Gli scavi nell'area del Centro Oncoematologico Ospedale SMN
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Soprintendenza per i Beni Archeologici dell’Emilia-Romagna

Relazione a cura dell'archeologo Marco Podini (marco.podini@beniculturali.it )

Recuperati due acquedotti di Regium Lepidi nell’area dell’Arcispedale di Reggio Emilia
Il più antico, già individuato nel 1998, è in corso di scavo
L’altro, una condotta idraulica con pozzetto d'ispezione, è stato rinvenuto all’inizio del 2012 durante le indagini archeologiche preventive: rimosso dal terreno, è in attesa di restauro.
Entrambi gli acquedotti sono databili alla prima età imperiale (fine I sec. a.C. - fine I secolo d.C.) e servivano ad alimentare alcuni balnea (gli antichi bagni romani) oppure fontane e giardini della zona
Saranno valorizzati ed esposti al pubblico

Descrizione generale dello scavo e delle strutture rinvenute
Veduta dall'altro dell'area dove deve sorgere il nuovo polo ospedaliero
Scavi eseguiti dalla Soprintendenza nel 1998 nell'area dell'ospedale di Reggio Emilia, avevano individuato a circa 4 metri di profondità una condotta idrica di età romana costituita da due corsi di terracotta paralleli tra loro.
Così quando l’Azienda Ospedaliera Arcispedale S. Maria Nuova da deciso la costruzione in quell’area del nuovo Centro Oncoematologico, la Soprintendenza per i Beni Archeologici dell’Emilia-Romagna ha disposto una serie di indagini preventive (nella primavera 2010) che puntualmente hanno intercettato un altro tratto della medesima struttura.
A questo punto la Soprintendenza ha subordinato l’ok all'avvio del cantiere all’esecuzione dell’indagine archeologica integrale del manufatto (con sbancamento di tutta l’area destinata alla costruzione dell'ospedale), per poterne verificare l'estensione e il grado di conservazione, e garantirne l'adeguata documentazione, sia ai fini della tutela che della valorizzazione.
Queste nuove indagini (effettuate tra gennaio e febbraio 2012) hanno intercettato un secondo acquedotto, rinvenuto un poco più a sud e a una quota più superficiale rispetto all’altra condotta, e quindi riferibile a un diverso periodo, probabilmente più recente.
Il pozzo d'ispezione che serviva sia per la manutenzione del condotto che per la depressurizzazione dell'acquaIl secondo manufatto è un impianto idraulico a una sola conduttura, dotato di pozzetti di ispezione di forma circolare (ne è stato trovato uno) in cui si innesta la tubatura fittile. I pozzetti servivano sia per la manutenzione del condotto che per la depressurizzazione dell’acqua, ed erano posti a distanze regolari: secondo Vitruvio (De Arch. VIII 6, 3) ce n’era uno ogni 35 metri mentre secondo Plinio il Vecchio (N.H. XXXI 57) la distanza era più o meno il doppio, cioè circa 70 metri.
Il dato indubbiamente interessante è che già nel 1888, in un settore poco più a sud-est della città, l’allora conservatore del Civico Museo, Giovanni Bandieri, aveva rinvenuto una struttura del tutto identica, incluso il pozzetto d’ispezione. Considerato l'orientamento della struttura appena emersa e le dimensioni degli elementi fittili (del tutto identiche a quelle riportate dal Bandieri) è plausibile possa trattarsi dello stesso acquedotto.
Sia l’acquedotto a conduttura singola con pozzetti d’ispezione, che quello a doppia conduttura (posto a una quota più bassa) sono verosimilmente riferibili alla prima età imperiale romana (fine I a.C.- I d.C., al più tardi inizi II d.C.).
In attesa di studi più approfonditi, possiamo già fare alcune osservazioni di carattere generale.
In primo luogo, considerato che si tratta di strutture di portata limitata e in terracotta (e dunque meno resistenti alla pressione dell'acqua rispetto, ad esempio, a condutture in piombo o a vere e proprie strutture in muratura), in entrambi i casi non può trattarsi dell'acquedotto principale di Regium Lepidi bensì di impianti che verosimilmente alimentavano strutture minori, come ad esempio fontane di giardini o piccole terme.
In secondo luogo, questa nuova scoperta fornisce l'ulteriore conferma che la zona sud-est della città fosse l’area preferenziale per la captazione dell'acqua. A tale riguardo, Aldo Borlenghi (archeologo specialista in infrastrutture ed edilizia di epoca romana) ha avanzato alcune ipotesi, evidenziando in quest'area la presenza sia del Rio Acqua Chiara che di acque sorgive. La questione è ancora aperta e queste ultime indagini archeologiche contribuiscono ad ampliare il quadro conoscitivo.
Un ulteriore elemento di riflessione è fornito dal ritrovamento di numerosi bolli laterizi, sia nei coppi di copertura superiore, che in quelli a sezione quadrata alloggiati direttamente a terra (in cui scorreva l'acqua). Il dato interessante è che si tratta di bolli "diversi" (almeno 10 differenti tipi di bolli), il che apre una serie di considerazioni sui rapporti fra la committenza che ha progettato e finanziato l'opera (quasi certamente pubblica) e le varie officine di produzione di laterizi a cui è stato affidato il lavoro. Naturalmente si tratta di un tema che andrà studiato e approfondito dagli esperti di questa materia
Rimosso alla fine di febbraio l’acquedotto più recente, si sta procedendo allo scavo archeologico di quello già individuato nel 1998

Perché il manufatto è stato rimosso
La condotta asportata alla fine di febbraio 2012
L’opera rilevata non è in muratura e non é neppure particolarmente complessa: presenta una struttura ripetitiva che in parte è stata asportata ma che resta in situ nei tratti che continuano sia in direzione nord-ovest che in direzione sud-est.
Trattandosi di materiale in terracotta, entrambi gli acquedotti potranno essere facilmente smontati e rimontati in una sede più idonea alla fruizione pubblica, quale un museo o, almeno in una prima fase, in un'area adibita a una mostra temporanea sul tema dell'acqua (vedi più sotto al punto ). Tenere la struttura negli scantinati dell'ospedale, significherebbe privarla della fruizione pubblica e di un’adeguata valorizzazione mentre trasferire i manufatti in altra sede è certamente la soluzione più opportuna per dargli la massima visibilità.
Non è poi pensabile (come accaduto altrove, ad esempio al Novi Sad di Modena) portare gli acquedotti all'aria aperta nell’area esterna all'ospedale, un’operazione che creerebbe grossi problemi di conservazione: strutture di questo tipo vanno tenute in spazi chiusi o al limite protetti.

Quale restauro
Le operazioni di smontaggio e trasporto del manufatto sono state seguite dalla restauratrice della Soprintendenza per i Beni Archeologici dell’Emilia-Romagna, Antonella Pomicetti, , che fornirà indicazioni anche nelle future operazioni di rimontaggio. Spetta a lei il compito di valutare lo stato di conservazione della struttura (che al momento appare discreto), predisporre un dettagliato progetto di restauro e indicare le operazioni da effettuare per garantire al meglio la tutela del manufatto.
I restauri saranno effettuati dalla ditta Archeosistemi di Reggio Emilia sotto la direzione scientifica del laboratorio di restauro della Soprintendenza per i Beni Archeologici dell’Emilia-Romagna
Esperti della Soprintendenza effettueranno inoltre le analisi biologiche dei reperti botanici (con particolare riferimento ai pollini) e zoologici rinvenuti durante lo scavo del condotto

Ipotesi di valorizzazione
Data l'importanza dei manufatti e l'interesse suscitato dal loro rinvenimento, sono attualmente in corso di studio interventi di valorizzazione: trattandosi di strutture in terracotta, l’asportazione dal luogo dei ritrovamento è stata relativamente agevole, così come relativamente facili si prospettano le operazioni di rimontaggio per la sua fruizione in uno spazio adeguato.
La Soprintendenza per i Beni Archeologici dell’Emilia-Romagna e i Musei Civici di Reggio Emilia stanno vagliando un’esposizione al pubblico strutturata in due fasi. La prima è legata all'allestimento di una mostra sul tema dell'acqua collegata all’esposizione itinerante “AQUAE”, che potrebbe toccare Reggio Emilia contestualmente all’inaugurazione del manufatto. La mostra, che potrebbe essere allestita presso il Chiostro di S. Domenico a Reggio Emilia, affronterà in senso diacronico tutti gli aspetti della gestione dell'acqua nel territorio reggiano, dai pozzi neolitici ai canali delle terramare dell'età del Bronzo, dai pozzetti dell'età del Ferro alla regimazione delle acque in età romana, dai canali rinascimentali alle grandi bonifiche di epoca recente. La mostra “AQUAE” servirà a introdurre le tematiche di quella di Reggio Emilia, il cui culmine è rappresentato dalla riproposizione del nuovo acquedotto romano rinvenuto presso l'ospedale.
La seconda fase (più lontana nel tempo) prevede il trasferimento dell'acquedotto presso i Musei Civici di Reggio Emilia dove è in atto un importante progetto di ristrutturazione degli spazi espositivi curato dall'architetto Italo Rota.


Sezione della struttura in cui si vede dal basso verso l'alto: fondazione in ciottoli, parte inferiore dell'acquedotto costituita da una sequenza di laterizi a sezione a Π rovesciata funzionale allo scorrimento dell'acqua; coppo di copertura