Tesserae versicolores. Il mosaico dalla Cattedrale di Reggio Emilia
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Ufficio stampa SBAER e Museo Diocesano di Reggio Emilia-Guastalla
14 marzo 2015

Cartella stampa

REGGIO EMILIA - Tra Bologna e Piacenza non c’è forse mosaico di IV secolo d.C. più importante di quello scoperto nella cripta della Cattedrale di Santa Maria Assunta di Reggio Emilia, un tappeto di pietra con raffinate scene mitologiche, danzatori, animali e motivi vegetali e geometrici tra i più interessanti di tutta l’Italia settentrionale per dimensione, raffinatezza e tecnica di realizzazione

Tesserae versicolores
Il mosaico dalla Cattedrale di Reggio Emilia

Sarà esposto per la prima volta al pubblico nel Museo Diocesano di Reggio Emilia (Via Vittorio Veneto 6) a partire dal 21 marzo 2015 in occasione della XXIII edizione delle Giornate FAI di Primavera e del XXI Colloquio AISCOM

L’oro dei gioielli, il blu intenso degli occhi, il verde delle piante, lo smeraldo delle collane, e poi i rossi, gli arancione e le infinite sfumature di bianco, nero e grigio che enfatizzano i dettagli.
Il mosaico di età tardo romana (IV secolo d.C.) scoperto nel 2009 sotto la cripta della Cattedrale di Reggio Emilia è un’esplosione di forme, geometrie e colori. Di estremo pregio e raffinatezza, sarà esposto per la prima volta al pubblico a partire da sabato 21 marzo 2015 nel Museo Diocesano di Reggio Emilia (Via Vittorio Veneto 6) in occasione della XXIII edizione delle Giornate FAI di Primavera e presentato in anteprima ai convegnisti del XXI Colloquio dell'Associazione Italiana per lo Studio e la Conservazione del Mosaico (AISCOM) che torna per l’occasione dopo vent’anni in Emilia-Romagna, proprio a Reggio Emilia, dal 18 al 21 marzo nelle tre sedi dell’Aula Magna dell’Università di Modena e Reggio Emilia, dei Musei Civici e della Cattedrale.
Rinvenuto negli scavi archeologici condotti nella cripta dal 2007 al 2009 questo splendido manufatto, forse uno dei più belli dell’Italia settentrionale, suscita più domande che risposte. Cosa rappresentano le coppie nude e ingioiellate raffigurate nei riquadri principali del mosaico? E il ricco contorno di danzatori e danzatrici, sontuosi volatili, pernici, pavoni, colombe, e i tanti elementi vegetali? Qual era la destinazione dell’esteso palazzo che si affacciava sul foro della città e soprattutto chi era il proprietario di quell’edificio in cui ogni singolo dettaglio esprimeva ricchezza, potere e autorità?

Vedita d'insieme del mosaico policromo rinvenuto a Reggio Emilia

Museo Diocesano in Via Vittorio Veneto 6 a Reggio Emilia
Ingresso gratuito  -  info 0522.1757930

Orari di apertura dal 21 marzo al 7 giugno e dal 5 settembre al 31 ottobre:
Martedì e Venerdì 9.30–12.30, Sabato e Domenica 9.30-12.30 e 15.30-18.30
Aperture straordinarie: 6 aprile, 1 maggio e 2 giugno 9.30-12.30 e 15.30-18.30
15, 16 e 17maggio 9.30-12.30 / 15.30-18.30 / 21.00-22.30
Orari di apertura dal 10 giugno al 26 luglio
Mercoledì 21.00 – 22.30, Venerdì 9.30-12.30 e 21.00-22.30, Sabato e Domenica 9.30-12.30 e 16.00-19.00
Chiuso dal 27 luglio al 4 settembre  -  Visite a richiesta beniculturali@diocesi.re.it
Il museo comunicherà non appena possibile gli orari di apertura dopo il 31 ottobre

L’ampio pavimento musivo di IV secolo d.C. scoperto nella Cappella dei Caduti a circa m. 2,5 di profondità ha una superficie di circa 25 metri quadrati. È un vero e proprio “tappeto di pietra”, probabilmente uno dei più belli del Nord Italia per il periodo tardo romano. Ha una decorazione policroma complessa e di notevole qualità, caratterizzata da un’alternarsi di elementi geometrici e figurati. Piccoli riquadri incorniciano pernici, colombe, pavoni e figure di danzatori e danzatrici mentre negli emblemi principali compaiono figure femminili e maschili nude ma riccamente ingioiellate.
Era il pavimento di una domus di notevole estensione che si affacciava sul foro di Regium Lepidi, un edificio di elevato pregio formale, certo di proprietà di un personaggio che poteva disporre di consistenti risorse e mezzi economici tali da consentirgli di partecipare alla vita politica cittadina o ricoprire importanti cariche pubbliche o civili.
Il mosaico policromo figurato era probabilmente il più prestigioso e rappresentativo dell’intera domus. Se il quadro d’insieme è spettacolare, è nei dettagli che questo manufatto rivela tutta la sua complessità: la struttura geometrica, i cerchi simmetrici interrotti da riquadri contenenti coppie di personaggi, contornati a loro volta da quadretti più piccoli contenenti danzatori con i cembali e danzatrici velate, le trecce policrome su fondo nero, e gli spazi tra i cerchi campiti con splendidi volatili ed elementi vegetali, nulla è lasciato al caso e tutto concorre a dichiarare il potere, il piacere e il gusto estetico del committente.
Lo svolgimento del disegno musivo consente di ipotizzare che il tappeto fosse costituito da una serie di riquadri (sicuramente quattro) disposti attorno a uno centrale, di dimensioni leggermente maggiori.
Il riquadro di sinistra contiene due personaggi, entrambi nudi ma con attributi che in qualche modo li caratterizzano. L’uomo con diadema, mantello e calzari chiodati, tiene nella mano sinistra un racemo (forse una palma) e con la destra offre alla dama due anatre vive. La donna con il capo velato da un manto che le ricade fino ai piedi, calza stivaletti rossi a punta ed è adornata da una collana a due fili, orecchini e armille alle braccia e ai polsi; si appoggia sinuosamente a un sostegno mentre scosta con leggerezza il velo dal capo e tiene con la mano destra per la lenza un pesce, probabilmente una carpa.
Anche il pannello di destra contiene una coppia nuda in assetto dinamico. La giovane donna danza reggendo un leggero panneggio appoggiato sui fianchi: è ingioiellata con collana, orecchini e armille, indossa calzature infradito e ha una corona di boccioli di rose poggiata sui capelli raccolti. L’uomo al suo fianco ha una corona di tralci d'edera e piccoli fiori rosa, e offre alla donna un fiore simile a quelli che le circondano il capo mentre regge nella mano destra un bastone ricurvo, un lituo o un pedum.
Del terzo pannello resta solo la porzione ridotta di una figura maschile reclinante sorretta da un personaggio di cui si intravedono soltanto le mani; la scena è racchiusa a sinistra da un tralcio vegetale con racemi curvilinei e foglie o frutti allungati e cruciformi.
I pannelli principali sono contornati da quadretti più piccoli, iscritti nei cerchi, con immagini di danzatori e danzatrici anch’essi nudi. I due danzatori suonano i cembali mentre la fascia legata alla vita si muove al ritmo del corpo; le capigliature sono rese a calotta e in una c’è un elemento simile a un diadema che raccoglie ancora di più i capelli. Anche le due danzatrici, forse menadi, sono raffigurate in nudità mentre si muovono sinuosamente al ritmo della musica tenendo in mano un velo.
La superficie lasciata libera dai cerchi e dai semicerchi è riempita da splendidi volatili (due pernici rosse, un pavone, un’allodola, due colombe sulla fontana, gazze sui rami) ed elementi vegetali.

Per eseguire il mosaico sono usate tessere di vario materiale e colore, per rendere vivace la resa complessiva del tappeto musivo e allo stesso tempo più sfumata la restituzione dell’incarnato delle figure e dei chiaroscuri.
L’uso di tessere in pasta vitrea di diverse tonalità, dal blu intenso al verde chiaro, e di lamina d’oro applicata su alcune tessere impreziosisce i particolari del disegno.
La capigliatura delle figure femminili è realizzata usando il doppio colore per rendere la piega dei capelli, una rappresentazione che si ritrova anche nei mosaici giustinianei di età più tarda e che ricorda le pettinature in vigore al tempo di Teodosio e di Galla Placidia. Allo stesso periodo rimanda anche il disegno della pupilla rivolta verso l’alto, tipica resa che si riscontra nella ritrattistica di IV secolo d.C., come pure la tipologia della fibula o la resa dei calzari, rappresentati nei mosaici della Villa del Casale a Piazza Armerina e in regione in quelli di Palazzo Gioia a Rimini e di Palazzo Pasolini a Faenza (datati al IV secolo d.C.).
L’insieme della composizione è di difficile lettura e la sua interpretazione è resa ancor più problematica non solo dalla mancanza del quarto pannello ma soprattutto di quello centrale che certamente conteneva la scena principale. I personaggi sono nudi o seminudi ma sempre con dettagli distintivi: la forma del diadema ricorda quelli degli imperatori rappresentati nell’iconografia ufficiale sulle monete e nella ritrattistica a partire dall’età costantiniana, gli oggetti o gli animali tenuti in mano dalle due coppie sembrano rimandare a un contenuto mitico-allegorico, forse gravitante nella sfera dionisiaca. Il giovane potrebbe raffigurare un Dioniso-Bacco con corona di edera e frutti, mentre la giovane donna potrebbe rappresentare Arianna o una ninfa. Anche i personaggi rappresentati nel pannello lacunoso possono rientrare in quest'ambito così come i danzatori che suonano i cembali e le menadi travolte dalla danza.
Più difficile individuare la simbologia sottesa nel riquadro di sinistra che, come il suo corrispondente, doveva collocarsi in posizione dominante rispetto a chi accedeva alla stanza. Anche se nel complesso sia questa che le altre coppie potrebbero ricondurre alla tipologia delle scene di corteggiamento, la resa delle figure, l’impiego di ornamenti preziosi, la presenza di animali come il pesce in mano alla donna, o le anatre e il racemo (forse una palma) in mano al personaggio maturo sembrano più riportare al tema dell’acqua e della terra, dello scorrere del tempo e delle stagioni. Rimandano all'ambito campestre anche i volatili distribuiti negli spazi tra i cerchi.

Dalla fase romana all’alto medioevo
Gli scavi condotti nella Cattedrale forniscono ulteriori informazioni sull’evoluzione urbana del municipio romano, evidenziando un’intensa attività edilizia e insediativa si protrae, senza soluzione di continuità, dalla tarda età imperiale all’età medievale.
La documentazione archeologica rivela come la città, ancora nella seconda metà del IV secolo d.C., non fosse in declino, ridimensionando il quadro di degrado della Regio VIII descritto nelle fonti quali la lettera di Ambrogio a Faustino.
La riorganizzazione dell’isolato, avvenuta dalla seconda metà del V secolo, è connotata da strutture che compongono un complesso unitario e articolato, probabilmente pertinenti alle prime fasi del complesso episcopale. La partecipazione del vescovo Favenzio al sinodo milanese del 451, fa supporre la presenza di una sede stabile all’interno della città e l’isolato assume quindi, da questo momento, una connotazione a carattere religioso.
Il primo complesso architettonico riconoscibile era costituito da più edifici, tra cui uno di culto, a tre navate con abside centrale, orientato liturgicamente. L’edificio religioso si sviluppava verso l’attuale Piazza Prampolini, mentre a est era collegato a un articolato corpo architettonico, forse pertinente al complesso episcopale, caratterizzato da poderose murature orientate est-ovest.
Nel tempo, sia la Chiesa che gli annessi al gruppo episcopale, furono interessati da importanti ristrutturazioni.
Queste attività documentano un uso prolungato dei vari corpi di fabbrica, dalla loro realizzazione tra la seconda metà del VI e gli inizi del VII secolo, fino all’VIII, quando un ulteriore intervento trasforma radicalmente l’isolato in seguito alla costruzione di un nuovo edificio di culto che va ad occupare l’attuale spazio della Cattedrale.
Sviluppatosi verso oriente, l’edificio risulta composto da un corpo semicircolare in facciata (che ingloba la precedente abside), da un’aula a tre navate, un transetto e un’abside centrale orientata.
La funzione della torre di facciata sembra duplice: in primo luogo di cappella funeraria, secondariamente di accesso alla chiesa superiore tramite scale elicoidali. Il complesso architettonico sembra essere stato costruito tra il IX e gli inizi del X secolo d.C., trovando confronti con architetture coeve del nord-Europa.


IL RESTAURO DELLA CATTEDRALE
Il complesso progetto di recupero avviato nel 2002 dal Comitato per il Restauro della Cattedrale di Santa Maria Assunta di Reggio Emilia ha visto il coinvolgimento diretto del Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo, attraverso l’intervento di tre diverse Soprintendenze di settore (Beni Archeologici, Beni Architettonici, Beni Artistici/Storici) che hanno operato in stretta collaborazione con la Diocesi di Reggio Emilia-Guastalla e l'Ufficio Diocesano Beni Culturali.
I lavori di recupero hanno indagato in modo approfondito una delle più antiche e importanti chiese della città, aprendo una finestra sulla storia di questo settore della città e fornendo nuovi importanti elementi sulle fasi più antiche di Reggio Emilia in epoca romana, fino al IX-X secolo quando sarà costruita l’attuale cattedrale.
Le indagini archeologiche finanziate dal Ministero per i beni e le attività culturali e dalla Fondazione Manodori si sono svolte sotto la Direzione Scientifica di Renata Curina, archeologa della Soprintendenza Archeologia dell’Emilia-Romagna, e sono state eseguite dalla Società Cooperativa ARS/Archeosistemi di Reggio Emilia e dalla Società ARAN Progetti di Genova.
In un primo tempo gli scavi si sono svolti all’interno della cattedrale e, in particolare, nella navata centrale e nelle due laterali; dal 2007 le indagini hanno riguardato anche il sagrato e la cripta. Nelle tre navate e sul sagrato le indagini hanno riportato in luce strutture, pavimentazioni e sepolture riferibili alle fasi di età altomedievale, medievale e rinascimentale della cattedrale, mettendo in risalto la particolare complessità costruttiva dell’edificio. In alcuni punti, le indagini si sono spinte fino ad una profondità di 4 metri circa, consentendo di riconoscere gli strati di crescita della città dall’età romana all’alto medioevo.
L’esposizione del mosaico è promossa da Soprintendenza Archeologia dell'Emilia-Romagna, dall’ufficio beni culturali e dal Museo della Diocesi di Reggio Emilia-Guastalla, dal Comitato per il restauro della cattedrale di Reggio Emilia.
Il restauro del mosaico è stato finanziato da Unindustria di Reggio Emilia.
Il distacco e i lavori di restauro sono stati eseguiti da Opus Restauri di Parma con la supervisione del laboratorio di restauro della Soprintendenza Archeologia dell'Emilia-Romagna (referente Monica Zanardi)

Il XXI Colloquio Aiscom (Reggio Emilia, 18-21 marzo 2015) è sostenuto dalla Fondazione Pietro Manodori, che contribuirà anche alla stampa degli atti del convegno, e dal Comune di Reggio Emilia

Informazioni scientifiche di Renata Curina, archeologa della Soprintendenza Archeologia dell’Emilia-Romagna, tel 051.223773


Cartella Stampa Invito a conferenza stampa - Contributi Museo Diocesano, FAI e Fondazioni Manodori

Museo Diocesano. Il meraviglioso tappeto di pietra “dalla Cattedrale” nel Museo Diocesano di Reggio Emilia
Le indagini archeologiche, svolte in anni recenti in concomitanza con il restauro della cattedrale di Reggio Emilia hanno confermato nelle linee generali quanto fin ad ora era stato formulato dagli studiosi sulle vicende della cattedrale, consentendo di ricostruire un quadro complesso per quanto riguarda le fasi di sviluppo urbanistico della città in epoca tardo-romana.
Il mosaico policromo rinvenuto nella Cripta doveva infatti appartenere a un edificio di notevole estensione, forse appartenente a un personaggio di spicco nella società politica; il complesso affacciava quasi sicuramente sul cardine che doveva delimitare ad occidente il comparto forense. Di questo complesso edilizio l’ambiente più importante, per dimensioni e composizione decorativa, doveva essere proprio quello caratterizzato dalla pavimentazione figurata policroma, la cui datazione si colloca nella seconda metà del IV sec. d.C.
Del grande pavimento originario, realizzato con piccole tessere in vari tipi di pietre e paste vitree e, in alcuni punti, con tessere in lamina d’oro, rimangono parte della cornice, costituita da una treccia a più colori, ed alcune parti del tappeto musivo, caratterizzato da una complessa decorazione policroma, di notevole qualità, che alterna elementi geometrici e figurati. Ampi cerchi e semicerchi, incorniciati da un torciglione policromo, contengono pernici, colombe, pavoni, gazze, piccole figure di danzatori e tre scene complesse.
Accuratamente restaurato dopo la sua rimozione dagli strati archeologici inferiori della cripta del duomo reggiano, il mosaico troverà collocazione espositiva nella sala del Museo Diocesano che ospita le opere provenienti dalla cattedrale, andando a tessere una suggestiva sinfonia di colori e forme con preziose testimonianze artistiche provenienti dalla massima istituzione diocesana: reperti altomedievali; la lastra dell’ambone antelamico; gli affreschi bizantini e il modellino ligneo rinascimentale della facciata dell’arciedificio; i sigilli dei vescovi reggiani dal XII al XVI secolo; pregevoli arredi liturgici e paraliturgici; e non ultimo il prezioso Liber Figurarum di Gioachino da Fiore, tesoro di inestimabile valore per la sua rarità e per le sue peculiarità culturali.
La presentazione alla Città del Mosaico avverrà il prossimo marzo 2015, in occasione del Convegno Internazionale sul mosaico AISCOM (Reggio Emilia, 18-21 marzo) in coincidenza con le Giornate FAI di Primavera (20-22 marzo).

FAI, Fondo per l'ambiente Italiano, delegazione di Reggio Emilia
Eccoci di nuovo al più importante appuntamento annuale della Fondazione rivolto a tutti i cittadini che amano l'arte e la natura, che in sostanza amano l'Italia. Il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella nel suo discorso di insediamento lo scorso febbraio ha detto: "...garantire la Costituzione significa promuovere la cultura diffusa e la ricerca di eccellenza. Garantire la Costituzione significa alitare i nostri tesori ambientali ed artistici...". Questa è la nostra mission, questo è lo spirito che da 23 anni anima le GIORNATE FAI DI PRIMAVERA: far conoscere per fare amare i nostri tesori, sia ambientali che artistici a tutti i cittadini d'Italia. A Reggio, a questi cittadini, che noi vogliamo sperare essere veramente tutti, insieme a tutti gli altri soggetti coinvolti, daremo l'opportunità di conoscere due tesori straordinari: il mosaico tardo romano rinvenuto in Cattedrale durante i restauri e Palazzo Scaruffi ora sede di rappresentanza della Camera di Commercio di Reggio Emilia, che è stato una delle più importanti dimore della Reggio del cinquecento. Del mosaico non dico nulla perché altri autorevoli oratori già hanno detto prima di me e per la storia del palazzo rimando alla scheda in cartella.
Mi preme invece sottolineare alcuni importanti altri aspetti: anche quest'anno si è portato avanti il programma dedicato ai giovani studenti e noto come APPRENDISTI CICERONI che porterà i ragazzi ad illustrare ai visitatori i beni aperti in occasione delle due giornate. Ben 4 sono le scuole che partecipano: il Liceo Scientifico Aldo Moro, Liceo Classico Scientifico Ariosto Spallanzani, il Liceo Artistico Chierici ed il Liceo Europeo Iess. Inoltre anche quest' anno alcuni dei ragazzi che partecipano al programma condurranno anche alcune 'VISITE IN LINGUA INGLESE rivolte alla comunità dei cittadini stranieri che vive nella nostra città o a quei turisti che timidamente iniziano a comparire anche nel nostro centro storico. Il progetto Apprendisti Ciceroni sta particolarmente a cuore alla Fondazione, perché siamo ben consci che per poter continuare, ed anzi aumentare la salvaguardia dei nostri beni, abbiamo sempre più bisogno dell'apporto delle giovani generazioni. Saranno proprio questi giovani che continueranno le nostre battaglie, che seguendo le parole del Presidente garantiranno la Costituzione.
Le giornate Fai di Primavera sono anche un momento di raccolta fondi ( è ormai chiaro a tutti che per combattere ci vogliono le armi e che quindi la Fondazione ha sempre più bisogno di essere sostenuta anche finanziariamente ) e quindi, come ormai consuetudine, il venerdì sera ci sarà la cena destinata alla raccolta fondi a favore del Fai che sarà ospitata nella splendida sede della Camera di Commercio a Palazzo Scaruffi che gentilmente ci è stata messa a disposizione e che si potrà realizzare grazie al sostanziale contributo di Mosaico+, azienda di Casalgrande, leader nella produzione dei mosaici moderni.
Infine continua la collaborazione con Fiab-Tutti in Bici che anche quest'anno, domenica 22 organizzerà una visita ai beni aperti arrivando sulle due ruote dopo una lunga biciclettata.
ORARI DI APERTURA:
Il mosaico tardo romano della Cattedrale — Sala della Cattedrale presso Museo Diocesano
Via Vittorio Veneto 6 — Sabato 21 e Domenica 22 marzo  Ore 10-12.30 e 15-17.30
Palazzo Scaruffi
ora sede di rappresentanza della Camera di Commercio
Via Crispi 3 - Sabato 21 e Domenica 22 marzo   Ore 10-12.30 e ore 15-17.30
Visite guidate APPRENDISTI CICERONI
In entrambi i siti VISITE IN INGLESE domenica ORE 15

IL MOSAICO RITROVATO. Il contributo della Fondazione Manodori
Quando sono affiorati i primi lacerti di mosaico nella cripta del duomo di Reggio Emilia, è apparso evidente che si era di fronte ad una scoperta di straordinario interesse. Le scene a soggetto dionisiaco richiamavano alla mente la convinzione degli scrittori rinascimentali locali che la chiesa fosse stata costruita su un tempio di Bacco. Non si trattava di una leggenda, dunque, ma di una notizia fondata, che rivelava come i mosaici fossero già stati individuati nel primo Cinquecento, quando si scavarono le fondamenta per le nuove absidi.
La qualità dell’opera e il mezzo millennio trascorso dalla prima scoperta, richiedevano che non si lasciasse passare invano l’occasione di recuperare un pregevole pezzo di storia locale.
“Per queste ragioni la Fondazione Manodori – spiega il presidente, Gianni Borghi – si è fatta carico dei costi per il completamento degli scavi e il recupero del mosaico, nella convinzione di compiere una scelta a vantaggio di tutta la comunità, arricchita di un’opera d’arte di grande bellezza e di sicuro interesse”.
L’esposizione del mosaico pavimentale nel Museo Diocesano costituisce, infatti, un ulteriore incentivo a fare di Reggio Emilia una tappa per i visitatori italiani e stranieri dell’Expo 2015.

La Soprintendenza Archeologia dell'Emilia Romagna segnala che, per quanto suggestiva, l'ipotesi della presenza di un edificio di culto dedicato a Bacco non ha al momento alcun riscontro oggettivo sul piano scientifico. Gli scavi archeologici evidenziano la presenza non di un tempio, ma di un importante complesso abitativo ai margini del foro, forse di proprietà di un rappresentante dell'aristocrazia locale. L'aula di vaste dimensioni pavimentata con il mosaico policromo figurato si potrebbe configurare come un ambiente di rappresentanza. La crescita della città e le sue modifiche urbanistiche nel corso del tempo escludono per ora la presenza di un edificio di culto.


Palazzo Scaruffi di via Crispi, oggi della Camera di Commercio
Palazzo Scaruffi, sede della Camera di CommercioPalazzo Scaruffi è stato per secoli la dimora di un ramo della importante famiglia reggiana degli Scaruffi. Gli Scaruffi, alias Baldicelli, già a partire dalla seconda metà di Quattrocento avevano in città una fiorente attività di commercio di stoffe e seta. Divennero poi nobili e successivamente vennero creati conti (con Gian Maria nel 1673). Il ramo in questione, come meglio vedremo, si estinse alla fine del XVII secolo.
Il primo nucleo abitativo del palazzo attuale fu acquistato da Gian Maria, Girolamo, Giulio, Gian Battista e Gasparo (quest’ultimo diverrà un famoso economista), figli di Antonio, il 13 ottobre 1533 da certo Pellegrino Lamberti.
Nei decenni successivi e fino alla fine del Cinquecento gli Scaruffi comprarono via via vari edifici attorno a quel primo insediamento, formando così un vero e proprio palazzo. La richiesta inoltrata al Comune nel 1574 e reiterata nel 1598 di allineare su via Crispi le varie case da loro possedute, evidenzia che il perfezionamento del palazzo attualmente esistente dovette avvenire proprio in quei decenni. L’abbellimento interno dell’edificio si deve probabilmente alla gestione di Gian Francesco, che divenne capofamiglia nel 1581, alla morte del fratello Alfonso. A quel periodo sono attribuibili il bel portale e l’arco pensile del portico conducente al cortile d’ingresso del palazzo. E così anche gli affreschi recentemente riscoperti a seguito di un restauro in una delle sale dell’edificio, attribuiti da Angelo Mazza alla bottega del frescante reggiano Orazio Perucci (1549-1631), e rappresentanti fra l’altro la favola di Amore e Psiche narrata nelle Metamorfosi di Apuleio.
Il balcone in marmo con la ringhiera in ferro fu realizzato nel marzo 1622, quando Girolamo e fratelli Scaruffi chiesero e ottennero licenza dal Comune di poter “fare in la facciata della lor casa sopra la porta una Renghiera di marmore di Verona”.
Un mese dopo, furono collocate in corrispondenza di due nicchie ancora esistenti a fianco del portale di ingresso le due famose statue opera di Prospero Sogari detto il Clemente rappresentanti Ercole e Marco Emilio Lepido. La storia delle due statue è molto affascinante. In sintesi, esse erano state commissionate allo scultore reggiano da Gasparo Scaruffi, il famoso economista reggiano autore dell’Alitinonfo, opera in cui, con straordinaria anticipazione della realtà odierna, si sosteneva l’opportunità della realizzazione di una moneta unica europea. Nel maggio 1584, morente lo scultore, le statue erano state trasportate nel cortile dello Scaruffi. Non furono poste in quel frangente (come si riteneva fino a pochi anni fa) nel palazzo oggi noto come palazzo Scaruffi, ma in altro edificio abitato da Gasparo posto fra vicolo Trivelli e via Crispi: l’economista in effetti si era separato dai fratelli a metà Cinquecento, e si era trasferito in altre case di provenienza della dote della moglie. Il portico del cortile di Gasparo era fra l’altro adorno di affreschi opera del già menzionato Orazio Perucci. Pochi mesi dopo peraltro morì anche l’economista, e le statue passarono con la casa in proprietà dei suoi figli, che però morirono in giovane età. Nel primo Seicento, le statue furono ereditate dai cugini di Gasparo, ovvero Gian Maria, Girolamo e Marcello, quelli che abitavano nel “palazzo Scaruffi” di via Crispi. Furono loro a chiedere nel 1622 al Comune il permesso di collocare le statue ai lati del portone del loro palazzo. Le statue caratterizzavano a tal punto l’edificio, che esso era denominato “palazzo delle statue”; la via (allora detta di Cittadella) veniva chiamata “via delle statue”; e quel ramo della famiglia prendeva il nome di “Scaruffi delle statue”.
Con la morte del giovane Alfonso Scaruffi di Gian Maria, avvenuta nel 1700, questo ramo della famiglia si estinse, e la contessa Claudia Prati, vedova di Gian Maria, col suo testamento lasciò le statue al duca di Modena, che le ottenne alla morte della nobildonna, nel 1724. Le due stupende sculture vennero poste ai lati del palazzo ducale (ora dell’Accademia militare) di Modena, dove tuttora si fanno ammirare.
A Reggio restano le nicchie vuote che ancor oggi caratterizzano il palazzo, nonostante l’economista Gasparo avesse disposto in un suo testamento che le statue non avrebbero mai dovuto lasciare la sua città natale.