Forlì al crocevia della
preistoria di Romagna
mostra archeologica a cura di Monica Miari, Annalisa Pozzi e Luciana Prati
Forlì, Musei San Domenico
Piazza Guido da Montefeltro 12
scarica il pieghevole della mostra (PDF Acrobat Reader)
dal 23 ottobre al 5 dicembre 2010
inaugurazione sabato 23 ottobre ore 11.00
orari: da martedì a venerdì 9.30 – 17.30
sabato, domenica e 1 novembre 10.00 – 18.00
chiuso il lunedì
La mostra nasce dalla collaborazione fra Soprintendenza Archeologia dell'Emilia-Romagna e Comune di Forlì, ed è resa possibile dalla disponibilità della Fondazione Cassa dei Risparmi di Forlì. Curata dalle archeologhe
della Soprintendenza,
Monica Miari e Annalisa Pozzi, e da Luciana Prati, dirigente del servizio Pinacoteca e musei del
Comune di Forlì, espone per la prima volta i risultati di alcune
tra le più recenti ed eccezionali scoperte della preistoria forlivese.
A quasi 15 anni dalla mostra “Quando Forlì non c'era. Origine del territorio e
popolamento umano dal Paleolitico al IV sec. a.C.”, realizzata nell’autunno del
1996, una nuova esposizione illustra al pubblico i risultati inediti delle
ultime scoperte.
Per la sua posizione geografica, il territorio di Forlì ha costituito per
millenni un punto incontro tra i diversi aspetti culturali provenienti dai
territori padani, adriatici e centro-italici.
Il percorso espositivo ha inizio con i
corredi delle tombe della necropoli dell'età del Rame (datata tra il IV e il III
millennio a.C.) rinvenuta in località
Quattro, alla periferia occidentale di Forlì; prosegue con i materiali
dell'abitato del Bronzo Antico di Via Ravegnana, degli inizi del II millennio
a.C. e del coevo ripostiglio di San Lorenzo in Noceto, e si conclude con
l'esposizione dei 200 bronzi del ripostiglio di Forlimpopoli, deposto nella
prima metà del IX sec. a. C.
L'età del Rame ha inizio nella pianura padana intorno alla metà del IV
millennio. È connotata dalla diffusione delle nuove
tecniche per la fusione e la lavorazione del metallo, dalla comparsa di
importanti innovazioni, fra cui l’invenzione della ruota e dell’aratro e da
nuove forme di spiritualità evidenti nelle statue stele e nelle raffigurazioni
rupestri che fanno costante riferimento al sole e alle armi.
Nel quadro molto complesso offerto dall’Italia per questo lungo periodo, che
dura fino alla fine del III millennio a.C., le testimonianze note in Romagna
apparivano fino ad oggi particolarmente lacunose, essendo costituite in gran
parte da rinvenimenti sporadici di asce a martello in pietra levigata, pugnali e
punte in freccia in selce, poche attestazioni da abitato (Via Decio Raggi a
Forlì, Fornace Cappuccini e il Persolino a Faenza) e a carattere funerario
(Borgo Rivola, nella valle del Senio). Unica la testimonianza offerta dalla
Panighina di Bertinoro, ove le genti dell'età del Rame costruirono un profondo
pozzo ligneo per captare una sorgente di acque minerali, le cui virtù
terapeutico-sacrali dovettero costituire un forte elemento di richiamo anche
oltre Appennino.
Nuove scoperte stanno oggi restituendo dati di estremo interesse. Pochi
chilometri a nord della Panighina, in località Provezza di Cesena, è stato
portato in luce un villaggio agricolo con capanne a pianta absidata, attivo nel
corso del III millennio a.C., mentre l'eccezionale rinvenimento della necropoli
di Via Celletta dei Passeri, individua Forlì come uno dei centri più importanti
della preistoria della regione.
La necropoli dell'età del Rame di via Celletta dei Passeri
(dott.ssa Monica Miari)
Intorno alla metà del IV millennio ha inizio nella pianura padana l’età del
Rame, connotata dalla diffusione delle nuove tecniche per la fusione e la
lavorazione del metallo.
Nel 2009 è stata scoperta, alla periferia sud-occidentale di Forlì, la più
estesa necropoli eneolitica dell'Emilia-Romagna.
Gli scavi hanno messo in luce più di 70 tombe a inumazione: i defunti
erano sepolti distesi supini e recavano ai piedi, come corredo funerario, un
recipiente ceramico, generalmente una brocca.
In alcune tombe erano deposti anche pugnali e asce di rame, rivelando il ruolo
di guerriero rivestito da alcuni membri della comunità, mentre le punte di
freccia in selce, di lavorazione raffinata, dovevano costituire l'armamento
degli arcieri.
Gli scavi si sono svolti a più riprese tra l’estate del 2009 e quella del 2010.
L'esplorazione della necropoli è ancora incompleta, dal momento che essa
prosegue oltre i confini dell'area interessata dai lavori. Ne conosciamo
comunque l'ampiezza, avendone intercettato i limiti in tutte le direzioni: il
sepolcreto dovrebbe avere un'ampiezza complessiva di circa 5.000 mq.
Le tombe sono distribuite in modo non omogeneo: in particolare si possono
individuare due aree di maggiore concentrazione, poste rispettivamente a ovest e
a est di una piccola fossa (T. 21) contenente solo poche ossa sparse pertinenti
a un adulto.
Le fosse sepolcrali non si sovrappongono tra loro, il che fa pensare che
dovessero esistere dei segnacoli fuori terra che ne consentivano il
riconoscimento nel tempo.
Gli inumati sono deposti supini, distesi, generalmente con le braccia lungo il
corpo. Solo l'individuo della tomba 5 risultava disteso, ma prono. Dalle
osservazioni condotte in fase di scavo si è evidenziato come alcune sepolture
presentassero chiare tracce di riapertura delle fosse in antico: la
manipolazione e l'asportazione dei parti selezionate delle ossa del defunto pare
quindi da ricondursi a pratiche rituali, ben note nelle necropoli eneolitiche
dell'Italia centrale e meridionale, legate ad aspetti complessi del culto degli
antenati.
Quasi tutte le deposizioni sono accompagnate dal corredo funebre. Il corredo
ceramico è costituito generalmente da un singolo vaso, a foggia di brocca o
boccale, deposto ai piedi del defunto. Sette tombe si distinguono per la
presenza, nel corredo, di asce e pugnali di rame, di accurata fattura. Le asce
sono a margini piatti, tallone rettilineo e taglio convesso più o meno espanso;
i pugnali, del tipo Remedello a lama triangolare e codolo monoforato, erano
deposti ai piedi dell'inumato o sul torace.
Asce e pugnali costituiscono simboli di potere che distinguevano all'interno
delle comunità il rango di alcuni individui: l'ipotesi è avvalorata dalla
presenza, in alcuni casi, di ornamenti di pregio, come il diadema in argento
rinvenuto nella tomba 42.
La presenza di pugnali in selce e in rame, di asce e alabarde nel corredo
funerario doveva, inoltre, sottintendere una sfera di significati non
semplicemente riconducibili al ruolo di guerriero. Se pur nettamente prevalente
nelle sepolture maschili, ne è attestata infatti la presenza anche in sepolture
di individui con caratteri antropologici femminili, come nel caso della tomba 1
di Spilamberto, in cui la defunta è accompagnata da un pugnale in rame e due
punte di freccia in selce o in quello delle tombe 27 e 75 di Forlì, con ascia e
pugnale di rame. Possiamo quindi ipotizzare che nel rituale funerario di queste
necropoli dovessero confluire simbologie più complesse, legate al potere
detenuto da alcuni membri all'interno della comunità.
Ventitré tombe (circa un terzo del totale) hanno restituito punte di freccia in
selce, in numero oscillante da una a tre e in posizione variabile all'interno
della fossa. In alcuni casi si è osservato, in fase di scavo, come le cuspidi
fossero raggruppate una sull'altra, tanto da far pensare alla presenza, in
origine, di una faretra in materiale deperibile.
Sulla loro funzione, vuoi di armi di combattimento vuoi di particolari tipi di
caccia, tutte le ipotesi sono aperte. Anche in questo caso rimane attestato,
comunque, come esse ricorrano sia nelle tombe maschili che femminili, sia in
quelle di adolescenti.
Una fossa rettangolare, situata al centro del gruppo orientale di sepolture, ha
rivelato in fase di scavo una sorpresa inattesa. Nonostante le dimensioni e la
forma della struttura, in nulla dissimili dalle altre tombe della necropoli,
essa celava al suo interno esclusivamente la sepoltura di un piccolo animale.
L'analisi osteologica ha rivelato trattarsi della deposizione, volontaria e in
giacitura primaria, di un cucciolo di cane, di età compresa tra i quattro e sei
mesi.
Nella preistoria italiana le deposizioni di cani costituiscono un fenomeno assai
comune, attestato fin dal Neolitico antico. La loro presenza registra un
incremento nel corso dell'età del Rame, generalmente in relazione a tombe sia di
adulti che di bambini: ne è stato quindi sottolineato il ruolo sia di animale da
guardia, posto a difesa del sepolcro, vuoi di animale da compagnia, sepolto
insieme al suo “padrone”, vuoi ancora di aiutante di cacciatori e pastori .
Nel caso di Forlì risalta il suo legame non tanto con un singolo individuo,
quanto con la necropoli nel suo insieme, o per lo meno con le tombe del gruppo
orientale. Risulta, quindi, ancora più accentuata la valenza simbolica e rituale
che la sepoltura – forse il sacrificio – di un giovane esemplare di cane –
doveva costituire per la comunità antica.
L'inizio dell'età del Bronzo, sviluppatasi fra gli ultimi secoli del
III millennio e il XVII secolo a.C., si caratterizza come un’epoca di grandi
mutamenti socio-economici, segnalati dal pieno affermarsi della metallurgia,
dalla crescita demografica e dal sorgere di grandi villaggi.
Ben conosciuto a nord del Po dalle palafitte della «cultura di Polada», in
Romagna il Bronzo Antico è noto dagli abitati di Valle Felici di Cervia e di
Cattolica, cui si aggiunge oggi il villaggio di via Ravegnana, a Forlì.
La frequentazione delle grotte che si aprono nella Vena dei Gessi era invece
finalizzata a usi funerari e cerimoniali come testimoniato dalla Tanaccia di
Brisighella e dalle grotte del Re Tiberio e dei Banditi.
Tra il XVIII e il XVII sec. a.C., compaiono i “ripostigli”, un accumulo di
oggetti di bronzo occultati in luoghi isolati con funzione di tesoretti o
deposti presso corsi e specchi d'acqua come depositi votivi.
I luoghi di rinvenimento sembrano indicare un percorso proveniente dalla
Penisola e diretto verso i valichi alpini.
Il villaggio dell'antica età del Bronzo di via Ravegnana
(dott.ssa Monica Miari)
L’antica età del Bronzo, a partire dal 2200 a.C., si caratterizza come
un’epoca di grandi mutamenti socio-economici, segnalati dal pieno affermarsi
della metallurgia, dalla crescita demografica e dal sorgere di grandi villaggi.
L'abitato di via Ravegnana, rinvenuto tra il 2008 e il 2009 nel corso dei lavori per la tangenziale, è
caratterizzato da una regolare organizzazione degli spazi: le ampie abitazioni a
pianta absidata sono edificate secondo allineamenti paralleli, mentre,
intervallate alle case, le aree di servizio ospitavano piccoli magazzini,
recinti e pozzi.
L'insediamento è stato esplorato su un'ampia fascia, per una superficie
complessiva di 6.000 mq.
Le case a pianta absidata sono quattro, lunghe 20-22 metri e larghe 6: sono
visibili le tracce di infissione dei grandi pali che chiudevano il perimetro
esterno, mentre le travi che sorreggevano il tetto erano sostenute da file di
pali centrali.
Solo un'abitazione è a pianta rettangolare, di dimensioni comunque simili a
quelle delle case absidate.
Strutture più piccole, a forma sia circolare che quadrangolare, dovevano
costituire piccoli magazzini, recinti o palizzate di protezione di focolari
esterni. Buche di scarico e pozzi per la captazione dell'acqua si trovavano,
infine, in una zona depressa e maggiormente umida dell'insediamento, in
corrispondenza di un antico corso d'acqua non più attivo.
I materiali rinvenuti in via Ravegnana, se pur non molto numerosi e fortemente
frammentari, si inseriscono bene nel panorama noto delle produzioni ceramiche
dell'antica età del Bronzo del Bolognese e della Romagna. Segnaliamo la presenza
di boccaletti a con carena bassa, con confronti tra i materiali del Bronzo
antico di Faenza - Fornace Cappuccini e del Farneto di Bologna, di tazzine a
profilo sinuoso, attestate a Borgo Panigale, di vasi decorati a cordoni lisci e
anse a gomito con prolungamento più o meno accentuato.
Forlì, Via Ravegnana - Planimetria del villaggio dell'antica età del Bronzo
Il ripostiglio dell'antica età del Bronzo di S. Lorenzo in Noceto
(dott.ssa Monica Miari)
Diffusi tra il XVIII e XVII sec. a.C., i “ripostigli” di oggetti di bronzo
costituivano tesoretti o depositi votivi.
Il ripostiglio di bronzi di San Lorenzo in Noceto venne rinvenuto nel 1674 nei
pressi della riva del fiume Rabbi, lungo uno dei tracciati a lunga percorrenza
che da oltre Appennino conduceva alla Pianura Padana.
Al
momento della scoperta si contavano una quarantina di asce (ne rimangono solo
due) a margini rialzati, tallone semicircolare con incavo e taglio espanso, e
cinque o sei pugnali a manico fuso, tutti purtroppo dispersi.
Dalla documentazione sopravvissuta possiamo però intuire come la complessità
tecnologica, il pregio del materiale e la ricchezza della decorazione dei
pugnali fossero destinati ad esprimere il prestigio dei loro possessori.
Insieme a questi oggetti furono conservati, come provenienti dal territorio,
anche altre asce.
Per la documentazione d'archivio si fa riferimento a "Storia di Forlì di
Sigismondo Marchesi, 1678 (BCFo, Forlivesi 255, pagg. 809-810)
Il ripostiglio di bronzi di Forlimpopoli
(dott.ssa Annalisa Pozzi)
Con il Bronzo Finale si registra la ripresa dell'usanza di deporre bronzi in
luoghi isolati, con importanti novità rispetto alle fasi precedenti.
I depositi di bronzi sono ora non solo più numerosi, ma caratterizzati da un
numero maggiore di pezzi, da una notevole varietà di oggetti - dalle armi agli
ornamenti e agli utensili – e da una presenza spesso preponderante di reperti
frammentari uniti a pani di bronzo e lingotti.
Il ripostiglio rinvenuto nel 2003 a Forlimpopoli, è costituito da più di 200
pezzi (asce, fibule, impugnature di spada, frammenti di cinturone e di vasi in
lamina metallica ) databili all'età del Bronzo Finale (XI_X sec. a.C.).
Al momento del rinvenimento gli oggetti (tutti in bronzo) erano distribuiti in
due distinti nuclei distanti circa 50 cm l’uno dall’altro, elemento che fa
supporre che gli oggetti fossero raccolti e deposti in contenitori in materiale
deperibile, ad esempio in pelle, non conservati.
La composizione del ripostiglio è molto eterogenea: si riconoscono numerose
armi, asce, alcuni strumenti ed utensili, vasellame, oggetti da toeletta e
oggetti di ornamento, quali fibule, spilloni e parti di un cinturone.
La maggior parte dei bronzi è in condizioni frammentarie ma non mancano
esemplari integri. È stato inoltre possibile riconoscere in diversi casi un
danneggiamento intenzionale, come attesta il ripiegamento di spade, di fibule,
di coltelli, di lamine, o la deposizione di reperti con tracce di uso.
Da un punto di vista cronologico la maggior parte degli oggetti sembra
collocabile in un arco di tempo compreso tra l’XI ed il IX secolo a.C., con una
deposizione contemporanea dei due nuclei probabilmente agli inizi del IX secolo
a.C.
Il ripostiglio comprende circa 200 oggetti bronzei con un peso complessivo di
13,5 Kg. La principale caratteristica è la varietà dei materiali: questa
composizione lo rende simile ad altri ripostigli dell’Italia centrale datati tra
l’XI e gli inizi del IX secolo a.C. Si notano, infatti, analogie con i
ripostigli di Limone (LI) e di Poggio Berni (RN).
Tra le diverse classi di oggetti sono documentati con un’alta percentuale di
armi, asce e coltelli.
Numerosi frammenti di lame permettono di identificare spade con lunga lama da
fendente, alcune delle quali sottoposte ad un danneggiamento intenzionale. Non
mancano attestazioni di impugnature, alcune riconducibili al tipo Allerona,
diffuso in quasi tutto il territorio italiano con rinvenimenti concentrati nel
settore settentrionale e centrale. L’impugnatura caratterizzata da un pomo a
disco concavo interamente decorato con motivi geometrici è riconducibile alla
foggia transalpina tipo Stockstadt, importante documento delle affinità e delle
rotte commerciali con il mondo al di là delle Alpi.
Alle spade si aggiungono altre armi da offesa, quali punte di lancia e di
giavellotto con immanicatura a cannone ed un pugnale. L’unica arma da difesa
attestata è uno schiniere, ovvero un gambale di forma ovale utilizzato per la
protezione della parte inferiore della gamba. Lo schiniere è caratterizzato da
una decorazione geometrica a borchie e puntini e da una protome ornitomorfa
schematizzata, che restituisce la forma di una testa di uccello.
All’interno del ripostiglio sono state deposte numerose asce insieme a diversi
strumenti ed utensili. Le asce, che potevano essere usate come strumenti da
lavoro o come armi da battaglia, sono tutte esclusivamente inquadrabili come
asce ad alette.
Accanto alle asce, all’interno del ripostiglio, sono stati deposti alcuni
strumenti ed utensili riconducibili ad attività di tipo artigianale. La presenza
di scalpelli e di una lima richiama attività pertinenti alla lavorazione del
legno, mentre un unico frammento di falcetto, probabilmente inquadrabile nel
tipo Contigliano attestato anche nel ripostiglio di Poggio Berni, ricorda
attività di tipo agricolo.
Tra gli utensili si rileva una certa quantità di coltelli, il cui stato
particolarmente frammentario permette per uno solo di essi l'inquadramento
tipologico. Si tratta di un coltello con manico a codolo, che presenta su una
faccia della lama un motivo con rombi e triangoli alternati, e sul dorso una
decorazione con trattini incisi disposti a spina di pesce. Il coltello è
avvicinabile al tipo Bismantova, largamente diffuso nell’Italia settentrionale e
centrale.
Un’altra categoria di materiali rappresentata all’interno del ripostiglio con
un’alta percentuale è quella degli elementi legati alla sfera
dell’abbigliamento. Accanto alla deposizione di un cinturone, di spilloni e di
bracciali, significativa è la grande quantità di fibule.
La maggior parte delle fibule, spille utilizzate per fermare le vesti, è di
piccole dimensioni ed è caratterizzata da un arco semplice liscio o ritorto. Si
tratta di una tipologia variamente diffusa, di cui quella con arco ritorto trova
paralleli nel mondo egeo. Qualche fibula è stata sottoposta ad un ripiegamento
intenzionale, mentre alcune sono state raccolte in piccoli gruppi ed inanellate
nell’ago di un’altra fibula. Oltre a questi oggetti di ornamento, per fissare le
vesti erano utilizzati anche gli spilloni, oggetti in metallo di diverse
tipologie distinguibili in base alla forma della capocchia.
L’elemento più significativo è il cinturone deposto in due frammenti all’interno
del ripostiglio. Si tratta di un accessorio dell’abbigliamento femminile di
particolare pregio e distinzione sociale, costituito da una placca in lamina
bronzea decorata, leggermente incurvata per aderire al corpo all’altezza della
vita.
Tutta la superficie del cinturone presenta una decorazione geometrica a sbalzo
ed incisa scandita da fasce rettilinee parallele e con due cerchi concentrici,
interpretabili come dischi solari. Il cinturone trova puntuali confronti, sia
per la forma, sia per la decorazione, con quelli di tipo Kapelna diffusi a
nord-est delle Alpi, dalla Slovenia all’Ungheria.
|
|
Bronzi dal Ripostiglio di Forlimpopoli |
La presenza di oggetti da toeletta all’interno del ripostiglio è documentata
da due rasoi lunati, di cui si conserva solo il manichetto e parte della lama.
Sono riconducibili al tipo Fontanella, peculiare dell’area veneta e variamente
diffuso nel settore padano.
All'interno di entrambi i nuclei del ripostiglio sono stati recuperati numerosi
frammenti di lamine, alcune guarnizioni e rivetti, che attestano la presenza di
vasellame in bronzo. Lo stato frammentario rende difficile il riconoscimento dei
diversi tipi di vasi, ma sembrerebbero riconoscibili un colatoio ed una situla e
probabilmente anche una tazza ed un calderone.
Tra questi vasi quello più importante è il colatoio, in quanto documento dei
rapporti con il settore transalpino. Le caratteristiche del vaso, ovvero la
presenza dei fori sulla vasca, funzionali all’utilizzo quale colatoio, e le due
anse a maniglia rimandano ad esemplari di produzione nord-ungherese.
Il ripostiglio di Forlimpopoli rivela dunque importanti elementi, come la spada
tipo Stockstadt, il cinturone tipo Kapelna e questo colatoio, connessi con il
mondo al di là delle Alpi, indizio di importanti rapporti con questi territori.
La composizione del ripostiglio si completa con alcuni oggetti, le cui
caratteristiche o lo stato frammentario non permettono una facile comprensione.
In particolare si fa riferimento ai tre puntali caratterizzati da due fori
contrapposti e decorati con tratti incisi a spina di pesce, che trovano
confronti al di là delle Alpi ed in Italia con un esemplare dal ripostiglio di
Coste del Marano, ma di cui non è chiara la funzione.
Testi: Monica Miari, Annalisa Pozzi, Luciana Prati
Apparato grafico: Agnese Mignani, Vanna Politi (SAER)
Apparato fotografico: Roberto Macrì (SAER); Ambra Raggi (Comune di Forlì)
Restauri: Enrico Bertazzoli, Mauro Ricci, Virna Scanecchia, Micol Siboni,
Monica Zanardi (Laboratorio SAER); Cristina Leoni (La Fenice - Archeologia e
Restauro s.r.l.); Florence Caillaud
Scavi
Necropoli di Via Celletta de' Passeri (Forlì): direzione scientifica Monica
Miari (SAER); committente Ministero Infrastrutture e Trasporti; ditte esecutrici
La Fenice - Archeologia e Restauro s.r.l., Akanthos s.r.l.
Abitato di Via Ravegnana (Forlì): direzione scientifica Monica Miari (SAER);
committente ANAS; ditte esecutrici Akanthos s.r.l.; Akube s.n.c.; Kronos Studio
Associato
Ripostiglio di Via XXV Ottobre (Forlimpopoli): direzione scientifica Chiara
Guarnieri (SAER); committente Bennet s.p.a.; ditta esecutrice Akanthos s.r.l.
Segreteria: Flora Fiorini, Giovanna Giottoli, Angelica Mazzotti, Roberta
Vannucci
Realizzazione apparati: Defilu’s – Filippo Gardini
Allestimento: Flora Fiorini, Luciana Fiumicelli, Mario Foschi, Adolfo
Irmi, Claudio Rocchi
Guardiania: Le Macchine Celibi, Bologna
Luci : DF Elettrotecnica – Luigi Di Maggio
Assicurazione: INA Assitalia, Agenzia di Forlì
Visite guidate e laboratori didattici:
Direzione scientifica: Monica Miari, Luciana Prati
Carolina Ascari Raccagni, Silvia Cicognani, Claudia Lotti, Cecilia Milantoni,
Luigi Mazzari
Ufficio stampa: Carla Conti (SAER); Mario Proli (Comune di Forlì)
Grafica manifesto e depliant: Sergio Spada
Si ringrazia Alessandro Lucchi per la preziosa collaborazione