IL VETRO DI PIETRA
IL LAPIS SPECULARIS NEL MONDO ROMANO: DALL'ESTRAZIONE ALL'USO
mostra
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Mostra didattica

manifesto mostra FaenzaIL VETRO DI PIETRA
IL LAPIS SPECULARIS NEL MONDO ROMANO:
DALL'ESTRAZIONE ALL'USO

dal 26 settembre al 22 novembre 2015

Museo Civico di Scienze Naturali "Malmerendi"
via Medaglie d’Oro n. 51
Faenza (RA)

lunedì, giovedì e sabato 9-12 e 15-18
domenica 15-18

Ingresso a offerta libera

Il lapis specularis è un minerale brillante che ha la caratteristica di sfogliarsi in strati sufficientemente sottili da fare passare la luce, presentando quindi le stesse caratteristiche del vetro. I Romani ne facevano ampio uso, destinando alla sua estrazione persino i bambini, gli unici a potersi infilare anche nelle cavità più anguste. Veniva usato soprattutto per le finestre degli edifici pubblici o privati ma anche per serre, alveari o lettighe.

In occasione della presentazione del volume curato da Chiara Guarnieri "Il vetro di pietra. Il lapis specularis nel mondo romano dall’estrazione all’uso", il Museo Civico di Scienze Naturali "Malmerendi" di Faenza inaugura l'omonima mostra didattica aperta fino al 22 novembre.

La mostra espone la ricostruzione di materiali e oggetti usati per l'estrazione del lapis specularis nelle cave spagnole e romagnole: ceste in sparto, gerle in legno, elementi di abbigliamento di lavoro, frammenti di lapis lavorato, calchi e riproduzioni di oggetti.
Sono esposti e messi a confronto anche frammenti di lapis specularis provenienti delle due diverse cave di Segobriga, in Spagna, e Brisighella, Vena del Gesso Romagnola, in Italia.
La mostra è promossa da Comune di Faenza, Gruppo Speleologico Faentino, Speleo GAM Mezzano - RA, Soprintendenza Archeologia dell'Emilia-Romagna, Federazione Speleologica Regionale dell'Emilia-Romagna, Parco Regionale della Vena del Gesso Romagnola e Centro Culturale "M. Guarducci", con il contributo di Fondazione Banca del Monte e Cassa di Risparmio di Faenza
Le riproduzioni spagnole sono state realizzate dall'Associazione "C passuum circa Segobriga urbem", quelle italiane dallo "Speleo Gam Mezzano" (RA)

mostra didattica
L'allestimento della mostra didattica nel Museo di Scienze Naturali "Malmerendi" di Faenza
info@museoscienzefaenza.it   -  tel. 338 160 0208

Nella sua Naturalis Historia (XXXVI, 160-161) Plinio elenca le principali cave di lapis nel bacino del Mediterraneo: Turchia, Tunisia, Cipro, Spagna e Italia, in Sicilia ed in prossimità della città di Bologna. Dopo la scoperta della Grotta della Lucerna  nel Parco della Vena del Gesso Romagnola, identificata coma una cava di lapis specularis utilizzata fin dall'epoca romana, la Soprintendenza Archeologia dell'Emilia-Romagna e il Parco della Vena del Gesso Romagnola hanno condiviso e discusso con la comunità scientifica i dati della ricerca nella cava brisighellese in un convegno internazionale i cui atti sono confluiti nel volume presentato a Faenza il 26 settembre 2015.

La Grotta della Lucerna si trova a poca distanza dal Monte Mauro. Al suo interno sono stati trovati frammenti di brocche, piccoli contenitori ma soprattutto un notevole numero di lucerne, alcune delle quali integre o parzialmente frammentate, che si datano dalla prima età imperiale alla tarda antichità; è stata rinvenuta una moneta dell’imperatore Antonino Pio (138- 161 d.C.).
Altri materiali sono stati recuperati nell'edificio in legno e argilla di età romana (I sec. d.C.) scoperto presso Cà Carnè, struttura di servizio dell'attività estrattiva delle cave di lapis specularis. Qui sono state trovate olle, coppe e bicchieri in ceramica, una zappa in ferro, un dado in pietra e un frammento di lamina in bronzo argentato, raffigurante forse una divinità.
Ulteriori materiali sono poi stati rinvenuti nel territorio del Parco della Vena del Gesso Romagnola: tra questi segnaliamo un raro bollo laterizio e numerosi altri reperti dall’età protostorica al Medioevo rinvenuti nella Grotta dei Banditi.
Come attesta anche Plinio il Vecchio, l'intera Vena del Gesso era un distretto minerario della Roma Imperiale.  Nella Grotta della Lucerna sono ancora perfettamente visibili le “tracce” del lavoro dei cavatori (minatori): nicchie per lucerne, ancoraggi per funi e carrucole, alloggiamenti per pali, sostegni dove posare le ceste o appoggiarsi per poter scavare più comodamente, scivoli, gradini, sistemi di movimentazione del materiale estratto e di trasporto in superficie.
Nell'inverno 2005, a poca distanza dalla cava, in località Ca`Carnè, è stato poi scoperto il piccolo edificio di età romana, di circa 81mq legato allo sfruttamento delle cave di lapis specularis.
La Vena è costituita da un lungo affioramento gessoso che si estende per circa 25 chilometri in direzione nordovest–sudest (dall’imolese a Brisighella) nel quale sono state esplorate fino ad oggi oltre 200 grotte per uno sviluppo complessivo che supera i 40 chilometri.
Non tutto l’affioramento poteva essere utilizzato per estrarre lapis specularis: requisiti fondamentali ricercati dai romani per ottenere lastrine a imitazione del vetro erano la dimensione dei cristalli (almeno alcuni decimetri) e la perfetta trasparenza.

Il lapis specularis, la Grotta della Lucerna, l'edificio romano di Cà Carnè e il Parco Regionale della Vena del Gesso Romagnola
Sono molte le fonti scritte dell'antichità che parlano del lapis specularis. La maggior parte dei documenti risale al I-II secolo d.C., epoca in cui questo minerale inizia ad essere impiegato su larga scala. Oltre a Plinio il Vecchio, ne parlano Isidoro di Siviglia e alcuni passi di Filone, Seneca, Columella, Petronio, Marziale, Giovenale, Plinio il Giovane e Ulpiano. In epoca tardo antica l’uso è testimoniato da Lattanzio, Girolamo e Basilio di Cesarea e da alcuni documenti epigrafici, tra cui l’Edictum de pretiis di Diocleziano.
Nella Historia Naturalis, Plinio, elenca chiaramente i differenti luoghi d’estrazione del lapis specularis: “…Et hi quidem sectiles sunt, specularis vero….Hispania hunc tantum citerioe olim dabat…et Cipros et Cappadocia et Sicilia et numper inventum Africa..et in Bononiensi Italiae parte breves…” ( Plinio, Nat. Hist., XXXVI, 45, 1 – 9)
Dunque Cipro, Turchia, Tunisia, Italia -vicino a Bologna e in Sicilia- e soprattutto Spagna, in particolare la Spagna Citerior, nell'area attorno alla città di Segobriga.
Due tipi di indicatori archeologici hanno permesso di identificare con certezza la Grotta della Lucerna come una cava di lapis specularis: i segni estrattivi e i materiali archeologici. I segni estrattivi sono le evidenti tracce lasciate dall'estrazione sia nella grotta che sui manufatti; si pensi ad esempio a scivoli e gradini che agevolavano il lavoro nella cava e trovano confronto in situazioni meglio conosciute come quelle spagnole. I materiali archeologici finora rinvenuti all'interno della cava indicano un excursus cronologico piuttosto ampio che inizia nella piena età imperiale per arrivare sino alla tarda antichità: si tratta in particolare di alcuni esemplari di lucerne, di cui una integra che ha dato il nome alla cava, frammenti di vasellame di varia natura e di una moneta di Antonino Pio.
Nel 2005 alcuni lavori realizzati nell'area di Cà Carnè, all'interno del Parco della Vena del Gesso Romagnola, hanno portato alla scoperta casuale di un edificio rustico di età romana. La struttura era stata costruita nel corso del I secolo d.C. e era stata abitata per circa un secolo, subendo anche una consistente ristrutturazione che ne aveva ampliato l'estensione. L'edificio utilizzava come fondazioni il banco di gesso mentre l'intera struttura era realizzata con pareti in mattoni di argilla cruda e pali portanti in legno. Il tetto era in tegole e coppi.
La sua insolita posizione, in un'area non votata all'insediamento, e i numerosi materiali archeologici rinvenuti al suo interno, anche di una certa qualità, sembrano confermare un suo utilizzo legato allo sfruttamento delle cave di lapis specularis.
Se da un lato la presenza della Vena del Gesso Romagnola ha agito come fattore limitante per l’agricoltura o il pascolo, dall'altro ha favorito lo sfruttamento minerario di lungo periodo, dall’età romana ad oggi, tradizionalmente legato in primis all’uso della selenite come materiale da costruzione e, una volta cotta e macinata, come legante o intonaco.
Le cave e le fornaci da gesso, presenza abituale nel paesaggio locale, hanno avuto sino alla metà circa del XX secolo un impatto ambientale tutto sommato ridotto sui quadri paesistici, salvo poi diventare negli ultimi decenni, complice la meccanizzazione e l’aumento vertiginoso dei volumi estratti, uno dei principali problemi per la salvaguardia dei gessi romagnoli.
Ma il binomio gesso-comunità residente non si è esaurito solo sul piano economico-produttivo. L’estrazione del gesso nella Vena, radicata secolarmente, ha infatti avuto sino al recente passato importanti riflessi sociali (i mestieri tradizionali del “gessarolo” e del fornaciaio, ma anche i birocciai specializzati nel trasporto del minerale), fino a divenire parte integrante dell’identità locale e un fatto culturale, sia immateriale che materiale: basti pensare alla particolare venerazione attestata a Brisighella per San Marino, patrono dei cavatori, oppure al cospicuo patrimonio archeologico industriale dell’area (cave e fornaci ottocentesche e novecentesche).
Oggi, chiusa la maggior parte dei siti estrattivi della Vena del Gesso, il profondo legame tra la comunità locale e l’attività estrattiva è ormai declinato al passato e rischia di indebolirsi. Una delle sfide dei prossimi decenni sarà proprio il mantenimento di tale memoria e il recupero, la musealizzazione e la divulgazione delle emergenze culturali connesse al gesso: in questo contesto, il Parco Regionale della Vena del Gesso Romagnola assumerà necessariamente un ruolo centrale.


Il vetro di pietra. Il lapis specularis nel mondo romano dall'estrazione all'uso
a cura di Chiara Guarnieri
Per l'acquisto del volume in oggetto rivolgersi a
Casa editrice Carta Bianca Editore, Faenza (RA) - Tel. +39 0546 621977 - cartabiancaeditore@virgilio.it
oppure  a Massimo Ercolani (Federazione Speleologica Regionale dell’Emilia-Romagna) massimoercolani@gmail.com
Per l'acquisto a Bologna:
Libreria IBIS, via Castiglione 11/13 
Volumina, Libreria Archeologica Commissionaria e Studio Bibliografico, via Arienti 2
Per la sola consultazione, il volume è già stato ricevuto dalle biblioteche del:
- Dipartimento di Archeologia (Bologna)
- Dipartimento di Storia Antica (Bologna)
Il volume fa parte della collana DEA - DOCUMENTI ED EVIDENZE DI ARCHEOLOGIA, clicca qui per la scheda