il mare, le acque, il luogo della pesca
La pesca nell’antichità

Nell'antichità furono dedicati alla pesca un gran numero di trattati e poemi didattici. Il più antico giunto a noi è il poema in cinque atti di Oppiano, Halieutica, scritto verso il 180 a.C. circa. Oppiano, nato sulle coste della Cilicia, ebbe modo di conoscere direttamente la vita quotidiana dei pescatori, trasferendo queste conoscenze nella sua opera.
Le tecniche della pesca rimasero praticamente immutate per tutta l’antichità. Gli autori hanno adottato una suddivisione in quattro tipi, che divenne una costante nella trattazione del tema: la pesca con l’amo, con la rete, con la nassa e con la fiocina.
La pesca con l’amo (
(i4FJDgÆ") era una tecnica ampiamente esercitata anche per diporto. Essa veniva praticata applicando l’amo ad un filo di lino, di crini di cavallo o di peli di maiale, prediligendo il colore bianco o neutro. Sul filo, prima dell’amo, erano inseriti un galleggiante ed un peso. Molta attenzione veniva dedicata alle modalità di utilizzo delle esche. Generalmente per i pesci di piccola taglia erano scelti degli insetti mentre per quelli di dimensioni maggiori erano utilizzati pesci più piccoli. Venivano usate pure esche artificiali, composte da piume e da pezzetti di lana rossa. L’estremità del filo poteva essere tenuta in mano, modalità prediletta nella pesca di esemplari di grossa taglia da un’imbarcazione, o applicata ad un’asta in canna, legno o metallo.
Nel secondo tipo di pesca erano impiegate reti di vario tipo (vedi Opp., Hal., III, 80 ss.). Tra queste, l’
:nÆ$80FJD@< (funda, jaculum), corrispondente all’odierno giacchio, che aveva la forma di imbuto, con pesi posti all’estremità e corda centrale, e veniva lanciata sull’acqua. Un altro tipo di rete, che presentava varietà diverse, è la F"(²<0 (sagena, verriculum, tragula, tragum) o rete verticale da pesca, utilizzata come l’odierno tramaglio. Essa era di forma rettangolare e veniva trascinata, così da formare una sacca entro cui erano intrappolati i pesci.
Il terzo tipo di pesca prevedeva l’utilizzo della nassa (
iÛDJ@l, nassa), realizzata in vimini e di forma e congegno del tutto simili agli odierni. La nassa era consigliata in presenza di fondali rocciosi o ricchi di vegetazione.
La pesca con la fiocina o con il tridente (
iÏ<J4@<, Jk4"\<", fuscina, tridens) richiedeva invece una certa abilità ed era utilizzata per i pesci di grossa taglia. Nella forma più comune la punta centrale del tridente risultava sopraelevata mentre quelle laterali potevano essere perfettamente verticali od oblique. All’estremità dell’immanicatura dello strumento poteva essere inoltre fissata una corda per aumentarne la gittata.

Accanto a queste tecniche, comuni in tutta l’antichità, potevano essere adottati accorgimenti ed espedienti diversi a seconda del tipo di pescato. Per catturare ad esempio i pesci che solitamente vivono nascosti in anfratti veniva creato un nascondiglio artificiale calando sul fondo una fascina fermata da pietre (Opp., Hal., IV, 419; Ael., NA, XII, 43). I pesci così attirati erano poi presi con la pesca all’amo.
Oltre a queste, gli autori antichi talvolta consigliano altre pratiche di pesca, legate maggiormente a credenze o superstizioni, come quella che voleva i pesci attratti dalla musica, per cui si poteva ricorrere anche al suono degli strumenti ed al canto (Ael., NA, VI, 31-32 e XII, 43; Strabo, XVIII, 799).

a cura di Carla Corti