San Giovanni in Galilea. Un museo a cielo aperto
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Ufficio stampa SBAER
30 settembre 2010

BORGHI (FC) - Importante operazione di recupero storico-archeologico nel territorio di San Giovanni in Galilea
Un museo a cielo aperto: l’area archeologica della Pieve bizantina e della Chiesa di San Giovanni Battista

Area archeologica di San Giovanni in Galilea, località "La Piva" PRESENTAZIONE DEI LAVORI
sabato 9 ottobre 2010
ore 17

località “La Piva” di San Giovanni in Galilea, Borghi (FC)

I resti della perduta Chiesa di San Giovanni Battista e le tracce dell’omonima Pieve bizantina si affacciano dal balcone che domina la pianura riminese e il mare Adriatico. Nel perimetro della chiesa si riconoscono a prima vista l’abside e l’altare del XV secolo; all’interno emergono quattro ossari mentre all’esterno della parete sud sono evidenti le tracce di un impianto per produrre calce, utilizzato nei cantieri che si sono succeduti dal medioevo in poi.
La storia di quest’area archeologica, frequentata dalla metà del VI secolo al 1746, l’ha scritta la natura: i continui movimenti franosi si sono portati via gli edifici religiosi man mano che venivano ricostruiti l’uno sull’altro, arretrando progressivamente alla ricerca di un terreno più stabile.
Quel che resta di oltre un millennio di storia torna ora a vivere grazie a un intervento di musealizzazione iniziato nell’autunno 2009. Con l’apertura al pubblico di questa zona archeologica, illustrata da un ampio apparato didattico, si completa sabato 9 ottobre l’opera iniziata un anno fa con l’inaugurazione del rinnovato Museo Renzi di San Giovanni in Galilea che espone i reperti rinvenuti durante gli scavi.

Luogo strategico, questo, per costruire una chiesa, sulla dorsale che unisce trasversalmente le valli dell'Uso e del Rubicone, all’incrocio delle antiche strade che collegavano il territorio di San Giovanni in Galilea con la Valmarecchia ed il Montefeltro. Non è un caso che l’edificio cinquecentesco sia stato costruito a ridosso di una Pieve bizantina di VI secolo (di cui restano solo le fondazioni dell’abside semicircolare) citata in documenti dell’VIII-X secolo nel cosiddetto Codice Bavaro.
Continui movimenti franosi e cedimenti strutturali, culminati nella frana ottocentesca che si è portata via quasi tutta la Pieve, portano prima all’abbandono dell’edificio religioso (nel 1746) e infine del sito stesso.
I primi scavi archeologici in quest’area, risalenti al 1970, individuano sul ciglio della scarpata le fondazioni dell’abside della Pieve bizantina; scavi successivi recuperano 12 frammenti in calcare locale, scolpito a bassorilievo, riferibili alla decorazione dell’edificio e forse anche a un ciborio, la struttura a baldacchino che sovrastava l'altare.
Alla fine del XV secolo la Pieve viene abbandonata, probabilmente a causa dei continui cedimenti strutturali; contemporaneamente, alle sue spalle, viene costruita la Chiesa di San Giovanni Battista, descritta nelle Visite Pastorali del XVI-XVIII secolo. Nel 1680 l’edificio, minacciato di crollo da ininterrotti movimenti franosi, viene ristretto, l’altare originariamente rivolto ad oriente, è ribaltato ad occidente e l’abside è smantellata. Il trasferimento del fonte battesimale nel 1741 all’interno delle mura del borgo di San Giovanni in Galilea e il crollo del tetto nell’anno successivo portano al definitivo abbandono dell’edificio religioso nel 1746.
Nel 2004 riprendono gli scavi, eseguiti dall’A.R.S.S.A. e dal Museo Renzi, sotto la direzione scientifica di Maria Grazia Maioli, archeologa della Soprintendenza per i Beni Archeologici dell’Emilia-Romagna. Questi scavi permettono di accertare tutte le diverse fasi di vita della Chiesa di San Giovanni Battista anche dal punto di vista architettonico. Viene identificata la chiesa rinascimentale con abside e altare rivolti a est (come nella tradizione paleocristiana del Christus Sol, in cui il culto è rivolto nella direzione da cui sorge il sole) e sotto la quota del pavimento, non più conservato, sono trovati ossari -di cui quattro tuttora visibili- contenenti, oltre agli scheletri, migliaia di grani di rosario e centinaia di medagliette devozionali.
Ulteriori scavi eseguiti da Tecne s.r.l., iniziati nell’autunno dell’anno scorso per musealizzare l’area archeologica, hanno rimesso in luce l’abside smantellata nel 1680 e almeno tre calcare usate nel XV secolo per produrre calce utilizzando i marmi degli edifici più antichi.
Oggi questo sito archeologico ha non solo un forte impatto visivo ma è parte integrante di quel paesaggio che pur contribuisce a modificare. L’intervento di musealizzazione, pensato sia per conservare le strutture murarie rinvenute durante gli scavi che per facilitarne la lettura, ha pienamente recuperato le potenzialità di un paesaggio scomparso dalla storia millenaria.
Il restauro della Pieve e della Chiesa di San Giovanni Battista costituisce un’ulteriore tappa di quel circuito della memoria della comunità del borgo di San Giovanni in Galilea già intrapreso con il restauro della Fonte del Coppo e del cippo commemorativo.
Dell’antica Pieve Bizantina resta solo un’impronta sul terreno e un’ipotesi di ciborio: ma guardando verso il mare e verso sud pare quasi dialogare con la coeva Pieve di San Michele Arcangelo, a Santarcangelo di Romagna, e con la romanica Pieve di Santa Maria Assunta a San Leo.

Lo scavo archeologico è stato diretto dalla Soprintendenza per i Beni Archeologici dell’Emilia-Romagna (archeologa responsabile dott.ssa Maria Grazia Maioli) e condotto da A.R.R.S.A. (Associazione Riminese per la Ricerca Storica ed Archeologica - Sezione Alta Valle del Rubicone) e Museo Renzi (Stefano Pruni, Thomas Ramberti e prof. Michele Gaudio); rilievo con laser scanner di Akanthos s.r.l.
Il progetto di Restauro e Musealizzazione, finanziato dal Comune di Borghi e dalla Regione Emilia-Romagna, è stato sviluppato dall’Arch. Massimo Bottini, approvato dalla Soprintendenza per i Beni Archeologici dell’Emilia-Romagna e dalla Soprintendenza per i Beni Architettonici e Paesaggistici di Ravenna (dott.ssa Marzia Iacobellis), e realizzato da Tecne s.r.l. con la collaborazione del restauratore della Soprintendenza per i Beni Archeologici dell’Emilia Romagna, Mauro Ricci, e di Katia Poletti
I testi dei pannelli affissi nell’area sono dell’Arch. Massimo Bottini, di Katia Poletti, del prof. Michele Gaudio, e delle archeologhe Maria Grazia Maioli, Chiara Cesaretti e Cristina Ravara.
Ricostruzione 3D dello Studio Bottini Massimo di Santarcangelo di Romagna