MUSEO ARCHEOLOGICO DELLA VALLE DEL CENO
Castello di Bardi (PR)
inaugurazione domenica 11 maggio 2014
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Comune di Bardi, Provincia di Parma, Soprintendenza Archeologia dell'Emilia-Romagna, Centro Studi della Valle del Ceno "Card. A. Samorè"

Domenica 11 maggio, alle ore 17, inaugurazione del nuovo allestimento della sezione preistorica del Museo Archeologico della Valle del Ceno, nel Castello di Bardi (PR)

Museo Archeologico della Valle del CenoMuseo Archeologico della Valle del Ceno
Castello di Bardi (PR)

Il nuovo allestimento della sezione preistorica del Museo Archeologico della Valle del Ceno, curato da Angelo Ghiretti, punta su una soluzione espositiva non comune: rinunciando a svolgere l’intero filo delle tracce, spesso esigue, pertinenti a tutto l’arco della preistoria e protostoria presenti nella valle, ha preferito concentrare l’attenzione sulle due testimonianze principali: lo sfruttamento del diaspro del Monte Lama e l’indagine sul sito arroccato del Groppo Predellara a Varsi.
Si tratta di due dei temi che maggiormente caratterizzano la preistoria e protostoria dell’Appennino del Parmense occidentale, da diversi punti di vista: in primis lo stato delle ricerche che li hanno riguardati, e poi soprattutto le peculiarità culturali che esprimono, nel corso di diverse fasi del passato, in rapporto alle risorse naturali che questo specifico territorio ha offerto alle scelte economiche e insediative delle comunità umane.
Il diaspro del Monte Lama ha rappresentato una risorsa litica preziosa già a partire dal Paleolitico medio e soprattutto  nel corso del Paleolitico superiore e poi nell’età del Rame. Le indagini condotte dall’Università di Pisa consentono non solo di descrivere un sito che ha straordinarie potenzialità per la ricerca futura, ma anche di richiamare, nei pannelli di inquadramento, una serie di aspetti fondamentali per la conoscenza delle nostre origini, che vanno dal più antico popolamento del nostro territorio alle caratteristiche delle prime produzioni in pietra, fino all’insospettata estensione degli scambi già all’epoca delle frequentazioni neandertaliane.
Le ricerche effettuate da Angelo Ghiretti, in qualità di collaboratore della Soprintendenza per i Beni Archeologici dell’Emilia-Romagna, nel sito arroccato del Groppo Predellara permettono invece di affrontare altre problematiche, connesse con la ripetuta occupazione, in fasi diverse, di un luogo naturalmente difeso.
I materiali raccolti negli strati pertinenti alla più importante fase di vita del sito, nel corso dell’età del Bronzo, raccontano una storia antica ma anche attuale: l’interazione tra due diverse entità culturali, quella delle “Terramare”emiliane e quella della gente del Nord-Ovest, che trovarono in quest’area di confine il loro terreno di incontro, variabile nel tempo col variare dei reciproci rapporti di forza.
La scelta di concentrare l’attenzione su questi due temi, oltre a offrire l’opportunità di trattare molti degli aspetti più significativi per il più lontano passato della valle, assicura anche altri vantaggi. In questo modo infatti l’esposizione di Bardi assume una propria connotazione molto meglio definita, distinguendosi ad esempio da quella del Museo Archeologico Nazionale di Parma che, pur essendo naturalmente assai più vasta, deve offrire un quadro generale del parmense e può quindi solo accennare ai temi che qui invece vengono maggiormente sviluppati.
La rinuncia a presentare tutte le fasi della preistoria e protostoria di cui possediamo solo poche testimonianze consente agli autori dei pannelli esplicativi di evitare lunghe spiegazioni di inquadramento. Fornire al grande pubblico le coordinate culturali che rendono le testimonianze comprensibili e interessanti senza imporgli letture troppo lunghe è infatti uno dei maggiori problemi che va affrontato in una esposizione di materiali preistorici.
In futuro, peraltro, il progresso delle ricerche potrà portare ulteriori temi a raggiungere il livello di conoscenza sufficiente a sviluppare nuovi percorsi di visita; tra gli altri, uno dei migliori candidati alla futura estensione della sezione preistorica del Museo di Bardi potrebbe essere costituito dagli accampamenti degli ultimi cacciatori post-glaciali, in Emilia occidentale non ancora sufficientemente indagati, ma già individuati numerosi nelle alte valli appenniniche.
E del resto il filo completo del percorso storico attraverso l’intera preistoria e protostoria della Valle del Ceno potrà facilmente essere seguito con altri mezzi, ad esempio attraverso le pubblicazioni già disponibili (quali i bei volumi già pubblicati dallo stesso Ghiretti con altri autori, come “Preistoria in Appennino” e il recente “Varsi dalla Preistoria all’età Moderna”) e, nel museo, attraverso una più agile comunicazione digitale.

La Montagna dei Coltelli di Pietra
Il gruppo montuoso del Lama-Castellaccio-Pràrbera, posto al confine tra le province di Parma e Piacenza, si presenta come una dorsale piatta e allungata, in gran parte ricoperta da una fitta vegetazione a faggi, sostituita, specialmente nelle aree di crinale, da ampie praterie montane.
Dal punto di vista geologico è formato da una serie rovesciata che comprende Radiolariti (diaspri) di età giurassica, sovrapposte a Calcari a Calpionella e ad Argille a Palombini, di età giurassicocretacea; la struttura contiene inoltre alcuni spuntoni di serpentiniti (come, ad esempio, il rilievo del Castellaccio), nonché brecce poligeniche.
La presenza di estesi affioramenti di selci a radiolari (comunemente chiamate diaspri, anche se il diaspro è la formazione che le contiene), vetrose e di un colore che va dal rosso fegato al verde, ha attirato qui, nel corso dei millenni, popolazioni umane preistoriche alla ricerca di un buon materiale con cui confezionare i loro strumenti.
La scoperta e le successive ricerche
La prima segnalazione della presenza di depositi preistorici sul gruppo del Lama-Castellaccio-Pràrbera si deve alle ricerche di un appassionato studioso genovese, Osvaldo Baffico, che li individuò sul finire degli anni sessanta del secolo scorso. Baffico identificò 35 differenti aree con manufatti litici scheggiati, tra cui località Ronco del Gatto, da lui indicata con la sigla CC2 (“Colle Castellaccio 2”). Successive ricerche, condotte da Angelo Ghiretti, hanno poi permesso di localizzare con maggiore precisione i siti, nonché di approfondire il popolamento delle contigue valli del Taro, del Ceno e dell’Arda.
In seguito ad una revisione dei numerosi manufatti litici raccolti si decise, in accordo con la Soprintendenza Archeologia e in collaborazione con l’Università di Pisa, di intervenire sul terreno con una serie di sondaggi esplorativi, diretti da Carlo Tozzi e Fabio Negrino.
Fu scelta località Ronco del Gatto, da dove erano stati raccolti migliaia di manufatti attribuibili a differenti orizzonti cronologici, compresi tra il Paleolitico Medio e l’Età del Rame.
La prima campagna si è svolta nel 1997; a questa ne seguirono altre tre (1999, 2000 e 2001), l’ultima delle quali dedicata solo al rilievo topografico dell’area di scavo e ad una ricognizione approfondita di parte del territorio circostante.
Il diaspro del Lama-Castellaccio-Pràrbera: un materiale unico
Una così intensa frequentazione di quest’area durante la preistoria è sicuramente dovuta alla presenza di una materia prima di elevata qualità, vetrosa e resistente, adatta all’ottenimento di manufatti taglienti e di largo modulo. Questo materiale fu ampiamente usato dai Neandertaliani, durante il Paleolitico medio. Con l’arrivo di Homo Sapiens, durante le fasi antiche del Paleolitico superiore, la presenza di liste vetrose, poco fratturate e di dimensioni ragguardevoli, permise inoltre la produzione di lame o coltelli anche superiori ai 10 cm di lunghezza. In seguito, le comunità dell’Età del Rame usarono questa pietra per produrre punte di freccia e pugnali a ritocco bifacciale, identici a quelli ritrovati tra il corredo di Ötzi, la mummia scoperta tra i ghiacci del Similaun, in Alto Adige, e vecchia di 5000 anni.
Era tale l’importanza di questo diaspro da essere esportato, sotto forma di manufatti finiti, in siti della Liguria occidentale e in alcune grotte del Finalese già oltre 50.000 anni fa da oggi, durante il Paleolitico medio.
Con l’arrivo di Homo Sapiens, attorno ai 40.000 anni fa, la diffusione di questa selce a radiolari si fece ancora più ampia, così da essere rinvenuta ai Balzi Rossi, nell’Imperiese, e in alcuni depositi della Provenza, in località distanti oltre 200 km in linea d’aria dalla Val Ceno.

Ronco del Gatto: un’Officina Plurimillenaria
Località Ronco del Gatto è posta a circa 1.150 metri s.l.m. sul versante meridionale di Monte di Lama. Si tratta di pianori di mezza costa, situati in corrispondenza di un affioramento di diaspri. L’area è coperta da una fitta vegetazione a faggi, a poca distanza da una sorgente d’acqua.
Gli scavi
L’intervento archeologico, svoltosi tra il 1997 e il 2001, è stato finalizzato all’apertura di una serie di sondaggi esplorativi, i quali hanno permesso di ricostruire alcune importanti fasi di frequentazione del sito. Già sulla base di una prima revisione delle raccolte di superficie si potevano distinguere almeno due aree di officina, l’una localizzata al margine del terrazzo più alto e caratterizzata quasi esclusivamente da manufatti paleolitici (CC2), l’altra posta su di un terrazzo più basso e caratterizzata, invece, da una netta prevalenza di manufatti attribuibili all’Età del Rame (CC2N).
Un dosso allungato, costituito da un affioramento di diaspri di buona qualità, divide parzialmente i due terrazzi dal Rio della Basòna. Lungo questo breve crinale si possono osservare alcune depressioni subcircolari di circa 3-4 metri di diametro, rivelatesi come nicchie o fronti di estrazione dell’Età del Rame.
Nel corso delle prime tre campagne di scavo si è proceduto all’apertura di 4 sondaggi: i primi due in corrispondenza del terrazzo più basso (S.1 ed S.2), un terzo in corrispondenza dell’officina paleolitica (S.3) e un ultimo all’interno di una nicchia di estrazione (S.4).
Il terrazzo più basso, interessato dai primi due sondaggi, è di limitata estensione ed è in gran parte disturbato dall’impianto di una carbonaia. Il sondaggio n.1 ha messo in luce un deposito colluviato contenente per lo più manufatti paleolitici rimaneggiati, mentre il sondaggio n.2, localizzato al margine del terrazzo, ha permesso di individuare un’officina dell’Età del Rame, pressoché in posto, dedita alla produzione di punte di freccia e pugnali.
Allo stesso orizzonte cronologico è riferibile anche il deposito interessato dal sondaggio n.4, costituito dal riempimento artificiale di una nicchia di cavatura. Di rilevante importanza, per gli aspetti paleolitici, è invece risultato il sondaggio n.3, aperto al margine dell’ampio pianoro soprastante. Il terreno è stato indagato per un’estensione di 3 mq e per una profondità di circa 1,5 m; il sondaggio, che ha interessato un deposito pluristratificato compreso all’interno di una depressione del substrato roccioso, ha messo in luce un’articolata stratigrafi a, con depositi eolici pedogenizzati contenenti manufatti del Paleolitico medio-superiore.
Una storia vecchia almeno 50.000 anni
Questi sondaggi hanno permesso di identificare la presenza dell’uomo su Monte di Lama a partire da almeno 50.000 anni fa. Uomini di tipo neandertaliano, in corrispondenza di periodi climaticamente favorevoli, penetrarono all’interno dell’Appennino e utilizzarono i diaspri per confezionare i loro manufatti.
Successivamente, a partire da 40.000 fa, uomini anatomicamente di tipo moderno, i cosiddetti “Cro-Magnon” o Homo Sapiens, ripopolarono l’area, ormai abbandonata dagli ultimi neandertaliani; produssero grandi quantità di lame, da cui ricavare utensili, e lasciarono a Ronco del Gatto i resti di un’estesa officina costituita da centinaia di nuclei e migliaia di schegge. L’acuirsi della glaciazione allontanò nuovamente l’uomo dalle aree montane, che furono ripopolate solo a partire dalla fi ne del Paleolitico e soprattutto con il Mesolitico, testimoniato da alcuni siti di caccia presenti lungo i crinali più elevati di Monte di Lama.
Durante l’Età del Rame/Bronzo antico, 4-5.000 anni fa, gruppi umani dediti alla pastorizia e all’agricoltura si servirono nuovamente del diaspro di Ronco del Gatto per confezionare punte da lancio, coltelli e altri utensili.
Da tutti i livelli dei sondaggi n.3 e n.4 provengono scarsi carboni di legna, riferibili ad abete bianco e a pioppo tremolo, che indicano come un tempo la vegetazione fosse molto diversa da quella attuale.

Groppo Predellara, dalla Preistoria al Medioevo
Il Groppo Predellara di Rocca-Varsi, luogo arroccato e naturalmente protetto, offrì nei millenni protezione alle comunità che vi si insediarono, sia quale semplice frequentazione occasionale, come nel Paleolitico, nel Neolitico o nel Bassomedioevo, sia in modo ben più stabile e duraturo, come nell’età del Bronzo e del Ferro. Esaminiamo più approfonditamente le epoche che hanno lasciato nel terreno testimonianze della loro presenza.
Paleolitico superiore antico (35.000- 30.000 anni fa)
Appartengono a questo periodo alcuni strumenti ricavati in Diaspro-Radiolarite del monte Lama. Sono le testimonianze di un accampamento di cacciatori del periodo Aurignaziano, la prima cultura dell’Uomo Moderno affermatosi dopo la scomparsa dell’Uomo di Neandertal.
I pochissimi strumenti provengono dallo strato basale US 3 situato in posizione stratigrafica inferiore al villaggio dell’età del Bronzo, ma anche, in giacitura secondaria, dagli strati superiori pertinenti ad epoche più recenti, essendo stati coinvolti nelle manomissioni del sito causate dall’impianto del villaggio stesso. Gli strumenti sono un raschiatoio, un grattatoio, diverse schegge-scarti di lavorazione del diaspro condotta sul sito.
Neolitico (8.000 – 5.500 anni fa)
L’avvio dell’agricoltura, dell’allevamento e dei primi insediamenti stabili interessò, per la
grande fertilità dei terreni e la loro maggiore protezione dai pericoli di esondazione, sopra u o
l’alta pianura. In montagna gli insediamenti sfru arono i terrazzi fl uviali delle medie e basse
valli (Rubbiano, Viazzano, Serravalle), mentre a monte rioccuparono talvolta posizioni che già
erano state frequentate nel precedente periodo Mesolitico (11.000 – 8.000 anni fa). In pianura
come in montagna lo strumento principe per disboscare e me ere a coltura nuove terre è stata
l’ascia in pietra levigata, di cui un esemplare integro, in eclogite delle Alpi Occidentali Liguri-
Piemontesi, certamente in giacitura secondaria, proviene dagli scavi di Groppo Predellara.
Affi anca questo reperto una lunga lama ritoccata in selce pertinente ad un momento avanzato
del Neolitico.
Età del Bronzo media e recente (3600 – 3200 anni fa)
E’ il periodo della grande densità di insediamenti nel Parmense, sia in pianura-collina che in Appennino. Groppo Predellara e la grande rupe vicina del Groppo di Rocca Varsi furono stabilmente abitati per circa quattro secoli. Sulla sponda opposta del Ceno la cima di monte Pratobello, posizione strategica eccezionale, sembra essere stata in funzione dei nostri due insediamenti, al fi ne di servirli con un controllo efficace del territorio a valle, altrimenti impedito dalla chiusa naturale di circa tre km posta tra Ponte Lamberti e Varsi.
Seconda Età del Ferro ligure (2500 – 2150 anni fa)
Nel periodo delle comunità liguri protostoriche il sito, già abbandonato sullo scorcio dell’età del Bronzo, venne rioccupato per alcuni secoli, forse tra il V-IV a.C. e la Romanizzazione, che vede la popolazione ligure dei Veleiates abitare queste zone e quindi soccombere ai Romani nel 158 a.C.
Altomedioevo - Bassomedioevo – Rinascimento – Barocco (secoli IX - XVI)
In questo periodo Groppo Predellara è frequentato solo occasionalmente dalla comunità di Rocca - Varsi. Nell’Altomedioevo la zona è chiamata Aquinate, e ancora nel 1290 il Gropp di Rocca è detto Arce Aquina. Un fortilizio sulla cima è noto solo dal 1206, quando risulta assediato dai piacentini.
Pochi anni prima, tra 1199 e 1200, in un documento che descrive i confini di Varsi, si parla di “...pallatio casamenta et avassus ipsius burgi seu de Subtus Rocara de Varsio...” abitazioni da intendersi collocate nell’ampio terrazzamento ad ovest della cima del Groppo, ora interamente coperto da bosco. A partire dal secolo XV l’insediamento scende dalla rupe per occupare una posizione non protetta sul terrazzamento pianeggiante esposto ad ovest, garantito dal forte potere locale dei Conti Scotti di Varsi - Gravago: nasce così la frazione di case Manganini.

Groppo Predellara e le Strutture del Villaggio
L’abitato su altura di Groppo Predellara (m 525 slm) a Rocca Varsi si estendeva sulla vetta e, soprattutto, nell’ampio terrazzamento sul fianco ovest. La caratteristica d’occupare posizioni dominanti è tipica dell’età del Bronzo in Appennino e va ricondotta sia ad esigenze economiche (controllo dei pascoli) che militari (sorveglianza del territorio). Groppo Predellara, come il vicino insediamento sul Groppo di Rocca Varsi, deve intendersi come insediamento stabile, abitato lungo tutto il corso dell’anno e forse continuativamente, tra 1650 e 1200 a.C, come parrebbe anche dalla stratigrafi a archeologica rimasta, che con i suoi 2 metri di spessore, anche se solo in alcuni punti, rappresenta un’importante eccezione per le aree montane. Non va però dimenticato che altri siti tra Taro e Ceno appartengono a categorie differenti di villaggio, forse a frequentazione solo stagionale, legati ad esigenze di economia pastorale (stazioni della transumanza, esempio Rocche di Drusco di Bedonia) o di controllo militare del territorio (esempio monte Pratobello di Bardi, o l’antecima del monte Menegosa, tra le valli Arda e Nure).
Nonostante lo scavo archeologico abbia interessato solo una parte assai limitata dell’insediamento è possibile disporre di alcune informazioni sul tipo di strutture che caratterizzarono il villaggio, a partire dal suo impianto, agli inizi della media età del Bronzo (1650 a.C.) fino all’abbandono del terrazzamento ovest, a seguito di un grave movimento tellurico verificatosi nel corso della media età del Bronzo, attorno al 1450 a.C .
Cinta di protezione del villaggio al ciglio del terrazzamento ovest
L’arrivo di nuove comunità comportò inizialmente lo splateamento – regolarizzazione del pianoroterrazzamento ad ovest della cima, operazione che produsse anche pietre di medie dimensioni che vennero sistemate al ciglio del terrazzamento, innalzando ed attrezzando a cinta perimetrale un affioramento rettilineo di grandi massi naturali. Parallelo al lato interno della cinta è stato riscontrato una sorta di vallum profondo circa un paio di metri rispetto al piano delle capanne, largo altrettanto. Questo fossato potrebbe essere stato creato per rendere più efficace la protezione della cinta, ma v’è il sospetto possa anche trattarsi di un fenomeno naturale generato dallo “scollamento” del versante a seguito del terremoto che colpì il sito sullo scorcio del secolo XV a.C.
Strutture di contenimento del versante e fasce di terrazzamento a scopo abitativo
Allo splateamento iniziale del pianoro seguì la creazione di alcune fasce, rette da strutture in pietra (a Nord) ed in legno (a Sud, di cui rimane la traccia in negativo) allo scopo di incrementare gli spazi disponibili alle abitazioni.
Sul pianoro terrazzato l’impianto delle capanne procedette disponendone le basi entro trincee parallele al bordo del pendio, profonde non più di mezzo metro, così da poterle stabilmente assicurare al suolo evitandone lo scivolamento a valle.
Piani abitativi rubefatti
Fin dalla scoperta del terrazzamento sepolto sul fianco ovest di Groppo Predellara sono venute alla luce due estese chiazze subcircolari di terreno notate per il loro vivace colore arancio, dovuto a rubefazione da calore. Nessuna era visibile nell’intera estensione, ma quella parzialmente indagata (struttura 1) si mostrava almeno per una superficie di 60 mq, oltre la quale fuoriusciva dal settore messo a disposizione alla ricerca.
Non sembrerebbe che tale rubefazione sia dovuta a specifiche attività produttive svolte al loro interno: lo scavo di questo strato non ha restituito reperti differenti da quelli dei vicini livelli abitativi non interessati dal fenomeno (recipienti domestici in ceramica, ossa di animali con segni di combustione). Se è vero che questi due settori furono interessati da un’attività fusoria per la produzione di manufatt i in bronzo (trovate matrici in pietra, oggetti fusi ma non ancora rifiniti, gocciolature di metallo cadute nel terreno) è altrettanto vero che per tale attività veniva normalmente impiegato uno spazio assai ridotto, per nulla avvicinabile alle nostre strutture tondeggianti e particolarmente estese. E’ quindi possibile interpretare questi settori come dei piani pavimentali, comparabili a quelli realizzati nelle Terramare mediante riporti di limo scottato, qui preparati mediante combustione diretta in loco.
Ingresso al villaggio
Nell’angolo Nord-Ovest lo scavo archeologico condotto nel 1995 ha evidenziato due strutture connesse al limite dell’insediamento. La prima riguarda un’improvvisa interruzione in verticale dello strato archeologico, tale da far pensare alla posizione di un alzato ligneo, forse uno steccato, contro il quale gli scarti scivolati dall’alto del villaggio poterono accumularsi.
La seconda, che riteniamo connessa alla precedente, riguarda un piano acciottolato, situato alla base della stratigrafi a in cui si è riconosciuta una possibile recinzione esterna. Entrambe le strutture depongono per un ingresso “attrezzato” nell’angolo Nord del sito, che era verosimilmente dotato di una protezione esterna e di una massicciata interpretabile quale tratto d’ingresso “pavimentato” al villaggio.
Testimonianze di un cataclisma di 3500 anni fa
Gli scavi condotti nei primi anni Novanta hanno evidenziato, in due punti distinti dell’insediamento, grandi massi o addirittura pinnacoli rocciosi capovolti, la cui base poggiava a diretto contatto con i livelli abitativi. Queste circostanze sono state interpretate (prof. Mauro Cremaschi) come testimonianza di un evento tellurico di grande portata che ha interessato l’insediamento, facendo precipitare massi e guglie rocciose dalla cima sulle abitazioni poste sul ripiano di versante. Questa circostanza, un raro caso in cui è stato possibile accertare un fenomeno naturale accaduto 35 secoli fa, è stata probabilmente la causa che ha determinato l’abbandono di quel settore del villaggio a favore della più protetta posizione sommitale.

Le Relazioni con i Villaggi della Pianura: le Terramare
La fase centrale del Bronzo Medio (1550 – 1450 a.C.) rappresenta, per gli insediamenti di pianura noti come “terramare”, una fase di intensa prosperità economica e culturale, nell’ambito della quale vengono creati decine di insediamenti sotto la spinta dell’esplosione demografica in corso. E’questo il momento di massima espansione territoriale, nel quale l’intera pianura e collina emiliane vengono interessate dall’arrivo di nuovi gruppi di popolazione, provenienti dai territori a Nord del Po e in parte della Penisola. Quest’intenso fenomeno di colonizzazione del territorio arriva ad espandere la propria preponderante influenza culturale anche nei territori limitrofi: essa valica, ad esempio, il massimo crinale appenninico e penetra in Garfagnana, nell’alta valle del Serchio. Anche al Groppo Predellara il fenomeno dell’espansione terramaricola al suo apice risulta particolarmente marcata e ben distinguibile, espressa soprattutto da forme e decorazioni di alcune ceramiche, quali le tazze carenate dotate della tipica appendice a corna delle anse. La scelta quasi ossessiva di quest’unico modello - nel vasto repertorio che le terramare propongono - induce a ritenere quest’influsso non subito passivamente ma recepito e rielaborato all’interno di una propria tradizione, di un proprio patrimonio culturale di matrice differente di tipo “occidentale”, con il quale gli aspetti culturali giunti dalla pianura si fondono. Avviene dunque una sorta di interdigitazione tra le culture di montagna e pianura dell’età del Bronzo, caratteristica comune ai siti di frontiera, ove due o più aree culturali si incontrano permeandosi a vicenda, restituendo esiti anche particolari, che solo in parte si riconoscono nei luoghi-matrice di provenienza. Una vetrina mostra le ceramiche rinvenute al Groppo Predellara con evidente influenza culturale mediata dalla pianura delle terramare.

 

Referenti per la Soprintendenza Archeologia dell'Emilia-Romagna
Maria Bernabò Brea, Direttore del Museo Archeologico Nazionale di Parma

Per info: Comune di Bardi