione di livelli in crescita di frequentazione.

Il successivo Periodo 2 pare molto chiaramente contraddistinto da profonde modificazioni strutturali intervenute, nella fase iniziale, a partire dal I secolo a.C., ancora precedentemente all’età augustea. Il rifacimento dell’edificio orientale, probabilmente di poco posteriore al rifacimento di quello ad O, vide l’edificazione, previo rialzamento del settore corrispondente mediante riporti argillosi, di un perimetrale continuo sviluppato da N a S e costituito da una fondazione in mattoni sesquipedali sia integri che frammentari, nonché la costruzione di muri interni, ortogonali rispetto al primo, a costituire un edificio abitativo di discreto tenore. Nonostante le profonde spoliazioni, si potevano rilevare consistenti tracce di almeno quattro ambienti, organizzati, da quanto è stato possibile intuire, in modo solo parzialmente differente rispetto all’impianto precedente. Il vano che prima era occupato dal dolio e dal pozzo fu livellato per l’ottenimento di un semplice piano di battuto, recante peraltro deboli tracce di frequentazione, mentre pavimentazioni in materiali durevoli interessavano altri due degli ambienti individuati: una, meridionale (vano di disimpegno?), di opus signinum, l’altra, più orientale, pure in opus signinum, tuttavia molto più raffinato e decorato con motivi a meandro. Ad O la ricostruzione dell’edificio occidentale, oltre a comportare parziali riorganizzazioni planimetriche, fu segnata dalla totale distruzione delle strutture precedenti e da un evidente rialzamento di tutto il settore, anche in questo caso mediante riporti argillosi di livellamento. Pure questa nuova struttura abitativa, destinata, come la precedente, ad avere lunghissimo uso, prolungato almeno fino all’età tardoromana (v. scheda Periodo tardoantico), risultava dotata di vani pavimentati in materiali durevoli: uno a conglomerato lapideo decorato mediante scutule, l’altro, nella porzione occidentale del settore S, era invece interessato da un piccolo ambiente dotato di suspensurae poste su di un piano di appoggio inferiore in cocciopesto. Di un certo interesse risultavano anche le strutture murarie: quando non spoliate completamente da interventi successivi, esse mostravano una tecnica di fondazione che prevedeva l’impiego di argilla compressa entro fossa regolare, cui si sovrapponevano mattoni sesquipedali posti in piano secondo una tessitura che privilegiava gli elementi collocati per testa. Lo spazio risultante tra i due edifici era occupato, tra l’altro, da una cavità cilindrica che, sia pure priva di camicia in materiali durevoli, pareva destinata a pozzo.

Le fasi successive a quelle iniziali di impostazione delle principali strutture edificative, rapportabili ormai all’avanzato I secolo d.C. ed al secolo successivo, erano evidenziate soprattutto da interventi di parziale modifica e da migliorie nell’organizzazione generale degli spazi. L’ambitus lungo e stretto intercorrente tra i due edifici principali era in gran parte occupato da una fossa lineare adiacente al muro perimetrale dell’edificio occidentale, per la quale non è improbabile un’interpretazione come cavità per l’alloggiamento di una originaria struttura fognaria, successivamente spoliata. Non si esclude peraltro, a livello totalmente ipotetico, che questo elemento potesse essere coevo ad un’altra, grande, fossa (traccia in negativo di una struttura interrata ?) di forma rettangolare ( ca. m. 7,5 x 5, profondità dal piano coevo di ca. m.1-1,5) che, successivamente colmata con materiali riferibili alla tarda età imperiale, risultava occupare gran parte dello spazio posto a N dell’edificio più occidentale.
Le ultime attività ascrivibili al Periodo 2 interessarono ancora il ristretto spazio intercorrente tra i due gruppi principali di strutture: in immediata successione temporale rispetto alla realizzazione della struttura fognaria un’esile muratura lineare fu costruita con orientamento N-S parallelo a quello delle adiacenti e preesistenti strutture principali. Edificata alla base con pezzame di mattoni appoggiato semplicemente sul terreno e desinente, verso N, mediante una fondazione a pilastro allineata a sua volta con l’angolo nordorientale dell’edificio occidentale, era correlata ad una serie di piani d’uso e di crescite di frequentazione ricche a tratti di carboni, cenere e materiali di riporto.
Il Periodo in esame non risultava interessato da ulteriori, notevoli, attività fino almeno all’avanzato II secolo d.C. (per i Periodi successivi v. scheda Periodo tardoantico).
Gli scavi, finalizzati alla costruzione di garages interrati, sono stati effettuati dalla ditta Rava Giovanni per conto della società "Aurora s.r.l." di Faenza, proprietaria dell’immobile in ristrutturazione. L’intervento archeologico, diretto dalla dott.ssa C.Guarnieri della Soprintendenza Archeologica dell’Emilia Romagna, è stato condotto da "La Fenice Archeologia e Restauro s.r.l." di Bologna.

Claudio Negrelli

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Provincia di Forlì - Cesena

3.33. Cesena, Palazzo Ghini

Gli scavi archeologici compiuti nel cortile di palazzo Ghini, situato all'angolo tra corso Sozzi e via Uberti a Cesena, sono stati effettuati nell'area in cui si eseguivano lavori edili per la costruzione della mensa sotterranea della Curia Arcivescovile.
L'intervento prevedeva l'asporto del terreno a ridosso di palazzo Ghini per mq.170 circa, con una profondità di m.4,50 circa dal piano stradale. I rinvenimenti di epoca romana e tardo-antica si erano conservati per lo più nel settore sud dell'area indagata, poiché meno intaccata dalle successive strutture medievali.
Un grande taglio, visibile su tutta l'area di scavo ed avente un andamento est/ovest, si impostava sullo sterile a partire dalla profondità di m.2,25, per una larghezza di m.12 circa. I riempimenti rinvenuti al suo interno erano caratterizzati da una matrice sabbiosa contenente un'alta concentrazione di ceramica augustea e schiumature di ferro. L'area risultava poi occupata da un edificio del quale non è stato possibile individuare il perimetro, mentre sono state identificate le fondazioni di due pilastri quadrangolari in ciottoli legati con limo e alcuni lacerti dei battuti pavimentali. Successivamente il settore risultava occupato da una struttura lignea che delimitava tre ambienti dei quali sono stati rinvenuti i piani pavimentali in terra battuta; di questa struttura sono state individuate solo le spoliazioni. In una fase successiva le pareti in legno sono state sostituite da muri in ciottoli, di medie e grandi dimensioni, legati da limo grigio, delimitanti due vani con pavimentazione sempre in terra battuta: qui si è rinvenuto un asse dell'imperatore Claudio. Una fase di abbandono dell'area è documentata dalla presenza di uno strato di limo sabbioso nero, ricco di frammenti laterizi che risultava tagliato da successive buche di discarica contenenti frammenti ceramici (soprattutto di anfore) e concotto.
Rinvenimenti di età romana interessavano anche l'area delle cantine sottostanti palazzo Ghini. Al di sotto di una buca che ha restituito materiale di età augustea si è rinvenuta una struttura muraria di epoca tardo repubblicana, fiancheggiata da una canaletta. La struttura è stata conservata in situ, ma, per esigenze del cantiere edile, è stata fatta slittare di alcuni metri verso ovest, mantenendone tuttavia l'originario orientamento nord-est/sud-ovest. La struttura è costituita da sesquipedali legati con argilla e risulta in parte inclinata verso nord a causa di un cedimento strutturale.

Carla Ronchetti

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3.34. Cesena, via Isei, via Tiberti, via Martiri d’Ungheria

A Cesena, nel settore corrispondente all'ex convento della Congregazione delle Suore di Carità, in pieno centro storico, fra via Tiberti, via Isei, via Martiri d'Ungheria, in previsione di lavori edili, nel 1994-95, sono stati effettuati saggi di controllo per accertare l'esistenza di strutture di interesse archeologico; i sondaggi hanno messo in luce parti di due case a corte sei-settecentesche e strutture di servizio relative al palazzo Locatelli: sotto di esse venne accertata la presenza di resti di epoca romana e successive; nel 1996-97 la Soprintendenza Archeologica ha aperto una campagna di scavo, al momento in cui si scrive ancora in corso, che ha messo in luce un impianto di epoca romana repubblicana, un impianto termale presumibilmente della fine della età repubblicana, inizio dell'età imperiale, un ulteriore imponente impianto termale della media-tarda età imperiale, resti di case di abitazione, quindi una vasta stesura di mosaico pavimentale databile al V secolo, sul quale era una fase, anch'essa mosaicata, databile al VI secolo; sono state rinvenute inoltre una grasnde conserva-neviera in mattoni e due cantine cinquecentesche, la cui conservazione è prevista all'interno del progetto edilizio; sui rinvenimenti verrà data ampia comunicazione nel prossimo numero di questa rivista; in questa sede si offrono alcune note preliminari.

Lo scavo è stato condotto dai membri della ditta La Fenice Archeologia e Rstauro sotto la direzione della scrivente, ed è stato completamente a carico della Società Il Chiostro, proprietaria dell'immobile.

Bibliografia

ZAVATTI 1941: A ZAVATTI, Cesena, Mosaici romani, in Not. Scavi, s.7, II, 1941.

MAIOLI 1987: M:G:MAIOLI, L'edilizia privata tardoantica in Romagna: appunti sulla pavimentazione musiva, in CARB XXXIV, 1987, pp. 209-251.

MAIOLI 1997: nuovi rinvenimenti di mosaici a Cesena (FO) in Atti IV Convegno Internazionasle Mosaico Antico, Palermo 1996, in corso di stampa.

Maria Grazia Maioli

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3.35. Bagnarola di Sopra

 

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Provincia di Rimini

3.36. Rimini, piazza Ferrari

Sta per essere ultimata la decennale campagna di scavi stratigrafici nel settore urbano settentrionale dell’antica Ariminum coincidente con l’odierna piazza Ferrari.
Le indagini, promosse dalla Soprintendenza per i Beni Archeologici dell'Emilia Romagna e dal Comune di Rimini - Musei della Città e attuate con partecipazione di operatori archeologici e di numerosi studenti universitari, hanno consentito di riportare in luce un importante ed articolato complesso strutturale: verso mare, a ridosso di un tratto della cintura muraria laterizia del III sec. d.C., un ampio settore di domus medioimperiale caratterizzata da pregevoli mosaici figurati e da un eccezionale corredo medico-chirurgico conservatosi sotto le macerie dell’abitazione distrutta da un incendio; verso monte, a ridosso di un decumanus, parte di un edificio palaziale con impianto termale, pure dotato di elaborate decorazioni musive policrome, sviluppatosi nel corso del V dec. d.C.
Di notevole importanza è dtata pure l’individuazione di strutture abitative e sepolcrali riferibili alle più tarde fasi insediative dell’area, protrattesi fino all’altomedioevo.
Di concerto con il Comune si sta ora studiando la possibilità di procedere alla conservazione e alla musealizzazione in situ dell’intero complesso.

Jacopo Ortalli

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3.37. Rimini, loc. Covigliano - S. Fortunato

In località San Fortunato sul promontorio di Covigliano a sud di Rimini, un'area di forte presenza antropica ed archeologica con siti dalla preistoria all'età tardo antica, durante lavori di escavazione per eseguire uno scavo di circa 6 mt. h 3 mt., a - 1 mt. sotto il piano di campagna, sono state individuate tracce riferibili ad un impianto artigianale di età romano - repubblicana comprendente una serie di fornaci (di cui una sola di piccole dimensioni scavata integralmente) ed una vasca per la decantazione dell'argilla.
I materiali ceramici individuati negli strati relativi alla struttura si collocano posteriormente al III secolo a.C. e quindi potrebbero essere in relazione ad un insediamento del primo periodo romano - repubblicano.
Durante lo scavo del terreno agricolo si è potuto notare che in epoca recente erano stati eseguiti profondi scassi per l’impianto di una vigna (di cui si notano ancora le radici) che hanno intaccato, sconvolgendolo, lo strato archeologico più superficiale (-1 mt.). Durante questa prima fase di scavo si è potuto accertare una corrispondenza stratigrafica e cronologica tra le struttura con muretti in laterizio e lo strato di terreno rubescente. Questo strato assume, nella parte centrale, la consistenza del concotto ed ha in direzione nord (da cui rispetto la conformazione del terreno declinante a settentrione riceve sicuramente i venti dominanti) una maggiore concentrazione di cenere, carboni e carboncini che testimoniano un’attività incentrata sull’uso di una fornace. Per quanto riguarda la struttura in laterizio (intatta su tre lati e mancante del quarto, tagliato dallo scasso della vigna), si tratta di una vasca, forse per la decantazione dell’argilla o per la raccolta dell’acqua usata probabilmente in funzione dell’attiguo forno. La vasca ha un fondo costituito da piccoli frammenti laterizi (squadrati a martellina) di dimensioni regolari (circa 5 cm. di lato) posti su un modesto sottofondo in coccio pesto costituito da calce biancastra e friabile. Per quello che ho potuto rilevare da un’osservazione preliminare le dimensioni della vasca sono di 1,20 mt. nel lato sud e circa 1,30 nei lati est e ovest interrotti, sul lato nord, dal taglio dello scasso della vigna. Si tratta quindi una forma rettangolare che non doveva però superare di molto la dimensione rilevata (i frammenti del fondo della vasca ritrovati tra il terreno sconvolto non sono infatti molto numerosi). La tipologia del manufatto, in relazione alla ceramica recuperata nel riempimento (numerosi frammenti di vernice nera), potrebbe collocarsi in un arco cronologico piuttosto ampio comunque non anteriore al III secolo a. C.
La struttura, non potendo essere conservata in situ, è stata completamente scavata ed isolata dal circostante e sottostante terreno e quindi sollevata in un unico blocco per mezzo di una gru e trasportata al Museo di Rimini. ha comportato la realizzazione di uno scavo in aderenza al perimetro della struttura fino ad una quota di circa 60 cm. al di sotto delle fondazioni. Si è provveduto al montaggio di una impalcatura in tubi in acciaio posizionati sul perimetro. Su questi, procedendo nello scavo al di sotto della "vasca", si sono appoggiate robuste tavole di legno che, una volta concluso lo scavo che ha isolato la struttura dal terreno sottostante, sono diventate la base su cui grava, con un peso di oltre dieci quintali, il pavimento in frammenti laterizi, il sottofondo in coccio pesto e i muretti che ancora compongono il manufatto archeologico.
I lavori di escavazione sono stati condotti dallo scrivente in collaborazione con personale del Museo di Rimini e con i volontari dell’ A.R.R.S.A. (Associazione Riminese Ricerca Storica e Archeologica) L'intera operazione di recupero, che è stata ideata, diretta ed eseguita dall'Assistente Sergio Sani della SAER (coadiuvato dallo scivente, da personale del Museo di Rimini e da Gianfranco Vannucci, Marcello Cartoceti e Nelsi Tumidei dell’ A.R.R.S.A.).

Franco Merlini

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Per informazioni o suggerimenti: Tiziano Ceconi.
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Aggiornato il 06/10/06.