ARCHEOLOGIA A MONTEGIBBIO
la scoperta di una villa romana
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La mostra allestita nel castello di Montegibbio è una prima esposizione dell'importante rinvenimento archeologico avvenuto in località il Poggio: una villa urbano rustica di epoca romana. L'organizzazione della mostra nasce dalla sinergia di sforzi di un gruppo di persone che hanno creduto e sostenuto con grande entusiasmo un progetto di ricerca archeologica.

Particolare dello scavo. Nella parte più antica, visibile sulla sinistra della foto, si nota come il piano di calpestio antico  fosse in origine più alto di un metro. Un evento catastrofico, probabilmente un terremoto, ha provocato la rottura e l’abbassamento del pavimento in opus signinum, l’abbassamento e la torsione del muro
Particolare dello scavo. Nella parte più antica, a sinistra nella foto, si nota come il piano di calpestio antico  fosse in origine più alto di un metro. Un evento catastrofico, forse un terremoto, ha provocato la rottura e l’abbassamento del pavimento in opus signinum, l’abbassamento e la torsione del muro.
Le altre strutture murarie visibili in foto (muri in ciottoli, plinto) sono state costruite secoli dopo sul pavimento in opus signinum  (foto F. Guandalini)

La ricerca iniziale, condotta per una tesi di dottorato in Archeologia da Francesca Guandalini, verteva sull’individuazione nel territorio collinare modenese di resti archeologici, in particolare nelle zone interessate da “salse”; queste sono pseudo-vulcanetti di fango, che grazie alla fuoriuscita di gas metano, eruttano, in modo discontinuo, acqua salata e fango. L’intento della ricerca era di comprendere quali fossero le dinamiche insediative antiche riscontrabili vicino ai campi di salse, la cui produzione di fango salato rappresentava una risorsa alimentare e medicinale importante per il mondo antico.
Proprio nei recessi della terra di Montegibbio, in località il Poggio, ameno borghetto situato alcune centinaia di metri a sud rispetto alla salsa di Montegibbio, era custodita una risposta agli interrogativi archeologici menzionati.
Da anni, in alcuni campi del Poggio, in seguito alle arature emergevano “cocci antichi”, la cui presenza aveva fatto ipotizzare agli abitanti del borgo l’esistenza di un’abitazione alquanto antica. Tra gli osservatori più attenti e appassionati alle vicende di Montegibbio, si è subito distinta, per passione ed entusiasmo, la famiglia Ottani che con le proprie ricerche ha contribuito a svelarne i segreti. Grazie a queste indicazioni e allo studio del materiale archeologico raccolto e consegnato alla Soprintendenza per i Beni Archeologici dell’Emilia-Romagna è nata l’esigenza di approfondire la conoscenza di questo sito. Ciò è stato possibile con l’apertura di due saggi di scavo svoltisi nel 2006 e nel 2007, promossi dal Comune di Sassuolo, e condotti da Francesca Guandalini sotto la direzione scientifica della Soprintendenza, nelle persone del Soprintendente Dott. Luigi Malnati e dell’archeologo Dott. Donato Labate.

Sesterzio di Alessandro Severo (221-235 d.C.) rinvenuto durante scavo. Zecca di Roma, emissione del 231 d.C. (foto R. Bernadet)
Sesterzio di Alessandro Severo (221-235 d.C.) rinvenuto durante scavo. Zecca di Roma, emissione del 231 d.C. (foto R. Bernadet)

Le due campagne di scavo, l’ultima delle quali appena terminata, hanno fornito interessantissimi nuovi dati, sebbene ancora preliminari, sulla Sassuolo e Montegibbio romana. Gli studi condotti hanno goduto, tra l’altro, dell’interessamento di professori di geologia, mineralogia e paleontologia dell’Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia La mostra dunque nasce dal desiderio delle Istituzioni e dei tanti appassionati, volontari e studiosi che hanno partecipato alle prime ricerche archeologiche, di far conoscere ai visitatori le potenzialità storiche ed archeologiche nascoste nel territorio di Montegibbio, con la speranza che da questo inizio possano nascere nuove ricerche e studi. Lo scavo è stato finanziato non solo da sponsor ma da un forte volontariato.
I mezzi meccanici per l’apertura dello scavo sono stati forniti gratuitamente da alcuni abitanti di Montegibbio, lo scavo veniva spesso condotto al sabato e alla domenica per permettere ad alcuni abitanti di Montegibbio appassionati di archeologia di poter aiutare e partecipare alle operazioni, sempre sotto il diretto controllo dell’archeologa che sovrintendeva ai lavori. Inoltre per raccogliere finanziamenti è stata organizzata una grande cena con una pesca i cui premi erano oggetti donati da alcuni importanti negozi di Sassuolo.

Gli scavi
Nella parte di abitato individuata al Poggio sono state rilevate ben quattro fasi insediative succedutesi nel tempo. Di tali fasi all’interno dello scavo sono state lasciate come testimonianze tangibili i muri.
La prima fase, quella più antica, nella pianta altimetrica in azzurro e in verde, è costituita da una grande stanza (5 m x 5,5 m) con pavimento in opus signinum delimitato sui quattro lati da muri costruiti in laterizio e pietre squadrate (circa 50 cm di larghezza). Il muro orientale conserva ancora la soglia d’ingresso costituita da un unico blocco in pietra. Questa prima stanza fa parte di un complesso abitativo molto ampio, presumibilmente databile al I sec. a.C., riferibile ad una villa romana urbano rustica.
La prima fase fu presumibilmente distrutta da una scossa di terremoto che provocò un evidente collasso del pavimento e delle strutture murarie che lo delimitano. Osservando la pianta, infatti, si nota uno sprofondamento subito da questo ambiente da nord a sud di circa 1 metro.

Particolare del pavimento in opus signinum caratterizzato da evidenti rotture riferibili al terremoto
Particolare del pavimento in opus signinum caratterizzato da evidenti rotture riferibili al terremoto (foto F. Guandalini)

Su questa prima struttura sono state costruite quelle successive. In epoca imperiale, dopo circa due secoli di abbandono delle strutture della prima fase coperte dal crollo del tetto e colmate da un consistente deposito colluviale di argilla, vengono costruiti, presumibilmente nel III secolo d.C., labili e piccoli muretti in laterizi disposti a taglio (30 cm di larghezza).
Poco dopo, tra IV-III secolo d.C., viene costruito un ambiente aperto, forse un portico, chiaramente visibile dalla presenza di due plinti, cioè basi quadrate in laterizi usati per sorreggere le colonne, allineati tra loro nord sud.
Al V-VI secolo d.C. è databile l’ultima fase insediativa caratterizzata da muri in ciottoli e da un grande basamento in laterizi, riferibili ad una struttura abitativa di tipo rurale. In questo periodo viene chiuso l’ambiente aperto delimitato dai plinti, i quali però non vengono distrutti ma sfruttati all’interno dei suddetti muriccioli.

Materiale ceramico e chiave in ferro. Il materiale esposto nella mostra copre un arco cronologico compreso tra il I secolo a.C. e il V secolo d.C. (foto R. Bernadet)
Materiale ceramico e chiave in ferro. Il materiale esposto nella mostra copre un arco cronologico compreso tra il I secolo a.C. e il V secolo d.C. (foto R. Bernadet)

La fase più antica dell’abitato rinvenuto al Poggio è riferibile ad un ambiente di una grande villa urbano rustica presumibilmente edificata nel corso del I sec. a.C. Per villa urbano rustica si intende un’abitazione complessa estesa su un’ampia superficie di terreno (fino a 1 ettaro) costituita sia da ambienti residenziali, sia da ambienti rustici. In particolare la documentazione pregressa sulle ville attestate nelle colline modenesi restituisce evidenze significative sul lusso degli arredi, e in alcuni casi, sulla presenza di ambienti di tipo termale.
Nella pars urbana della villa risiedeva il dominus, cioè il signore, mentre nella pars rustica i servi che si occupavano della produzione agricola, dell’allevamento e del buon funzionamento degli impianti produttivi. Anche in questo caso, nell’insediamento individuato al Poggio, accanto alla villa, nello scavo del 2006, sono stati rinvenuti i resti di una fornace, attiva sul territorio a partire dalla fine del II sec. a.C. L’impianto si occupava non solo della produzione di laterizi utilizzati per la costruzione della villa stessa, ma anche di anfore per contenere olio e vino e di dolia, grossi vasi utili per la conservazione delle derrate alimentari.
Tra i reperti riferibili alla fornace si segnalano numerosi distanziatori fittili di forma cilindrica e alcuni frammenti di “orieni” cioè tubuli usati per costruire le volte non solo delle fornaci ma anche di edifici pubblici e privati.
L’ambiente della villa individuato durante lo scavo del 2007 è costituito da un bel pavimento in opus signinum. L’opus signinum è un tipo di pavimentazione costituita da una base formata da calce mescolata a frammenti di terracotta, decorato da tessere di mosaico sparse, regolarmente intervallate o disposte a formare un disegno geometrico, oppure da frammenti di marmi o pietre bianche o colorate. Il termine opus signinum deriva dalla città di Segni (Signa), vicino a Roma, dove le fonti antiche raccontano fosse stato inventato questo tipo di pavimento.
Il pavimento individuato durante lo scavo è di forma rettangolare della larghezza di 5 m x 5,5 m di altezza. La decorazione è molto simile ad un tappeto, infatti è costituita da una cornice esterna formata da un meandro di svastiche a giro semplice e quadrati, delineato da una fila di tessere bianche. Al centro di ogni quadrato è una rosetta. Questa fascia decorata è delimitata al di sopra da due linee di tessere, la prima nera, la seconda bianca. La decorazione interna è costituita da file ortogonali di crocette formate da quattro tessere bianche e una tessera centrale nera, che creano l’effetto di una rosetta. Pavimenti di questa tipologia rinvenuti nell’ambito della Regio VIII (l’attuale Emilia) sono datati nel corso del I sec. a.C.
La stanza individuata faceva indubbiamente parte della dimora signorile ma l’indagine archeologica, per ora limitata, non consente di comprendere la funzione di questo ambiente, poiché la pianta e la struttura dell’intera villa sono ancora ignote.

Plinio il Vecchio, Montegibbio e le “salse”
Plinio il Vecchio, nato nel 23 d.C. a Como e morto a causa delle esalazioni sulfuree fuoriuscite durante la famosa eruzione del Vesuvio che distrusse la città di Pompei nel 79 d.C., fu un grande storico ed enciclopedista romano.
Nel suo testo più famoso, la “Storia Naturale”, Plinio ricorda un evento portentoso che sconvolse il territorio di Modena. Nel II libro, al passo 199 Plinio scrive: “È avvenuto una volta- come personalmente riscontro nei testi della dottrina etrusca- un enorme prodigio di terre nella regione di Modena, sotto il consolato di Lucio Marcio e Sesto Giulio [91 a.C.]: due montagne, cioè, si scontrarono con grandissimo fragore, balzando avanti e retrocedendo, e tra di loro fiamme e fumo salivano al cielo in pieno giorno; assisteva dalla via Emilia, una gran folla di cavalieri romani, con il loro seguito, e di viaggiatori. Per il cozzo furono distrutte tutte le case di quelle campagne, e moltissime bestie, che si trovavano nel mezzo, rimasero uccise: si era un anno prima della guerra sociale, che potrei definire più funesta per questa terra d’Italia anche rispetto alle guerre civili.”
L’evento portentoso, citato da Plinio, viene interpretato dalla maggior parte degli studiosi, come una descrizione verosimile di un’eruzione di fango associata a fenomeni sismici.
Tale eruzione è probabilmente riferibile all’attività della salsa di Montegibbio, che, in base alla documentazione storica raccolta, con cadenza regolare continuò a manifestare la propria potenza fino alla metà del 1800. Le “salse” sono pseudo-vulcanetti di fango, che grazie alla fuoriuscita di gas metano, eruttano, in modo discontinuo, acqua salata e fango.
Nell’ultima “esplosione” della salsa, documentata nel 1835, lo studioso Giovanni De’ Brignoli di Brunnhoff così ricorda una eruzione accompagnata a scosse di terremoto: “si innalzò ad un’altezza valutata di circa 41,480 metri (braccia 80) una colonna di denso fumo, entro di cui scintillavano alcune fiamme di colore giallo-rosso-azzurrognolo, videro ancora che dal vertice di quella densa colonna formatasi uno spruzzo a guisa di pioggia, spargendo sassi voluminosi e fango a considerabile distanza mostrante la portata dell’eruzione”.
Alla fine dell’Ottocento l’attività della salsa cessa. Tra coloro che ne osservarono lo spegnimento si ricorda lo studioso Giovanni Canestrini che in un articolo la descrive come “oscura ed ingloria… non è che una buca, irregolarmente circolare, di un metro e mezzo nel maggiore diametro e di 75 cm di profondità massima…”.
In base alla documentata attività della salsa di Montegibbio è probabile che un evento portentoso simile a quello ricordato da Plinio trovi una prova archeologica tangibile nella fase più antica dell’abitazione romana scavata in località il Poggio di Montegibbio, dove è documentato un evidente collasso delle strutture murarie e pavimentali provocato da uno sconvolgimento del terreno databile, ancora in via ipotetica, al I sec. d.C.
Il cono della salsa di Montegibbio, attualmente inattiva, è localizzato qualche centinaio di metri prima del castello, lungo “Via salsa di sopra”. Un osservatore attento può ancora riconoscere l’antica cresta di questo sopito cratere di fango.

 

Promosso da:

Città di Sassuolo e Soprintendenza Archeologia dell'Emilia-Romagna con il contributo di SAT, Manfredini e Schianchi srl, Circolo Boschetti Alberti Montegibbio, Geogrà, Balnea Terme di Salvarola

Quando: da sabato 7 a domenica 29 luglio 2007  (solo sabato e domenica)
Inaugurazione sabato 7 luglio alle ore 20
Orari:

sabato dalle ore 21 alle 23
domenica dalle ore 16 alle 19
Tutte le domeniche, alle ore 17, visite guidate a cura della dott.ssa Francesca Guandalini che ha condotto gli scavi sotto la direzione scientifica della nostra Soprintendenza

Costo biglietto:

gratuito

Città: Sassuolo, località Montegibbio
Luogo: Castello di Montegibbio
Indirizzo: Via XX Settembre n. 122
Provincia: Modena
Regione: Emilia-Romagna
Per informazioni: Servizio Attività Culturali del Comune di Sassuolo tel. 0536.1844766
IAT Sassuolo tel. 0536.1844853