Il Gruzzolo di Faenza. In mostra un tesoretto di monete del XVIII secolo
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Ufficio stampa SBAER
5 aprile 2012

FAENZA (RA) – 1175 monete, per lo più in buona lega d’argento, provenienti in gran parte dalle Zecche dello Stato Pontificio

Il Gruzzolo di Faenza. In mostra un tesoretto di monete del XVIII secolo

Era stato trovato per caso nel 1993 durante la ristrutturazione di un edificio del centro storico
Le monete, raccolte in una ciotola di terracotta, erano state murate nel 1796 alla vigilia dell’arrivo delle truppe di Napoleone. Al tempo, il valore equivaleva all'incirca a due anni di salario di un operaio oppure a 1/10 del costo di una casa modesta in Bologna

Credito Cooperativo ravennate e imolese
Piazza della Libertà n. 14 a Faenza (RA)

da sabato 21 aprile 2012  a venerdì 19 aprile 2013
negli orari di apertura della banca: lunedì-venerdì 8.20 - 13.20 e 14.30 - 16.30

info 331 1753966 - ingresso gratuito

Carlino da 5 bolognini (conio 1765) con lo stemma di Bologna Dietro ogni gruzzolo, ripostiglio o tesoretto che dir si voglia, c’è il fallimento di un progetto: quello di chi, avendo nascosto monete o altri oggetti preziosi con l’intento di recuperarli in tempi più propizi, non è poi riuscito a farlo, per sfortuna, impedimento o disgrazia.
Il Gruzzolo che, almeno in parte, sarà esposto dal 21 aprile 2012 nella Sede di Faenza del Credito Cooperativo ravennate e imolese racconta molte storie.
Anzitutto fotografa la Faenza pontificia e la sua situazione socio-economica all'avvicinarsi dell'armata napoleonica, illustrando con un campionario pressoché esaustivo le monete presenti sul mercato romagnolo intorno al 1796.
Ma è anche una sorta di contrappasso per l’ignoto faentino che l’aveva occultato: scampato a francesi e papalini, Restaurazione e Risorgimento, bombardamenti e confische, il tesoretto trova ora rifugio in una banca, cioè proprio nel posto di cui –evidentemente- l’antico possessore meno si fidava.
Come spesso accade in questi casi, il ritrovamento del Gruzzolo è stato casuale. Nel 1993 Vittorio Gambi sta ristrutturando lo scantinato di casa, in pieno centro storico, quando una martellata sul muro rivela una nicchia con dentro una ciotola in terracotta, coperta da una lastra di ferro, zeppa di monete accuratamente impilate e incastrate tra loro. Alla fine saranno 1175, tra grossi, carlini, muraiole, testoni, giulii e doppi giulii, bianchi, baiocchi e mezzi scudi coniati dalle zecche pontificie, leopoldini (o francesconi), talleri, kreuzer e otto reali provenienti da altri Stati. Un discreto malloppo di quasi 3 chili, di cui il 71% in buona lega d'argento e il restante 29% in lega d'argento bassa (detta mistura), più due monete in rame. Il valore approssimativo del Gruzzolo era di 9.571 baiocchi, corrispondenti a 95 scudi d’argento e 71 baiocchi: una cifra -come ha calcolato il numismatico Michele Chimienti frugando negli archivi della Zecca di Bologna-  equivalente all'incirca a due anni di salario di un operaio oppure a 1/10 del costo di una casa modesta in Bologna.
Nel consegnarlo alla Soprintendenza per i Beni Archeologici dell’Emilia-Romagna, il Sig. Gambi ha una sola richiesta: che il tesoretto diventi patrimonio di tutti e che i faentini, o anche semplici curiosi, possano liberamente vedere questo pezzo di storia cittadina. Grazie alla disponibilità della BCC ravennate e imolese (Faenza, Piazza della Libertà 14), il pubblico potrà ammirare fino al 19 aprile 2013 una parte del gruzzolo, corredato da un filmato multimediale e da un catalogo, “Il gruzzolo di Faenza. La scoperta di un tesoretto settecentesco”, curato da Michele Chimienti e Chiara Guarnieri

L’analisi delle monete e del loro stato di conservazione ha permesso a Chimienti di proporre un’ipotesi riguardo la formazione di questo tesoretto: si tratta quasi certamente del frutto di risparmi prolungati nel tempo e occultati in tutta fretta per scongiurare il pericolo che il denaro venisse requisito dalle armate di Napoleone.
A parte 39 pezzi (il 3% di tutto il ripostiglio) relativi al secolo precedente, più della metà del Gruzzolo è stato emesso nel XVIII secolo, con il 1796, anno di coniazione della moneta più recente, a fissare la data ultima di formazione del ripostiglio.
La maggior parte delle monete appartiene allo Stato della Chiesa di cui Faenza faceva parte dai primi decenni del Cinquecento: le emissioni più numerose sono quelle relative ai papi Clemente XI (108 monete), Clemente XII (253 monete), Benedetto XIV (373 monete) e Pio VI (223 monete). A queste, vanno aggiunti gli esemplari coniati durante le Sedi Vacanti nonché un piccolo nucleo di monete provenienti da altri Stati (Granducato di Toscana, Impero spagnolo, austriaco e germanico).
Non stupisce la presenza di monete provenienti da altri Stati, visto che per ovviare alla mancanza di monete in oro o in argento, lo Stato Pontificio consentiva all’interno del suo territorio la libera circolazione dei grandi nominali appartenenti a Stati esteri.
Destano invece curiosità, tra le monete pontificie della zecca di Roma in mostra, alcuni esemplari usati come medagliette devozionali (riconoscibili dal foro e dall’immagine sacra raffigurata nel rovescio) e alcuni grossetti di Ferrara ribattuti (monete rimesse in circolazione con una vistosa punzonatura dovuta all’incremento del valore). Singolari anche le monete relative alle Sedi Vacanti del 1689, 1740, 1758, 1769 e 1774-1775 (periodi di interregno tra la morte di un pontefice e l’elezione del successivo), quelle che celebrano importanti manifestazioni, come il Giubileo o l’apertura della Porta Santa, e le monete coniate in occasione dell’incoronazione del nuovo pontefice, dette “del possesso” perché, con l’elezione, il nuovo pontefice prendeva possesso della Basilica del Laterano, sede del Vescovo di Roma, ovvero del successore di San Pietro.

“Il Gruzzolo di Faenza”
Credito Cooperativo ravennate e imolese, Piazza della Libertà n. 14 - Faenza (RA)
21 aprile 2012 - 19 aprile 2013
lunedì-venerdì 8.20 - 13.20 e 14.30 - 16.30
ingresso gratuito - info 331 1753966
Catalogo: “Il Gruzzolo di Faenza. La scoperta di un tesoretto settecentesco”, a cura di Michele Chimienti e Chiara Guarnieri (Bononia University Press)