Il pittore Benvenuto Tisi fu detto il Garofalo dal 
paese d'origine di suo padre, situato nel Polesine di Rovigo. Nato probabilmente 
a Ferrara nel 1481, certamente vi morì il 6 luglio 1559. Il Vasari lo dice 
allievo di Domenico Panetti ferrarese anche se nelle prime opere si intravede 
chiaramente l'influenza del Boccaccino (di cui lasciò la bottega nel 1499 per 
recarsi a Roma). «Freschezza e grazia distinguono alcune sue opere giovanili in 
cui i vari elementi appresi dal Boccaccino e dalla precedente scuola ferrarese, 
principalmente da Lorenzo Costa, vengono assimilati e quasi illeggiadriti da una 
sensibilità che si compiace di forme delicate e gentili, rallegrate vivacemente 
dal colore come nel caso degli affreschi nel Palazzo di Ludovico il Moro.... Poi 
nello sforzo di raggiungere una grandiosità alla moda ma non intimamente 
sentita, il pittore smarrì le sue doti naturali...». Le sue opere sono sparse 
ovunque ma soprattutto nelle gallerie di Ferrara, Modena, Roma e Dresda. 
Al Garofalo è attribuito anche il mirabile soffitto dell'Aula Costabiliana in 
cui l'arte del Mantegna sembra ricongiungersi a quella del pieno rinascimento; 
opera del momento più felice e ispirato del Garofalo, non lontana dagli 
affreschi del Seminario ferrarese (1519)

Il cielo in una stanza: particolare dell'affresco della "Sala del Tesoro" di 
Palazzo Costabili
Il 27 giugno 2007 il Ministero per i Beni e le Attività 
Culturali, la Soprintendenza per i Beni Archeologici dell’Emilia-Romagna, la 
Soprintendenza per i Beni Architettonici e il Paesaggio per le province di 
Ravenna, Ferrara, Forlì-Cesena e Rimini, il Seminario Arcivescovile 
dell’Annunciazione di Ferrara e la Fondazione Cassa di Risparmio di Ferrara 
hanno presentato i restauri di quelle che possono essere considerate tra le più 
belle volte affrescate ancora esistenti a Ferrara: quelle dell'Aula Costabiliana, 
detta "Sala del Tesoro", a Palazzo Costabili sede del Museo Archeologico 
Nazionale, e quelle delle "Sale del Garofalo", nell'ex Seminario Vecchio in via 
Cairoli 32. I due cicli pittorici sono accomunati dalla mano di Benvenuto Tisi 
da Garofalo, detto il Garofalo. 
La tradizione vuole che Palazzo Costabili, commissionato da Antonio Costabili a 
Biagio Rossetti, dovesse ospitare lo Sforza, marito di Beatrice d’Este, nel caso 
si fosse resa necessaria la sua fuga da Milano; la sopraggiunta morte di 
Ludovico e gli eccessivi oneri economici di tale impresa interruppero nel 1503 i 
lavori che non furono mai completati.
La datazione della volta e la sua attribuzione al Garofalo sono ancora oggetto 
di studio, anche se è certo che la realizzazione dell’affresco avvenne in due 
momenti diversi. Il soffitto, databile tra il 1503 e il 1506, raffigura una 
scena di vita contemporanea animata da musici, putti e animali, affacciati da 
una balaustra, oltre la quale si apre un cielo turchino, attraversato da festoni 
di frutta. Al centro di quest’apertura illusionistica vi è una finta 
architettura che, raccordata al poggiolo da motivi a volute, funge da copertura 
e al tempo stesso da decorazione. La pittura del soffitto è stata raccordata 
alle pareti verticali, intorno al 1517, tramite la realizzazione di lunette, 
vele e pennacchi nei quali è illustrato il Mito di Eros ed Anteros. Tale 
soggetto, scelto dallo stesso Antonio Costabili, fu d’ispirazione per Garofalo e 
i suoi collaboratori nella veste poetica approntata dall’umanista Celio 
Calcagnini, stretto amico del Costabili.
  

Palazzo Costabili. Sala del Tesoro o Aula Costabiliana: particolari degli 
affreschi attribuiti al Garofalo
Pitture insigni, quelle della volta dell'Aula Costabiliana, 
unanimemente attribuite a un men che trentenne Benvenuto Tisi. Lo testimonia il 
nome stesso attribuito a questa stanza, da sempre nota come "Sala del Tesoro". 
Situata presso il portico di mezzogiorno di Palazzo Costabili, sede del Museo 
Archeologico Nazionale, l'Aula Costabiliana è di forma leggermente rettangolare 
ed è fregiata in alto da 18 lunette a chiaroscuro con scene mitologiche 
riferibili al tema di Eros e Anteros, o dei due Amori. La splendida volta, con 
finta cupola a spicchi, è affrescata con scene della vita di corte di 
ispirazione mantegnesca. Da un’ampia balconata, tra festoni di fronde, si 
affacciano una trentina di personaggi assorti in lieti conversari, alcuni con 
strumenti musicali in mano; tappeti anatolici da preghiera pendono dalla 
balaustra. L'insieme di putti, animali, figure maschili e femminili stagliati 
sullo sfondo di un cielo appena velato da nuvole crea un effetto da "sfondamento 
del soffitto" davvero simile a quello mirabilmente realizzato a Mantova dal 
Mantegna.
Se sia stata in origine una sala da musica, come suggeriscono recenti ipotesi di 
studiosi, non è dato sapere. Quel che è certo è che nel 1870 risulta usata come 
deposito o legnaia mentre otto anni più tardi la Commissione Governativa per la 
conservazione di monumenti e di belle arti la trova adibita a granaio. 
Acquisita nel 1920 dallo Stato, con l'intero palazzo, l'aula è stata da allora 
oggetto di numerosi lavori per lo più finalizzati a ripristinare l'assetto 
statico degli elementi murari di supporto ai dipinti. Nel 2004, grazie ad una 
convenzione con la Fondazione Cassa di Risparmio di Ferrara, sono stati avviati 
i lavori di consolidamento strutturale della volta e di restauro degli 
affreschi, sostenuti finanziariamente dalla stessa Fondazione Carife.  

L'Aula Costabiliana prima del restauro (foto di Roberto Macrì, 2005)
Non lontano da Palazzo Costabili, in via Cairoli 32, si trova l'ex Seminario Vecchio. Qui, in quelle che vengono chiamate le "Sale del Garofalo", si può ammirare l’altro ciclo pittorico oggetto dei restauri. Il nucleo primitivo dell’edificio fu commissionato da Leonello d’Este che lo donò nel 1444 al suo Maestro di Camera Folco di Villafuora, nobile ferrarese ritratto anche da Mantegna. Dopo alterne vicende il palazzo passò ai Sacrati che, ammirando probabilmente la “Sala del Tesoro”, tra il 1519 e il 1520 commissionarono al Garofalo questo ciclo decorativo. Entrando da via Cairoli, il primo ambiente ospita un soffitto decorato a lacunari geometrici, impreziositi da grottesche e racemi. Il soffitto è raccordato ai piani verticali delle pareti per mezzo di lunette con relative vele e pennacchi, raffiguranti forse allegorie delle Virtù, delle Arti Liberali e delle Stagioni, la cui leggibilità risulta, nonostante i restauri, largamente compromessa. Nell’ambiente attiguo, si può ammirare un secondo soffitto, a doppia volta, decorato con soggetti mitologici e biblici, inframmezzati da grottesche e volute. Al centro, riproponendo il modello mantegnesco della Camera degli Sposi, si affacciano da un poggiolo una serie di personaggi che si stagliano su un cielo terso.
Pagina a cura di Carla Conti